10/04/2014 - Ogni battaglia che ognuno di noi affronta nella vita, lo segna, lo cambia e lo migliora.

Le battaglie sono fatte per essere affrontate e vinte, non importano i tempi, i luoghi o le persone che si hanno accanto, certe battaglie le puoi combattere solo tu.

Epopee di uomini che superano i propri limiti ne è piena la storia, ma oggi vogliamo raccontare quella di un eroe moderno in grigio verde che con la sua penna da alpino è una consapevolezza che pochissimi hanno alla sua età sta combattendo e sta vincendo.

Era il 18 gennaio 2011 quando la vita del caporal maggiore Luca Barisonzi cambia per sempre: ferito da un insorgente afghano rimane paralizzato, accanto a lui perde la vita il suo fratello in armi Luca Sanna. Il trasporto all’avamposto medico più vicino, il rimpatrio, gli ospedali i medici e le cure. 

Luca Barisonzi, a poco più di tre anni di distanza dagli eventi che gli hanno cambiato la vita, acconsente di incontrarmi nella sua casa di Gravellona Lomellina, dove vive con la sua famiglia, la sua compagnia di vita e i suoi alpini, che non lo lasciano mai solo.

Il primo maresciallo in Ruolo d’Onore Barisonzi ha ventiquattro anni, chi scrive ne ha uno in più di lui decidiamo di darci del tu, così che la conversazione risulti agevole per entrambi.

Luca perché hai deciso di fare il militare?

"Perché avrei potuto fare qualsiasi cosa. Quando ero piccolo mi sono trasferito a Gravellona con i nonni, il posto è tranquillo. Qui durante l’adolescenza, tutti i ragazzi sognano di fare qualcosa di grande nella vita e allora ho riflettuto e mi sono reso conto che avrei potuto fare tutto quello che volevo, ero libero di scegliere chi essere. Sapevo che in molte parti del mondo, in paesi lontani anni luce, questa libertà non era concessa a nessuno o solo a pochi, così ho deciso che quella libertà di essere qualsiasi uomo io avessi voluto avrebbero dovuto averla tutti.
Ho maturato così la decisione di diventare un militare, indossare una divisa non vuole dire solo addestramento, vuol dire responsabilità, sacrificio e volontà, avere uno scopo, ecco, il mio scopo era quello di portare la libertà a ragazzi che non potevano essere ciò che desideravano
"
.

Mentre parla Luca ha un bagliore negli occhi che è un bagliore di fierezza, la fierezza di chi ha scelto consapevolmente di indossare la divisa, di chi ha il tricolore nel cuore e una ragione sincera per fare le scelte che ha fatto.

Tutti dovremmo avere almeno un po’ della consapevolezza di questo ragazzo, quella stessa che non gli fa rimpiange nulla e che se anche se non la veste, gli fa ancora sentire il peso che il dovere di indossare una divisa comporta.
Il maresciallo, tuttavia, non è solo un militare dell’esercito italiano è prima di tutto un’Alpino, uno di quelli che sembrano essere nati con il Bantam ancorato alla testa.

"Ho scelto di fare l’alpino perché hanno una storia e dei valori in cui mi rispecchio molto, loro sono vicino alle popolazioni bisognose da sempre, si sacrificano per dei valori che ritengo fondamentali.
Sicuramente anche l’amore per la montagna ha avuto un ruolo chiave, confrontarsi con se stessi, superare i propri limiti e una volta in cima sapere di aver fatto tutto per meritare quel traguardo!
".

Gli alpini sono da sempre noti per lo spirito di corpo che li contraddistingue, sembrano più una grande famiglia che una specialità dell’esercito. Luca concorda con me e sorridendo mi racconta che "Quando sono uscito dall’ospedale e sono tornato a casa, sono venuti a trovarmi moltissimi colleghi! Alpini che arrivavano da tutta Italia solo per stringermi la mano e dirmi che mi erano vicini, con questa gente avevo solo in comune il cappello da alpino eppure molti hanno fatto centinaia di chilometri per essere con me un solo istante. Mi ha fatto sentire parte di qualcosa di straordinario e mi ha dato una forza incredibile, mi hanno dato quel qualcosa in più per continuare a lottare. Nessuno mi ha abbandonato, mi sono rimasti tutti vicini e non solo a me ma anche alla mia famiglia".

Sorrido a questa straordinaria dimostrazione di solidarietà, un racconto che da italiana mi riempie di orgoglio, non mi commuovo per poco ma gli occhi diventano un po’ lucidi, piangere davanti ad un ragazzo con tanta forza mi sembra strano.

