11/03/2014 - Nei tagli del cuneo fiscale, il governo Renzi ipotizza di ridurre il numero degli F-35 di cui l’Italia aveva precedentemente deciso l’acquisto. Dopo le note vicende sulla formazione del governo, è dunque tornata di attualità la diatriba sull’acquisizione dei caccia F-35 Lightning II.

Come sempre, non è semplice valutare le decisioni, ma per meglio comprenderle bisogna addentrarsi nella questione. Il governo statunitense consentì ad altre nazioni di compartecipare allo sviluppo del neonato caccia ed identificò in 3 livelli le possibili cooperazioni. Al secondo livello si collocano le industrie italiane con investimenti pari ad oltre 2 miliardi di dollari.

Il Lightning ha raggiunto la capacità operativa nel 2012, ed è attualmente l’unico caccia stealth di nuova generazione disponibile sul mercato, insieme all’F-22, gravato però da costi proibitivi. L’oggetto del contendere è la funzionalità pratica dell’aeromobile; l’F-35 sembra essere oggetto di una lunga serie di malfunzioni che ne limitano la capacità operativa e pertanto, al costo iniziale si aggiungerebbero esborsi per la manutenzione. Gli interessi economici sono determinanti, in quanto molte sono le aziende italiane coinvolte nello sviluppo: dall’Alenia aeronautica, alla Piaggio, passando per la Selex-Marconi, la Gemelli e finendo alla OtoMelara. Un comparto produttivo di 18 gruppi con capitali sociali rilevanti e migliaia di lavoratori impiegati, la solo Alenia ne conta oltre 11.000.

Principalmente la progettazione riguarda il cassone alare, componenti del motore F136, l’involucro della turbina, l’optronica EOST, il cannone GAU-22/A, il carrello, le ali ed altro ancora.

La scelta sulla compartecipazione, originò dall’esigenza di sostituire i vetusti AV-8 Harrier imbarcati sulle nostre portaerei. Con questi hanno in comune una particolarità imprescindibile per il loro utilizzo: sono dei velivoli V/STOL, dunque gli unici in grado di decollare ed appontare sulle nostre unità di superficie.

Anche l’aeronautica è interessata all’F-35, da affiancare al più performante Eurofighter e per sostituire gli AMX ed i Tornado oramai superati.

Forse non è la soluzione migliore, esistono aeromobili decisamente più adatti alla nostra forza aerea, ma sono indispensabili per la Marina. Benché la compartecipazione italiana sia elevata, il progetto rimane saldamente agli statunitensi, pertanto per gli aggiornamenti o la semplice manutenzione, si renderebbe necessario ricorrere al costruttore principale con un ulteriore aggravio dei costi, questo perché nel contratto di partnership, siamo solo dei fornitori.

È da sottolineare che si tratta di una collaborazione trentennale, il ciclo operativo di un aeromobile, dunque le spese si diluirebbero nel tempo e parte di queste ritornerebbe come posti di lavoro, stimati in circa diecimila, sotto forma di commesse. Infatti gli accordi concernono principalmente l’assemblaggio di quelli acquistati dall’Italia e questo avverrebbe all’aeroporto di Cameri.

In definitiva, analizzati pregi e difetti, il governo dovrà scegliere se rimanere in linea con i progressi tecnologici delle forze armate alleate, con le quali ci confrontiamo nelle missioni internazionali, agevolandosi con una capacità operativa tale da coprire i prossimi trenta anni, o rimanere un passo indietro. Resta valido, dunque un compromesso sul numero degli F-35 da acquistare, naturalmente con la consapevolezza che devono essere resi operativi, riducendoli pertanto al quantitativo necessario per sostituire gli Harrier, nella speranza che siano sufficienti a soddisfare il nostro impegno in campo internazionale.

In conclusione, in un quadro di alleanze strategiche e dinamiche economiche a livello globale, l’F-35, benchè pieno di difetti, sembra essere l’unica soluzione per recuperare il terreno perso dall’aviazione di Marina negli impegni presenti e futuri della nostra compagine militare a garanzia e sostegno della democrazia e libertà nel mondo.

Giovanni Caprara

(foto: Lockheed Martin)