19/04/2014 - Sempre più spesso sentiamo dire che l'Italia per tornare a ricoprire quel ruolo dominante a livello internazionale debba puntare sulle eccellenze che può vantare, dalla moda al design. Estrema qualità, precisione, attenzione ai dettagli: sono queste le caratteristiche che contraddistinguono i nostri punti forti.

Da ormai 10 anni, il 4° reggimento alpini paracadutisti, erede dello storico battaglione omonimo che combattè valorosamente nella campagna di Russia durante la seconda guerra mondiale, è tra le eccellenze del nostro esercito.

Il Quarto, facente parte dei reparti per operazioni speciali, è l'unico reggimento delle nostre forze armate che assegna la qualifica di operatore “Ranger”. Un agognato riconoscimento per il quale ogni alpino paracadutista si addestra per 72 settimane per un totale di due anni.
Dal novembre del 2013 alla guida del reggimento è subentrato al colonnello Pietro Addis il colonnello Salvatore Paolo Raddizza, classe '67 che si racconta e ci spiega le principali attività del suo reggimento.

Colonnello Radizza, dal novembre 2013 è subentrato al colonello Pietro Addis alla guida del 4° rgt. alpini paracadutisti "Monte Cervino". Ci può raccontare il suo percorso professionale?

<Sono un valdostano, alpino di tradizione. Difatti anche mio padre è stato ufficiale delle truppe alpine. Tutto il mio percorso formativo, una volta completata l'Accademia Militare, l'ho svolto nelle truppe alpine, cominciando dall'allora brigata Tridentina in Alto Adige nel 1991. Dopodichè la maggior parte del mio periodo con i soldati con la penna l'ho passato presso la brigata Julia.
Come parentesi ho avuto un periodo di tre anni in Gran Bretagna, dove ho frequentato l'Istituto Superiore di Stato Maggiore e due anni come ufficiale di collegamento, presso il Development Concept and Doctrine Centre. Come altra esperienza formativa ho trascorso due anni come capo sezione dell'Ufficio Politica delle alleanze, in particolare mansioni legate alle forze multinazionali ONU presso lo Stato Maggiore della Difesa. Poi ho avuto questo incarico nel reggimento per eccellenza delle truppe alpine, che appunto da quattro mesi sto guidando>.

Insieme al 185° reggimento ricognizione acquisizione obiettivi Folgore e al 26° reparto elicotteri operazioni speciali, il 4° fa parte delle FOS. quali sono le attività principali del reggimento?

<Essenzialmente il Quarto non fa ancora parte del Comando Forze Speciali dell'Esercito. E' però già previsto il transito dal comando truppe alpine al CFSE nei prossimi mesi. Il reggimento è un'unità che ha come principale missione quella di pianificare e condurre operazioni speciali. Più in particolare seleziona inizialmente il personale idoneo alla pianificazione e condotta di azioni dirette, operazioni quindi che hanno un impatto strategico, sia in supporto ad altre forze speciali sia autonomamente.
Se dovessi mettere un'etichetta al Quarto, direi che è il reggimento per eccellenza con una vocazione prettamente offensiva, con un'elevata specializzazione nell'ambiente montano, che è ovviamente insito nel nostro dna di alpini>.

In quanto corpo scelto, qual è l'iter procedurale per poterne fare parte?

<L'iter prende le mosse dai concorsi speciali indetti dalla forza armata per accedere al bacino delle forze speciali. In genere è un concorso annuale che attraverso una selezione fisica, un tirocinio e al superamento del corso di paracadutismo permette agli allievi di poter accedere alla seconda fase molto più selettiva, ovvero l'iter OBOS – Operatore Basico per Operazioni Speciali. Questa fase è in comune tra il Nono reggimento Col. Moschin e il 185° acquisizione obiettivi Folgore>.

Il 4° si contraddistingue dagli altri reggimenti di forze speciali per la qualifica “Ranger” che i suoi operatori conseguono. Che cosa prevede questo percorso addestrativo?

<La peculiarità dell'unità ranger è quella di poter agire unitariamente a livello reggimento, a livello compagnia fino anche a livello plotone in attività come raid, imboscate, interdizioni d'area. Tutte attività molto spinte che si svolgono molto spesso in ambienti non permissivi.
Nel particolare cosa deve saper fare un ranger.
Il suo percorso addestrativo si sviluppa in uno iter di 72 settimane diluite nell'arco di due anni. Un addestramento molto intenso e articolato, in cui il ranger acquisisce tutti i rudimenti del combattimento nei centri abitati, della sopravvivenza, della resistenza a cattura e interrogatori, del combattimento e sopravvivenza in ambiente anfibio, nel combattimento e movimento in alto montagna sia ambiente innevato sia in ambiente estivo e della capacità di operare su roccia e su sci. Una preparazione omogenea che dona al singolo operatore un'elasticità d'impiego elevatissima.
Ogni fase è definita da periodi ben precisi e durante il percorso addestrativo ci sono acquisizioni di patenti di guida, brevetti di tiro e l'acquisizione di ulteriori specializzazioni in senso sanitario e capacitivo che arricchiscono ogni singolo operatore>.