Gli alpini, non sono persone solo da parole e, dopo aver assicurato a Luca che non sarebbe rimasto solo in questa sua nuova vita, sono passati in modalità “operativa”.

Hanno raccolto fondi per diversi mesi, fatto concerti e partecipato a sagre di paese, hanno collaborato con tutte le associazioni d’arma che abbiamo nel nostro paese, hanno chiesto a noi cittadini un contributo per un progetto importante: una casa domotica per Luca, così che la sua vita fosse agevole anche quando era da solo in casa.

Quel progetto “Una casa per Luca” è la vetta della montagna per l’ANA - l’Associazione Nazionale Alpini – e la raggiungono tutti insieme come solo una grande famiglia sa fare.
Il 19 Maggio 2012 nella commozione generale e secondo la più alta tradizione alpina vengono consegnate le chiavi della nuova casa Barisonzi, una casa a misura delle esigenze di Luca.
L’edificio è stato terminato in tempi record grazie all’impegno dei volontari alpini e al contributo e la fiducia di tanti italiani. Questo progetto ha permetto di garantire a Luca una vita il più possibile vicino alla normalità e di vivere circondato dall’affetto della sua seconda e allargatissima famiglia.

Come riesci a spiegare la tua esperienza ai giornalisti che poco o nulla hanno a che fare con il mondo militare?

Ci pensa qualche istante. "Non è facile, sinceramente. Prima quando l’incidente era ancora fresco, non mi faceva tanto male ricordare e raccontare, ma avevo sempre paura che chi mi ascoltava fraintendesse il mio messaggio. E’ più facile raccontare la mia esperienza ad altri militari, vestiamo la stessa divisa e talvolta le stesse esperienze, andare in missione ti segna, loro possono capire, siamo fratelli.  Tuttavia, nonostante il dolore del racconto sia forte credo di dover continuare a parlare, per Luca – il mio collega e amico che non ce la fatta – e per tutti i miei colleghi che ancora lasciano ogni cosa qui per andare a portare un po’ del mio sogno in luoghi che nemmeno si immaginano".

Qual è il messaggio che vuoi far arrivare a chi legge e sente la tua storia?

"Vorrei che la gente capisse che quello che facciamo, lo facciamo anche per loro perché Noi siamo questo paese. Lottare per i diritti di altre persone è un dovere di chi quei diritti li ha tutti i giorni in casa propria, combattere e arginare coloro che vorrebbero un mondo dove a decidere non sono tutti ma pochi, questo è anche un qualcosa che facciamo per il nostro paese, perché un giorno qualcuno vedendo la nostra bandiera possa associarla alla libertà, la stessa che mi ha portato a vestire una divisa! La lotta al terrorismo si combatte in Afghanistan, Iraq e altri pochi paesi, ma quello che accade laggiù influenza quello che accade qua: se permettessimo loro di vincere, faremmo del male anche al nostro paese".

Torneresti in missione se ti fosse data la possibilità? 

"SI - la risposta è secca, senza esitazioni - della missione non mi ha colpito molto il lavoro del militare, me lo aspettavo, ci addestrano per questo! Però mi sono trovato davanti ad una strana e nuova realtà: la povertà! Sto parlando di povertà vera, di bambini che non possono bere nemmeno dalle pozzanghere. Se gli regali una bottiglietta d’acqua è come se qui avessi regalato un gioco nuovissimo della Xbox".

Consiglieresti ad un ragazzo come te di fare il militare? 

"Fare il militare, non è un lavoro che puoi consigliare è una vocazione, un po’ come il medico. Se il ragazzo che mi trovassi davanti volesse servire il suo paese ed essere garante della libertà di altri allora gli direi che una divisa addosso già se la trova. Moltissimi di quelli che si arruolano oggi pensano che sia un gioco, come quelli con cui si intrattengono davanti alla TV. Non ci sono vite aggiuntive e quando sei stanco non puoi staccare la spina e riprendere più tardi".

Mente pongo questa domanda a Luca, accanto si trova la sua mamma. Donna forte e fiera come il figlio, ha degli occhi profondissimi e un sorriso accogliente.

Mi rivolgo direttamente a Lei e le chiedo come possano aver affrontato una situazione come quella.

