30/09/2014 - Il nuovo presidente dell’India secondo alcuni rappresentanti istituzionali italiani dovrebbe gestire nell'immediato futuro la sorte dei due nostri fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone con un approccio “accondiscendente” e restituirli all'Italia nel breve periodo.
Da NY la ministro degli esteri Mogherini ci rassicura. In occasione di una conferenza stampa, infatti, ci informa "sono impegnata personalmente insieme al presidente del consiglio e al ministro della difesa, anche perché i mesi a seguire saranno cruciali".
Ottimismo già palesato dal presidente Renzi quando, attraverso l’Ansa, ha riferito di una sua telefonata con Modi e che Roma ha trovato una sponda nel premier indiano che si è detto d'accordo sulla necessità di "mantenere un dialogo ravvicinato a tutti i livelli".
Parole che si sovrappongono alle migliaia di espressioni di rassicurazione che ormai da quasi tre anni ci vengono propinate dai responsabili istituzionali italiani dopo l’assurda decisione del governo Monti di rimandarli in India il 22 marzo 2013.
Gli unici risultati fino ad ora ottenuti sono quelli di essere riusciti ad ottenere che Massimiliano Latorre trascorra un periodo di convalescenza in Italia dopo il grave malanno che lo ha colpito, e che Salvatore Girone continui a rimanere in India vivendo da solo le giornate con lo stress e l’ansia del caso. Nel mentre i tribunali indiani dimostrano come la cultura giuridica indiana sia quella di rinviare le udienze piuttosto che decidere.
Peraltro, la molta fiducia in Modi palesata in Italia a livello istituzionale ed anche da importanti media nazionali, contrasta con l’approccio tenuto dall’Unione Europea e dagli USA nei confronti di Narenda, guardato, invece, sempre con sospetto e sanzionato nell’arco della sua militanza.
Ma chi era effettivamente costui?
Narenda Modi è stata sempre una figura molto controversa. Da giovane militava nel partito indiano di estrema destra Rss, pronto ad accettare durante la campagna elettorale l’appoggio degli estremisti indù, oggi alleati del suo partito nazionalista Bjp.
È stato sempre molto ambiguo e pragmatico anche di fronte a gravi evidenze, come l’eccidio di circa 2000 persone, musulmani e cristiani, avvenuto nel 2002 a Godhra, nello Stato del Gujarat, di cui era governatore.
In quell’occasione ebbe a dire: "Non ne ho mai sentito parlare", suscitando per questo la reazione della Ue e degli Usa, che lo definirono "persona non gradita".
Personaggio controverso che forse solo il nostro premier guarda con aspettativa quando si è detto "molto fiducioso nel nuovo governo indiano", dimenticando forse che, invece, durante la campagna elettorale Narenda Modi accompagnava le promesse di miracoli economici con l’intenzione di usare il pugno di ferro contro i nostri marò.
Forzatamente riabilitato agli occhi della UE e degli USA dopo la sua elezione a presidente dell’India, il passato di Modi, però, torna improvvisamente alla ribalta: una corte federale di New York ha spiccato un mandato di comparizione nei confronti del primo ministro dell'India accusandolo di violazione dei diritti umani e di genocidio nei confronti delle minoranze musulmane.
L’Ansa da NY ci informa che il New York Times ha dato notizia del provvedimento formalizzato dopo una denuncia presentata da due cittadini indiani residenti negli Usa per i fatti del 2002 in cui il premier indiano governatore del Gujarat viene indicato come "responsabile di assassinio, violenza organizzata ed evacuazione forzata su larga scala" ai danni della popolazione di minoranza musulmana.
All'epoca, peraltro, ricorda il New York Times, anche gli Stati Uniti si dissero convinti delle responsabilità di Modi, al punto che nel 2005 gli rifiutarono il visto di ingresso nel Paese.
E’ spontaneo dunque chiedersi, come italiani, quanto potrà essere affidabile e risolutivo il ruolo di Modi nella vicenda dei nostri marò, ostaggio dell’India da oltre 900 giorni.
Forse ce lo potrebbero spiegare il premier, la ministro degli esteri e quella della difesa che ancora oggi rassicurano di aver preparato gli atti per avviare un arbitrato internazionale ma preferiscono prima percorrere la strada di una soluzione diplomatica, nonostante che lo stesso Modi abbia affermato che "la giustizia indiana è libera, giusta e indipendente".
Emerge, quindi, il dubbio se non sia azzardato continuare a percorrere la strada del dialogo con una controparte presieduta da chi di fronte ad un eccidio etnico-religioso avvenuto nello stato che governava ebbe a dichiarare "Non ne ho mai sentito parlare", suscitando le reazioni degli USA e della UE.
Fernando Termentini
(nella foto il presidente indiano Modi con l'ambasciatore italiano Mancini)