Qual è la percentuale di abbandono degli aspiranti Ranger?

<Ci sono delle percentuali di perdite nelle singole fasi. Principalmente quando viene superato l'iter OBOS la percentuale di perdite diminuisce, poiché anche se il traguardo del brevetto ranger è distante nel tempo, è alla portato del candidato.
Dopodichè hanno inizio tutte una serie di prove che mettono a durissima prova la resistenza psico-fisica di ogni allievo. Quindi parlare di alte e basse percentuali è un dato relativo che dipende dalla fase in cui ci trova>.

Traslando su un piano operativo, il reggimento è stato impiegato sia in Iraq che in Afghanistan. Vista la natura di questi conflitti, quanto è importante un'alta specializzazione delle unità schierate?

<Questi ultimi conflitti hanno fatto vedere come la minaccia sia multiforme. Quindi a minacce di natura diversa si deve accompagnare un addestramento idoneo a riconoscere la varietà di queste ultime. Gli addestramenti sono stati ritarati, quindi, per dare molte più capacità al singolo operatore sul campo. Mi permetto di fare questo paragone, forse un po' forzato, per cercare di far comprendere il ruolo che ogni ranger può ricoprire sul campo: gli americani hanno identificato nello "strategic corporal" – caporale strategico – quella figura di combattente che con la sua azione può avere un impatto strategico.

Ogni ranger quindi, ha tutta una serie di competenze e capacità, dall'uso di materiali e mezzi speciali, ad una elevata capacità di interfacciarsi con la controparte – aspetto molto curato e prioritario nei moderni conflitti – per cui il suo ruolo sul campo va ben oltre quello del combattente ordinario. C'è anche un aspetto linguistico, con un focus sull'inglese ma non solo. Abbiamo del personale in Somalia, e il nostro capo team ha seguito un corso di arabo, per potersi calare maggiormente nella parte. In afghanistan il nostro personale mentorizza e supporta tutta la componente afgana. Ci deve essere un'empatia, una prepodisposizione al supporto di queste popolazioni>.

L'Italia sta cominciando le operazioni di ritiro dall'Afghanistan. A breve ci saranno le elezioni presidenziali e saranno la "prova del nove" per il governo afgano. Pensa che l'ISAF in oltre dieci anni abbia raggiunto gli obiettivi che si era prefissata? E come valuta l'operato delle nostre truppe?

<Prendo a riferimento le mie esperienze dirette, nelle mie ultime missioni in Afghanistan nel 2008/2009 e nel 2010/2011. Ho potuto constatare un grosso salto qualitativo da parte delle forze armate afgane, sia della polizia che dell'esercito. Sotto questo punto di vista i progressi sono stati senz'altro evidenti>.

Le nostre truppe sono state tra le principali forze occidentali con il compito di addestrare le FF.AA. afgane.

<Come atteggiamento siamo tra gli eserciti più costruttivi. Un approccio che molto spesso non deve nemmeno essere preparato, perché possiamo vantare un “savoir fair” insito nella nostra indole, figlio anche di un addestramento condotto e mirato verso un preciso percorso che ha dato sicuramente ottimi risultati>.

Vista anche la sua esperienza come ufficiale di collegamento presso il DCDC, quanto è diventata prioritaria la collaborazione sia in fase di addestramento sia nelle zone operative, tra le diverse unità schierate?

<Difficilmente ci si trova ad operare in maniera “stand alone”, quindi è molto importante e viene ricercata questa collaborazione.
Noi stessi come reggimento cerchiamo o veniamo cercati dalle forze per operazioni speciali degli altri eserciti per parlarsi, per accomunare procedure e per condividere le lezioni apprese>.

Ponendosi per l'appunto in un'ottica internazionale qual è il livello raggiunto dagli uomini del suo reggimento, paragonandoli anche ad altri reparti speciali di altre nazioni?

<Rischio di cadere nell'auto-promozione, ma è sicuramente un ottimo livello. Lo dice un percorso di addestramento molto complesso, che ci consente di valutare nel minimo dettaglio la preparazione dell'operatore ranger; lo dicono gli impegni all'estero, dai quali siamo tornati con feedback sempre positivi sia da forze speciali di altri paesi, sia dalle controparti.
Con le altre forze per operazioni speciali nascono interessanti congiunture astrali, per cui si può migliorare tutti assieme, collaborando in ambito addestrativo ed esercitativo: esperienze motivanti che danno nuova linfa all'attività del reggimento>.

