25/01/2014 - Il 17 gennaio u.s. con italico furore i media hanno dato notizia delle navi cariche di veleni che si avvicinavano alle coste italiane e concesso ampio spazio all’incontro del Premier Letta con il Governatore della Calabria e con i sindaci delle cittadine che gravitano vicino al porto di Gioia Tauro.
Poi il silenzio più assoluto è calato su un argomento che, invece, è stato annunciato con parole che preoccupano. Si parla infatti, di una nave carica di 500 tonnellate di armi chimiche che attraccherà nel porto calabrese per trasferire il suo carico di morte su una nave americana.
Quella stessa mattina, chi scrive è stato chiamato a spiegare la natura del problema nel contesto della trasmissione televisiva della RAI “Uno Mattina”, una sintesi di tre minuti, davvero modesta per fornire un quadro completo e che sicuramente non ha aiutato a richiamare l’attenzione su un problema da non sottovalutare.
Il flusso comunicativo sullo specifico argomento ora è cessato. Siamo fermi alle prime scarne notizie che sicuramente non aiutano a comprendere l’esatta connotazione del problema, piuttosto inducono dubbi e perplessità e suggeriscono a coloro che hanno minima expertise nel settore specifico, conclusioni diverse dai contenuti delle tranquillizzanti comunicazioni ufficiali.
Assenza di precisazioni inopportune e che non aiuta a capire quale sia la natura del carico in procinto di raggiungere le nostre coste e non fornisce una doverosa informazione alle popolazioni residenti né alle Autorità locali responsabili, di fronte ad un’emergenza, della gestione della protezione civile.
Infatti non è stato assolutamente precisato con chiarezza cosa trasporti realmente la nave proveniente dalla Siria. Un elemento determinante per connotare la reale dimensione della possibile minaccia e fondamentale per predisporre auspicabili e doveroso misure di sicurezza. Il Premier, ed in particolare il Ministro degli Esteri, hanno parlato di “armi chimiche”; la Responsabile della Farnesina ha usato anche la parola “inneschi” in una recente intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale, termine che induce a pensare ad un munizionamento predisposto all’uso, anche se non “armato”. L’unica cosa certa è che ci sono stoccate a bordo più di 500 tonnellate di sostanze che provengono dall’arsenale militare chimico di Assad.
Assad disponeva sicuramente di gas nervino Sarin e di Iprite e quindi nei fusti trasportati potrebbe essere contenuto questo materiale. Il Sarin è un gas nervino letale in grado di agire in qualche secondo, l’Iprite un aggressivo chimico che, al contatto del corpo o se inalato, provoca ustioni mortali. Ambedue agenti letali i cui effetti possono essere affrontati solo disponendo di attrezzature adeguate, idonee a garantire efficace contromisure per affrontare l’emergenza ed i danni conseguenti.
In che stato siano i materiali trasportati non è stato chiarito, forse perché sconosciuto anche a chi dovrebbe predisporre appropriate misure di sicurezza. L’Iprite, comunemente nota come gas mostarda, dovrebbe viaggiare in appropriati contenitori, probabilmente già attiva, oppure già inserita in testate di missili o proiettili non convenzionali.
Il gas Sarin che è accertato sia stato utilizzato contro i civili siriani, è un aggressivo generalmente preparato al momento essendo poco stabile. Diventa l’aggressivo letale nel momento in cui vengono miscelati due componenti base, uno a bassa tossicità e l’altro con effetti tossici maggiori. Sulla stessa nave, quindi, potrebbero essere trasportati i due componenti separati, con il rischio che qualsiasi evento imprevedibile che può coinvolgere un natante in navigazione, potrebbe portare i due componenti a contatto e la formazione di nubi mortali.
Se invece, come viene ripetutamente scritto dai media ed annunciato anche dai responsabili istituzionali, sulle navi è trasportato munizionamento chimico privo di spolette (separato dagli inneschi come precisato dalla Bonino al Corriere della Sera), il rischio di incidente grave è ancora maggiore, Si tratterebbe infatti, di missili e granate di artiglieria con ogiva contenente o gas pronto all’uso o i due componenti base separati da un setto leggero e di modesta resistenza. Ordigni che se per qualsiasi motivo fossero attaccati da un incendio o soggetti ad urti violenti potrebbero disperdere nell’ambiente il mortale Sarin.
Peraltro nessuno chiarisce se quelli che la Responsabile della Farnesina chiama inneschi, siano trasportati a parte o si trovino sulla stessa nave, nel qual caso aumenterebbe moltissimo la percentuale di rischio complessivo in caso di incidente.
