06/07/2015 - La maggior parte dei mezzi di comunicazione nazionale dimentica di informare i cittadini dell’approvazione della legge sul prelevamento forzoso delle banche dai conti correnti bancari privati e continua a proporre problemi importanti in maniera assolutamente distorta.
Primo fra tutti quello del flusso dei migranti dall’Africa e dal Medio Oriente che continua ad essere proposto come “emergenza” pur trattandosi di qualcosa che va avanti da mesi con flussi pressoché costanti.
Lecito domandarsi, quindi, se siamo di fronte a non corrette analisi del problema o piuttosto ad una scelta mirata per non disturbare il “manovratore”. Non si può, infatti, continuare a definire emergenza un processo che ormai fa parte della routine quasi giornaliera per fare breccia nell’immaginario collettivo e condividere decisioni istituzionali altrimenti improponibili. In emergenza, infatti, è giustificato improvvisare per fronteggiare l’imprevisto e l’imprevedibile; “modus operandi” improponibile nella gestione di un fenomeno ormai ben configurato.
Una sana informazione non dovrebbe più presentare la realtà come situazione imprevista ed improvvisa giustificabile forse mesi orsono, piuttosto sottolineare carenze di previsione e pianificazione che le soluzioni di accoglienza adottate evidenziano ogni giorno. Una semplice simulazione sulla base di dati ormai concreti e consolidati aiuterebbe, ad esempio, a programmare e gestire razionalmente il problema. Perché non viene fatto ci si chiede? La maggior parte di coloro che dovrebbero denunciare queste inefficienze, invece, tacciono preferendo non evidenziare carenze e scelte spesso ingiustificate.
I fatti dimostrano viceversa che giorno dopo giorno siamo di fronte ad una gestione improvvisata attuata dagli Organismi centrali e periferici preposti a gestire l’accoglienza dei migranti che si accingono a sbarcare sulla nostre coste. “Mandate” ormai prevedibili e comunque annunciate dalle fonti di intelligence e dai monitoraggi dei Droni. E’ innegabile che i flussi siano ormai prevedibili almeno nei grandi numeri e quindi non si tratta di emergenza ma di un fatto contingente che meriterebbe più attente valutazioni e più accorte gestioni. Proporli, quindi, come eventi inaspettati sulla maggior parte della carta stampata e dai media televisivi rappresenta una cattiva informazione e finanche un’offesa all'intelligenza dei cittadini. Criticare, invece, il raffazzonato e confuso management potrebbe sollecitare i responsabili ad un maggiore impegno razionale ed evitare di smistare, ad esempio, 40 migranti, in comunità abitate da 40 cittadini.
Quello che una volta era definito il ”quarto potere” sta perdendo invece la propria connotazione originaria, quella di denunciare le cattive gestioni anche con toni provocatori per sollecitare risposte o chiarificazioni da parte delle Istituzioni. La maggior parte preferisce, al contrario, ricorrere a circonlocuzioni piuttosto che a sostantivi concreti che, sicuramente, potrebbero dare fastidio a chi sta amministrando il problema. Scelte di cui ognuno è responsabile sul piano della deontologia professionale e che personalmente non riesco a condividere.
Definire a luglio del 2015 ancora emergenza i ricorrenti sbarchi dei migranti sulle nostre coste significa voler nascondere la testa sotto la sabbia. Decidere di smistarli in caserme dismesse, come spesso viene dichiarato, è una chiara dimostrazione che chi sta gestendo il problema non conosce la realtà del territorio e non si preoccupa nemmeno di constatarne lo stato attuale preferendo le parole ai fatti.
La maggior parte delle ex infrastrutture militari sono ormai fatiscenti, assolutamente non appropriate per garantire nell’immediato l’accoglienza del popolo di disperati senza radicali interventi di recupero. Piuttosto significherebbe ghettizzare questa gente in spazi ancora peggiori dei villaggi dell’Africa subsahariana o dei campi di smistamento sulle coste libiche del Mediterraneo. Soluzioni al limite accettabili a fronte dì un’improvvisa calamità naturale ma non condivisibili quando sarebbe invece non difficile programmare soluzioni meno traumatiche.
Fotografie della realtà che non vengono invece proposte all’opinione pubblica preferendo oscurarle con la parola emergenza, sicuramente foriera di alibi per coloro che invece dovrebbe affrontare con razionalità il problema, anche con una semplice pianificazione di emergenza da adeguare se del caso al bisogno del momento. In Italia questo è possibile semplicemente ricorrendo all’expertise dei nostri militari, abituati a pianificare e di conseguenza a trovare soluzioni adeguate da predisporre in anticipo. Una cultura professionale dimostrata in mille occasioni, all’estero ed in Italia quando la popolazione è stata colpita da importanti calamità naturali.
A tale riguardo, infatti, è incomprensibile il perché non sia stato ancora affidato il compito agli specialisti del Genio Militare, dislocati sul territorio, di organizzare ed urbanizzare in pochissimo tempo vaste aree, posizionando moduli abitativi, servizi igienici campali, distribuzione dell’acqua e dell’energia elettrica ed organizzando la raccolta e smaltimento dei rifiuti. E lecito pensare che non ci sia la volontà di farlo, forse per timore di dare lustro ad una categoria più volte bistrattata da parte della classe politica e da molti media nazionali.
Si preferisce, invece, nascondersi dietro la parola emergenza per giustificare quelle che allo stato attuale non possono che essere definite carenze gestionali ed organizzative.
Abusando del termine “imprevisto” si evidenzia la volontà di giustificare l’efficacia di qualsiasi soluzione, come avvenuto nel tempo in Italia dopo che eventi inaspettati, come terremoti ed alluvioni, costringono ancora moltissimi cittadini italiani a vivere in moduli abitativi, in Belice, in Irpinia piuttosto che in Abruzzo ed in Emilia.
E’ dunque emergenza o inefficienza istituzionale?
Fernando Termentini