18/04/2014 - Nell’ambiente militare ci si interroga spesso sulle caratteristiche che debbono essere bagaglio precipuo di ogni buon comandante, la letteratura di settore e la storia a tale proposito forniscono spunti di notevole spessore che possono senza dubbio essere assunti a riferimento.

L’ampiezza della materia necessita tuttavia di una traccia da cui trarre eventuali ampliamenti e varianti adatte agli specifici casi.

La dottrina della Nato ben sintetizza le caratteristiche del “buon leader” tenendo conto del fatto che gli sviluppi operativi degli ultimi decenni hanno portato all’esigenza di un salto di qualità nella definizione di quello che è il ruolo e la figura del comandante. Se nel passato il bastone del comando era ad esclusivo appannaggio degli ufficiali oggi la multidimensionalità ed il polimorfismo degli scenari operativi, connessi con una minaccia di provenienza ibrida e strutturata in maniera asimmetrica fanno sì che militari di ogni ordine e grado, sulla scorta di quello che è l’intento del comandante del livello superiore debbano poter prendere decisioni con riflessi talvolta anche decisivi sulla condotta di una intera campagna militare, per fare ciò è chiaro che lo “spirito” del comandante debba essere un patrimonio comune a tutte le categorie di soldati “portatori sani” dei fattori cardine su cui costruire un comandante prescindendo dal grado. Di fatto l’Alleanza atlantica con questi concetti definisce il dna del leader che dovrà essere: capace di prendere decisioni, capace di guidare, in condizione di esercitare il controllo. Il breve elenco potrebbe apparire un ovvio esercizio concettuale espressione di competenze inquadrabili nel comune bagaglio di una qualsiasi organizzazione gerarchizzata che manifesta la necessità di avere una classe dirigente correttamente formata, in realtà le tre espressioni, calate nella realtà militare, contengono un quid in più che affonda le proprie radici nelle tradizione militare europea forgiata in anni di battagli e giunta fino ai giorni nostri.

La capacità di prendere decisioni è un valore, più che uno strumento in quanto decide solo chi è nelle condizioni di comprendere e quindi di gestire contemporaneamente il dominio cognitivo e morale prima ancora che quello fisico, rispondendo così ad uno stimolo esterno complesso. Tutto quanto detto resta strettamente connesso all’affidabilità ed alla responsabilità, valori anch’essi, che devono essere sviluppati nel periodo in cui il soldato comandante viene formato.

La leadership, termine anglo-sassone che esprime la capacità di mettersi alla testa, alla guida è certamente un concetto mutuato dalla tradizione classica dove il capo era colui che conduceva, che tracciava la strada da seguire prima, durante e dopo la battaglia costruendo con capacità e forza la propria autorevolezza da cui sarebbe discesa l’autorità. In questo concetto può dirsi condensata la plastica del comandante inteso come individuo in condizione di guidare combinando capacità proprie e comprensione della situazione generale.

L’esercizio del controllo è quanto di più complesso possa essere richiesto ad un individuo investito del fardello di comandare, in quanto nel controllo si mette in discussione la propria azione, si verifica in prima persona la bontà delle proprie scelte, in sostanza è l’altra faccia della moneta del comando, quella faccia oscura che ci dice immediatamente se quanto pianificata o condotto sia corretto. La natura di verifica, intrinseca al controllo, rende tale esercizio poco praticato poiché svela in maniera inequivocabile e prima che lo possano fare i fatti o i superiori i limiti e le carenze di un leader è pertanto necessario profondere uno sforzo continuo affinché si possa imparare questa utile e preziosa arte delle “cose militari”.
La sintesi dei tre aspetti entro cui si raccoglie il comando ha mostrato come ciascuno di questi combini una esigenza di fondo basata sulle qualità intrinseche dell’individuo. Se la NATO, attraverso il proprio corpus dottrinale, ha evidenziato gli aspetti di decisione, leadership e controllo quali mattoni del comando, paragonabili ad un dna, questo stesso dna necessita delle sue componenti fondamentali ascrivibili ai concetti di: conoscenza professionale, capacità intellettuali, creatività ed iniziativa, capacità di giudizio, fiducia in se stessi, coraggio e risolutezza, capacità comunicative. Volendo utilizzare una locuzione ampiamente abusata si direbbe nulla di nuovo sotto il sole, già Cesare nei suoi commentarii e Clausewitz nel suo “della Guerra” esprimevano in termini aderenti alla propria epoca i concetti precedentemente esposti, il primo con uno spiccato individualismo proprio del dux di epoca tardo repubblicana ed il secondo con taglio maggiormente filosofico affermando che l’arte del comando fosse combinazione di mente e corpo in aderenza al mondo idealista nel quale aveva forgiato le proprie idee.

Se gli scenari si modificano e la tecnologia evolve, la nostra analisi, legata anche a quanto definito dalla dottrina della Nato, ci dimostra come resta immutabile l’uomo comandante il quale con le proprie capacità intrinseche, connesse ad una adeguata formazione ed alla conoscenza degli scenari può ad ogni livello ordinativo e ricoprendo qualsiasi grado essere leader ed elemento risolutore di intere operazioni militari.

Andrea Pastore