Visto il periodi di crisi, il budget della Difesa continua a subire consistenti tagli. Il suo reparto ha subito tagli? Se si, hanno influito sull'operatività e sull'addestramento degli uomini?

<In tutta onestà no. Se ci sono state delle riduzioni, per quello che riguarda l'attività del reggimento, non hanno avuto impatti. Noi continuiamo a mantenere i nostri intenti addestrativi, sia nella parte della formazione del personale, sia nella parte di mantenimento della capacità dei ranger già formati. Finora non ho apprezzato nessuna minore disponibilità di risorse che mi abbia fatto rivalutare lo sforzo che sto dedicando sia al mantenimento che all'addestramento dei miei soldati>.

Si sta passando comunque da eserciti composti da molte unità ad eserciti sempre più ristretti ma con un livello di specializzazione estremo. Pensa che il futuro seguirà questo trend?

<Ci saranno sicuramente meno forze ma molto più specializzate. Questo vorrà dire una più elevata specializzazione delle forze di manovra e una sempre maggiore nostra specializzazione. Questo anche alla luce di un incremento tecnologico velocissimo; metodologie e materiali sono anch'essi in costante sviluppo, e non possono essere gestiti senza una preventiva preparazione che deve far parte dell'iter di ogni combattente>.

Pensa però che la sempre più sfrenata tecnologizzazione dei mezzi porterà via via alla fuoriuscita della figura del fante?

<“Boots on the ground” come dicono gli americani. I fatti lo dimostrano e i recenti conflitti ne sono la riprova.
Quello che posso dire è che comunque il Ranger è un Alpino paracadutista. Quindi accomuna una capacità di intervento nei tre elementi: specialità anfibia, impiego in montagna, capacità di inserzione dall'alto. Alla fine la parola "fante" è una forzatura per i miei uomini>.

Un consiglio che si sente di dare ad una recluta che ha intenzione di entrare a far parte del reggimento?

<Tempo fa avevano realizzato un piccolo booklet per le occasioni di promozione, in cui avevamo scritto: "Ranger accetta la sfida" poiché venire al reggimento è una sfida. Io conierei di più questo slogan: "Se vuoi essere parte di questo mosaico e portarlo a compimento vieni da noi".
In questo motto si riassume un po' tutto quello che offriamo. Una specializzazione spinta, esasperata del combattente, dove altrove non è conseguibile.
Per chi ama questo mestiere, o per chi si vuole mettere in gioco o si è messo in gioco scegliendo le stellette, forse da noi acquisisce quella totale consapevolezza dei livelli che un soldato può raggiungere>.

Gli Alpini sono uno dei pochi corpi dell'esercito che riscuotono sempre rispetto e sono sempre ben voluti dalla società. Come spiega questo?

<Gli Alpini per la loro indole, per il loro passato e per la loro estrazione tipicamente valligiana sono sempre stati più apprezzati o più naturalmente inseriti in contesto sociale. Noi siamo alpini paracadutisti e in questo senso sia parte della famiglia e siamo ben accettati. Lo eravamo prima a Bolzano, lo siamo adesso a Verona. Ci sono molte collaborazioni interessanti e produttivi con le associazioni d'arma.
Il cappello con la penna dice qualcosa e non può certo essere smontato in poco tempo>.

Concludendo, ci può raccontare un aneddoto della sua carriera?

<I ricordi spesso finiscono nel cassetto e si riempiono di polvere.

C'è un ricordo molto recente e relativo a questa mia esperienza al Quarto. Come ho già detto, ho passato la maggior parte della mia carriera presso la brigata Julia, quindi in reggimenti di fanteria alpina. Ho conosciuto persone, sia da comandante che da uomo, con le quali sono nati dei bellissimi rapporti. 

Circa un mese fa, a seguito di un'attività che abbiamo condotto con il reggimento sull'Adamello, dove abbiamo messo in campo un grosso nucleo di allievi, di operativi e di istruttori, avevamo lasciato la porta aperta anche ad operatori di altre brigate alpine.
Ho rivisto persone conosciute nelle mie esperienze passate che mi hanno fatto i complimenti vedendo le potenzialità dei miei soldati. E quando i complimenti arrivano da persone esterne, sono i più asettici e genuini che un comandante possa sentire e fanno apprezzare l'importanza del “giocattolo” che ha per le mani.
Questi elogi mi hanno fatto riflettere molto su come questo reggimento in dieci anni di vita abbia fatto dei passi da gigante e stia tutt'ora correndo verso dei traguardi che nemmeno noi conosciamo>.

D'altro canto “Mai Strack” - ovvero “Mai Stanchi” - è il motto di questi soldati. Due parole che dovrebbero fare da esempio per tutti noi che a volte perdiamo la forza di lottare e migliorarci.

Nicolò Marangoni