20/08/2014 - Da alcuni giorni è stato annunciato che l’Italia fornirà armamento ai Curdi per difendersi dalle forze del “Califfato Islamico”. Nel momento in cui si scrive se ne sta discutendo presso le competenti commissioni di camera e senato mentre sembra che la ministro Pinotti abbia già visionato il materiale conservato presso un deposito sotterraneo in Sardegna accompagnata dai massimi vertici militari.
Tralasciando ogni considerazione etica, di opportunità politica e di efficacia militare della decisione, ci limiteremo a modeste considerazioni sull’iniziativa che viene proposta come di assoluta efficacia e che invece potrebbe, almeno sul piano puramente tecnico, dimostrarsi un’operazione di facciata alla stessa stregua di quanto sta avvenendo per la vicenda dei due marò. Parole, visite, promesse ma solo scarsi risultati che in questo caso potrebbero dimostrarsi anche pericolosi.
Il materiale di cui trattasi dovrebbe essere costituito, da quanto riferito dalla stessa ministro, da armi, munizionamento e forse equipaggiamento sequestrato nel 1994 nello stretto di Otranto a trafficanti russi che si accingevano a rifornire i belligeranti dell’ ex Jugoslavia.
Circa 30mila Ak-47 kalashnikov, i fucili di fabbricazione russa già in dotazione ai guerriglieri curdi, e tonnellate di munizioni. Anche mitragliatrici MG 42/59 con relativo munizionamento e non più in uso alle nostre forze armate. Forse anche giubbetti antischegge , mezzi radio e jammer, disturbatori anti IED (Improvised Explosive Device).
Immediato il dubbio che ci sia il rischio di fornire ai ribelli un materiale forse non perfettamente funzionante, mescolando peraltro tipologie di munizionamento che potrebbero essere confuse da personale non particolarmente esperto, con gravi conseguenze. Anche sistemi elettronici sconosciuti ai montanari curdi come i moderni jammer.
I Kalashnikov sono fucili mitragliatori ad alta cadenza di fuoco che devono essere periodicamente manutenzionati con cura, ingrassati e protetti dalla polvere per evitare che arrugginiscano e si inceppino all’atto dell’impiego. Utilizzano proiettili calibro 7,62 × 39 mm come quello di uno dei proiettili che dovrebbe avere ucciso i due pescatori indiani del Kerala.
Le mitragliatrici MG 42/59 in servizio dall’ultimo periodo del secondo conflitto mondiale, sono armi ad elevatissima cadenza di tiro. Necessitano anche esse di attenta e costante manutenzione ed addirittura è previsto, durante l’impiego dell’arma, la sostituzione delle canna soggetta ad elevatissimo riscaldamento conseguente alla celerità di fuoco. Utilizzano proiettili 7,62 × 51 mm apparentemente simili a quelli sovietici utilizzati dall’AK-47 ma sostanzialmente differenti. Se scambiati possono provocare grossi danni al personale che li utilizza.
Fanno parte del materiale sequestrato anche 400 Fagot, missile contro carro sovietico entrato in servizio nel 1971 praticamente copia del Milan franco - tedesco. Fu usato per la prima volta nella guerra in Libano del 1982.
Anche 5000 razzi Katiuscia, lanciarazzi di fabbricazione sovietica introdotto durante il secondo conflitto mondiale, con un raggio di azione intorno ai 9 km ma molto impreciso.
Quale sia lo stato di conservazione di questo materiale non è dato saperlo, si dubita che sia tale da garantire un’immediata ed assoluta affidabilità delle armi e dei sistemi autopropulsi come i Fagot ed i Katiuscia, dotati di sofisticati sistemi di “sparo” e spinti da sistemi di lancio sensibili all’umidità.
Materiale che giace dal lontano 1994 in sotterranei in prossimità del mare, la cui efficacia originaria è certa ma non altrettanto quella residua dopo essere rimasti accatastati per 18 anni, senza un programmato e ciclico controllo di efficace manutenzione né trattamento oggetto di appropriati trattamenti conservativi, trattandosi di sistemi estranei allo strumento militare nazionale.
L’annuncio politico di aiutare i Curdi è stato lanciato, accompagnato da convinte assicurazioni delle nostre scelte, applicando un modello comunicativo diventato ormai usuale e sperimentato nel trattare da più di due anni la vicenda due marò.
Parole, assicurazioni e certezze però tutte da dimostrare e che nel caso specifico potrebbero incrementare il numero di ordigni bellici inesplosi per cattivo funzionamento dovuto ad imperizia d’uso, obsolescenza, cattiva conservazione e scarsa manutenzione, alimentando i pericolo post bellici per la popolazione civile, in particolare donne e bambini.
Ci auguriamo come professionisti del settore e come uomini rispettosi della vita che qualcuno abbia attentamente valutato questi aspetti ed i possibili rischi che ne potrebbero conseguire.
Fernando Termentini