01/05/2014 - Le mattinate di aprile a Torino sono uno snervante gioco tra i cittadini e il clima bizzarro che caratterizza la città. La mattina dell’ultimo giorno del mese il tempo si è rivelato minaccioso, un vento gelido e un acquazzone hanno battezzato la città poco prima delle 8.
Alla stessa ora, mentre i torinesi combattevano con gli ombrelli sperando di arrivare incolumi a lavoro, iniziava la giornata degli allievi carabinieri presso la Caserma Cernaia, una giornata particolare per loro e per le famiglie giunte da tutta Italia.
In questo plumbeo giorno di una primavera latitante, presta giuramento il 131° corso Allievi Carabinieri che è stato intitolato alla M.O.V.M. Raffaele Porrani.
Il giovanissimo carabiniere era addetto ad una colonna mobile impegnata in azioni di controguerriglia nel 1943. Prendendo parte a numerosi combattimenti fu ferito da un'arma da fuoco, rifiutò ogni soccorso e continuò a combattere. Catturato insieme ai suoi compagni, nonostante il consiglio di togliersi gli alamari dei carabiniere per evitare sicura rappresaglia, volle conservarli e non esitò a dichiarare la sua appartenenza all'Arma. Condannato a morte insieme al comandante della colonna, dimostrò irremovibile fierezza e indomito coraggio, rifiutando ogni compromesso alle leggi dell'onore militare e alla completa dedizione alla Patria.
La motivazione per cui al carabiniere Porrani è stata conferita la medaglia d’oro sembra un racconto di altri tempi, ma come ogni vero esempio la sua storia racchiude un grande insegnamento per i giovani allievi.
La divisa del carabiniere non si toglie mai, anche quando non la si porta addosso la si ha cucita dentro, il carabiniere deve essere integerrimo, rispettare il giuramento che ha prestato alla Repubblica ma soprattutto deve essere il tutore di quell’ordine in cui ad ogni cittadino sono concessi i diritti fondamentali che lo rendono un uomo libero.
Il giuramento non è stato soltanto un volgere la propria vita alla Repubblica Italiana ma è stato un momento di riflessione per questi giovanissimi compatrioti, una riconferma del loro essere carabinieri, con l’apposizione degli alamari sulle uniformi.
Questo semplice gesto è stato compiuto per ognuno degli allievi da un membro delle loro famiglie, la commozione evidente dei padri e delle madri che con mano tremante ponevano sul bavero dei loro figli quei tanto agognati alamari.
Nello schieramento ci sono 34 donne, una delle quali è quasi davanti al palco dove mi trovo per osservare la cerimonia.
Il padre di questa giovane ha gli occhi colmi di lacrime, un viso rosso di chi a stento riesce a contenere le sue emozioni, sfiora con le dita il viso della figlia e gli sorride come solo un genitore pieno di orgoglio riesce a fare.
Un gesto naturalissimo di una dolcezza sconfinata, strappa un sorriso alla giovane allieva che, annuendo, congeda il padre e poi torna alla serietà che il suo lavoro comporta, mento alto e fucile in spalla.
La cerimonia a cui centinaia di persone assistono non è un dirompente esempio di militarismo latente, non vi è ostentazione della forza o del voler comandare. Vi è però tanto tanto orgoglio e desiderio di far bene, desiderio di essere un riferimento per i cittadini, desiderio di essere uno di quei racconti che ancora rendono onore al retaggio del nostro paese, lontano da quelle storie di malaffare che tanto ci piacciono ultimamente.
Questi ragazzi sono il volto del nostro riscatto, sono quelli che faranno bene e che ancora ci credono ad un paese migliore anche grazie al loro contributo.
Insieme ai reparti schierati a condividere la pioggia e il vento incessante sono presenti il comandante delle Scuole dell'Arma dei Carabinieri, generale di corpo d'armata Ugo Zottin e al suo fianco fierissimo dei suoi uomini il colonnello Franco Frasca comandante della Scuola.
Dietro il palco centrale, insieme al generale Zottin e al colonnello Frasca, sotto un grande palco sovrastato da un tendone troviamo a dare il loro omaggio agli allievi e alle loro famiglie, gran parte delle associazioni d’arma del nostro paese: Esercito, Guardia di Finanzia, Polizia di Stato e Corpo Forestale dello Stato.
Si salutano come fratelli dell’Arma in pensione. Si stringono intorno alla nuova generazione affinché il passato non sia dimenticato. L’essere un carabiniere è anche una questione di tradizioni.
Quella a cui si assiste è una cerimonia importante, solenne ma è soprattutto una festa, dove ci si ritrova, ci si saluta si è contenti di appartenere alla stessa divisa e di essere tutti sotto la stessa bandiera che troneggia bagnata sul cortile della caserma, quella Italiana.
Nonostante non conoscessi nessuno tra le file dei prestanti giuramento questo clima di accoglienza mi ha fatto sentire a casa e partecipe della festa.
Al termine della cerimonia, senza ombrello, mi accingo ad attraversare il cortile della caserma sotto una pioggia battente e facendo lo slalom tra i parenti per raggiungere l’uscita.
Con una certa riluttanza mi accingo a lasciare l’unico luogo rimasto asciutto prima di imbattermi in un muro d’acqua di cui farei a meno, sentendomi battere sulla spalla un ragazzino mi chiede se voglio essere accompagnata fino al portone principale con l’ombrello, accetto volentieri e camminando mi dice “Mio fratello l’ha vista senza ombrello e mi ha chiesto di accompagnarla!”.
Portata in salvo dal fratello di un carabiniere, il giorno del suo giuramento. Un bel modo per iniziare una spero lunghissima carriera.
Denise Serangelo