29/12/2014 - L’anno che volge al termine è segnato da segnali preoccupanti in quanto il terrorismo sta superando i confini delle aree conflittuali del Medio Oriente e del Centro Asia ed inizia a coinvolgere Paesi europei e l’occidente in generale.

Con ogni probabilità le azioni eversive saranno destinate ad aumentare nel tempo con un trend proporzionale ai successi militari che l’attuale Coalizione internazionale sta ottenendo sull’ISIS. Una pianificazione che è lecito supporre sia già iniziata con l’inserimento graduale di cellule eversive nei “Paesi target”, in primis attraverso i flussi migratori e poi con il rientro di occidentali simpatizzanti islamici, che stanno combattendo nelle fila dell’ISIS.

Probabilmente, a differenza delle azioni eclatanti portate a termine da Al Qaeda, saremo destinati a fronteggiare atti di micro terrorismo affidati anche a  residenti nei Paesi scelti come obiettivo. Vicini di casa i cui figli magari frequentano le stesse scuole dei nostri ragazzi a cui saranno affidate azioni sicuramente più difficili da individuare e da fronteggiare rispetto ai classici atti eversivi che ci siamo abituati a conoscere.

Forme di terrorismo prepianificate, espressione di una lotta  politico/religiosa ai danni di Nazioni, governi,  gruppi etnici o  fedi  religiose,  attuate  con lo scopo di ottenere  effetti mediatici immediati e nello stesso tempo alimentare terrore nella popolazione residente.

E’ innegabile che la minaccia dell’estremismo islamico torna  ad essere attuale e forse più importante rispetto al passato, in quanto potrebbe trovare terreno fertile nel malessere sociale ed economico che sta coinvolgendo in particolare l’Europa, guadagnando collegamenti territoriali sia con i gruppi eversivi a sfondo politico sia con la malavita. Nell’immediato futuro potrebbe essere difficile distinguere il pericolo esterno da quello interno, finalizzato a scuotere coloro che dalle strutture eversive vengono considerati “folla renitente e sottomessa”.

La moderna tecnologia, peraltro, offre mezzi  e  risorse  tecnologiche che consentono di sviluppare in tempo reale analisi approfondite delle situazioni geopolitiche di interesse ed ottimizzare  la  scelta e la tipologia del possibile target. Oggi, “l’analista del terrore” può, infatti, effettuare scelte mirate attraverso i motori di ricerca di Internet, gestendo contemporaneamente le strutture operative e le risorse logistiche precostituite nel mondo.

L’“information warfare” è, infatti, in continua evoluzione ed è destinata a rappresentare sempre di più una realtà concreta destinata ad essere l’origine di qualsiasi atto terroristico ed a sfociare anche nel “cyber- terrorismo”, ossia un atto terroristico finalizzato ad intaccare la sicurezza nazionale e mondiale a livello informatico. Una minaccia globale, tecnica, transnazionale e soprattutto anonima che segnali provenienti da tutto il mondo indicano come già iniziata, anche se la maggior parte dei Governi sono impreparati ad affrontarla. Il moderno terrorista, invece, avrà a disposizione mezzi di comunicazione sempre più sofisticati ed evoluti che gli consentiranno di colpire a “ragion veduta”, scegliendo il momento ottimale per portare a termine l’atto terroristico.

L’incubo del terrorismo, quindi, torna ad essere reale anche se si pensava che con la morte di Bin Laden la minaccia sarebbe destinata a scomparire. Un’ottimistica valutazione sconfessata da quanto accade ogni giorno per opera dello Stato Islamico di  al-Baghdadi con le sue minacce ed atti concreti contro l’Occidente ed il mondo cristiano, proposte come un “obbligo etico” dell’Islam, condiviso peraltro da centinaia di giovani occidentali pronti ad arruolarsi per combattere sotto il vessillo del Califfato. Giovani sicuramente esasperati dall’assenza di prospettive concrete che il mondo industrializzato sta loro negando  e che vedono sempre di più allontanarsi una prospettiva di prosperità per l’azione disgregante delle tecnocrazie mondiali, in particolare quella europea.

In questo scenario sicuramente l’Italia è sotto osservazione degli jihadisti dell’ISIS ed è diventata obbiettivo della strategia mediatica del Califfato perché Roma è la Capitale anche del cattolicesimo mondiale e quindi un atto terroristico nella Città Eterna avrebbe un eco in tutto il modo cristiano con conseguenze assolutamente non prevedibili.

Un Paese, il nostro, che si è presentato agli occhi del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi come uno Stato esitante, indeciso e poco credibile sul piano internazionale. Oggi diventato meta incontrollata di migliaia di migranti, dopo che a livello nazionale è stata sviluppata una gestione fallimentare dei flussi migratori. Terra di approdo di disperati convinti di poter in breve tempo raggiungere traguardi sognati per tutta la vita, destinati, invece, ad essere disillusi in breve tempo ed entrare a far parte della compagine degli scontenti, potenziali pedine del nuovo terrorismo.

Una situazione quella italiana destinata a diventare ad alto rischio per il “buonismo” imperversante e gli errori di valutazione commessi da chi ora guarda con timore le possibili azioni di ipotetici jihadisti mescolati ai profughi. Un’Italia che non ha esitato ad inneggiare alle varie “Primavere arabe” dimenticando che le realtà da abbattere erano a ridosso dei propri confini, Paesi governati da dittatori che fino al giorno prima erano stati aiutati e sponsorizzati  dalle democrazie europee.

Un pericolo che emerge da recenti affermazioni del capo della Polizia e del ministro degli Interni. Pansa ammonisce che l’Italia rischia di importare con i migranti il fondamentalismo destinato a sciamare su tutto il territorio dell’Unione Europea. Alfano conferma che il migrante illuso nelle aspettative diventa un soggetto altamente disponibile a farsi reclutare.

Un rischio eversivo e non solo terroristico quello che l’Italia sta correndo, destinato a crescere sempre di più per il disagio sociale ed economico che le giovani generazione italiane stanno vivendo e che potrebbero sentirsi minacciate dalla presenza dei migranti, con una conseguente reazione o contro costoro od insieme a costoro verso lo Stato.

Una situazione dove lo jihadista incaricato di fare proseliti troverebbe facile manovalanza mentre quello incaricato di attuare l’atto terroristico disporrebbe della complicità interna di gruppi estremisti nazionali, insurrezionalisti con l’unico scopo di destabilizzare uno Stato incapace di garantire loro un futuro diverso dalla malversazione e dal malaffare.

Fernando Termentini