Con chiarezza è noto solamente che le armi chimiche provenienti dalla Siria verranno spostate in un contenitore al titanio della nave americana Cape Ray ed il trasbordo avverrà da nave a nave senza attraccare alla banchina. Una scelta che potrebbe sembrare più sicura in quanto preserverebbe il territorio da possibili inquinamenti, ma che invece, si ritiene comporti rischi maggiori in caso anche di urto fra le navi, magari indotto da semplici ed imprevedibili cambiamenti della direzione dei venti dominanti in area.
Ci dicono ancora che il materiale sarà distrutto in mare aperto mediante il processo chimico di idrolisi, ma non ci informano su come verranno smaltiti i materiali chimici derivati dalla trasformazione delle sostanze di base. La distruzione dovrebbe avvenire in una zona di mare ad ovest di Creta, con la connivenza delle autorità greche, italiane e maltesi. L’allarme è dato dagli scienziati di Democritos (N.d.T. Centro Nazionale di Ricerca Scientifica) di Atene e del Politecnico di Creta, che parlano di “completa distruzione dell’ecosistema e del turismo”.
La tossicità delle sostanze chimiche di risulta, infatti, non è irrilevante e se versate in mare potrebbero causare danni irreversibili all'eco sistema marino, fino a provocare una vera e propria necrosi irreversibile. Il pesce potrebbe essere avvelenato dalla contaminazione che si propagherebbe attraverso la catena alimentare a tutti i consumatori del pescato.
La scelta dell'idrolisi quindi, lascia perplessi perchè pericolosa come gli stessi USA ammettono e gli effetti potrebbero essere ancora maggiori del previsto considerando che l’operazione verrà effettuata in mare come il Mediterraneo, dove il ricambio delle acque non è così rapido come nei grandi oceani che lambiscono il continente americano, quello asiatico e l'Europa del nord.
La decisione di ricorrere ad un processo chimico difficile e rischioso non è comprensibile. Infatti, generalmente, la distruzione di sostanze chimiche pericolose avviene attraverso processi di combustione, eseguiti in stabilimenti ed aree attrezzate del tipo di quelle già esistenti ed operative da tempo negli Usa, in Germania, in Cina ed in Russia, paese dove peraltro ha origine parte del Sarin stoccato negli arsenali chimici di Assad.
Un quadro pertanto poco decifrabile, anche per l’assenza di una chiara posizione dell’Organizzazione internazionale per il Divieto delle Armi Chimiche che, coinvolta direttamente nel problema solo pochi mesi fa, aveva fortemente sconsigliato la neutralizzazione di tali sostanze in mare.
In questo contesto non è possibile escludere, come invece affermato a vari livelli istituzionali, che sull’operazione non incomba alcun rischio. E’ invece innegabile che una percentuale di rischio, seppur minima, caratterizzi l’intera operazione, in particolare se la nave che si accinge ad entrare nel porto di Gioia Tauro trasporta in stiva ambedue i componenti base del Sarin o, peggio, munizionamento chimico già pronto all’uso anche se privo di innesco.
Una realtà che non può essere sottovalutata e che dovrebbe aver suggerito la predisposizione di un’adeguata pianificazione per fronteggiare la minaccia ed affrontare eventuali danni collaterali, alle persone ed alle cose, che cause accidentali potrebbero provocare.
Piani che prevedano immediati sgomberi sanitari su strutture preparate ad accogliere e curare personale eventualmente colpito da esalazioni nocive che, come nel caso del Sarin, lasciano pochissimo tempo per garantire appropriati soccorsi: al massimo appena quindici minuti dalla inalazione o dal solo contatto epidermico con il gas !
Programmazione che coinvolga anche la popolazione, che dovrebbe essere informata anche sul più remoto dei possibili rischi che un’operazione del genere comporta, applicando modelli consolidati già operativi come ad esempio avviene in Israele.
Nessuno ci dice se sia stato previsto tutto questo, se le strutture sanitarie locali siano state opportunamente organizzate, se il personale sanitario conosca nel dettaglio la natura di una possibile minaccia seppur remota e come affrontarla e gestirla.
E’ fuori da ogni dubbio che l’esigenza specifica debba essere assolutamente affrontata e risolta, ma non si comprende perché la scelta sia caduta sull'Italia dopo che, ad esempio, l'Albania destinata come prima ipotesi ad ospitare gli aggressivi chimici, ha rinunciato sotto le pressioni della popolazione.
Una decisione quella italiana i cui motivi non sono stati spiegati. Forse un ennesimo atto di sudditanza del nostro Governo di fronte al contesto internazionale. Se le motivazioni fossero altre andrebbero rese pubbliche anche perché, per quanto noto, le scelte sono state fatte autonomamente dall’Esecutivo, escludendo nel processo decisionale il Parlamento e le Autoritá locali.
Fernando Termentini