Mi sorride e stringendosi nelle spalle mi dice "non è che avessimo scelta, abbiamo dovuto accogliere la notizia e non vi era tempo per raccogliere i pezzi. Noi siamo la sua famiglia ci siamo rimboccati le maniche subito per stargli accanto, ma sapevamo che la situazione era grave, l’abbiamo saputo persino prima di lui.
Viaggiamo a tappe, a piccoli ostacoli superati. Viviamo in fase di serenità e altre di difficoltà che puntualmente superiamo tutti insieme.
Sono una persona che non si è mai arresa, finché non mi trovo davanti la parola “FINE” per me non è finita e grazie al cielo ho trasmesso questo ai miei figli. Luca ha una vita diversa, ma la sua vita non è finita è solo cambiata. Io e la sua famiglia viviamo dei suoi successi e delle sue conquiste, come qualsiasi genitore fa per tutta la vita dei propri figli!".

Non vi è tristezza nella risposta di questa mamma fortissima, vi è solo un velo di lacrime agli occhi che però non scendono, come dice Lei "non è la fine" dunque entrambe rigettiamo indietro le lacrime e ci concentriamo su qualcosa di più positivo.

In una storia come quella di Luca trova spazio persino l’amore, non un amore qualsiasi ma quello della sua vita.

E’ una storia che sembra uscita dalla penna di uno scrittore romantico ma è tutto vero, è vera la straordinaria forza e il coraggio impareggiabile della donna che sta accanto a Luca tutti i giorni da quando si è ritrovato in Italia con una vita nuova da vivere.

Spesso ti vedo in foto con una ragazza che penso sia la tua compagna di vita, posso chiederti come vi siete conosciuti e come ha affrontato tutto questo? 

"La nostra è una storia stranissima, quando ero in missione un collega americano mi mostra la foto della mia attuale compagna, una sua amica, non dico che è stato un colpo di fulmine ma quasi. 
Scherzando gli dico che appena torno in Italia dalla missione prendo un aereo e vado negli States a conoscerla, ma alla fine non ho aspettato e gli ho scritto su Facebook. Questo succede a novembre e fino a Gennaio quando rimango ferito appena possiamo ci scriviamo e ci sentiamo. 

Lei capisce che è successo qualcosa dai messaggi che i miei amici mi lasciavano sulla mia pagina personale, li traduce in inglese e solo dopo capisce la gravità della situazione. Contatta mio fratello tramite lo stesso social network e lui gli racconta della mia situazione e di quello che sto vivendo. Sembra assurdo, ma dopo qualche giorno me la vedo arrivare in ospedale, nella mia stanza. Ha preso il primo aereo ed è arrivata in Italia approdando nella mia vita. Da allora è rimasta accanto a me sempre, un vero angelo! Avrebbe potuto scegliere di girarmi le spalle e andarsene, invece è ancora qui!"

Intorno al tavolo dove si svolge l’intervista, sorridiamo tutti e anche se non ci siamo detti nulla, siamo consapevoli che questo è un grande miracolo che la vita a voluto mettere accanto a Luca e alla sua famiglia.

Decidiamo di congedarci così, con questa storia d’amore d’altri tempi ma che ancora scuote gli animi di chi l’ascolta.

Luca è uno di quei ragazzi che lotta, lotta per se stesso per la sua compagna e per la famiglia, lotta per il suo paese che vuole tornare a servire fedelmente il prima possibile, lotta per il suo collega e amico caporal maggiore Luca Sanna che non è qui a godere dei suoi successi.

E’ un guerriero Luca, uno di quelli rarissimi da trovare e con lo spirito di un vero italiano.
Un esempio che merita di essere conosciuto e sostenuto perché non è rimasto ad aspettare che il futuro arrivasse e lo travolgesse, lui da vero alpino il futuro se lo sta costruendo giorno dopo giorno, senza paura e senza rimpianti con la consapevolezza di essere diventato ciò che voleva: un militare, un uomo e un grande esempio .

Mentre mi dirigo verso l’uscita, chiedo se desidera che nell’articolo si parli di qualcosa in particolare, non esita nemmeno un momento e mi dice: "Potresti parlare dell’Unità spinale e del progetto Spazio Vita di cui sono Sponsor. E’ un progetto importante perché all’ospedale Niguarda servirà per ampliare gli spazi socio ricreativi dell’unità spinale che mi sta aiutando da quando sono tornato in Italia a migliorare giorno dopo giorno".

Anche alla fine della nostra chiacchierata Luca non dimentica mai gli altri e i loro problemi, si impegna nonostante tutto per continuare a portare un po’ di serenità anche nella vita altrui.

“Alpini una volta, alpini per sempre” è Luca questo lo incarna alla perfezione! 

Denise Serangelo