(Racconto di vita militare)
È una storia che di militare ha proprio poco, o forse no… perché rientra tra quelle abitudini di sano cameratismo, che fanno di un gruppo di persone racchiuse in una scatola di acciaio galleggiante, l’equipaggio di una nave militare. Come in tutte le comunità, si trova una umanità varia, un amalgama di tipi e di caratteri. Capo Arezzo era un Secondo Capo di una certa anzianità e dalle innumerevoli risorse professionali.
Non si limitava, infatti, alle proprie mansioni di elettricista navale, ma si dilettava a collaborare con lo Store keeper (il consegnatario dei materiali di bordo) nella tenuta in perfetto ordine tanto delle cale quanto del cumulo di scartoffie che l’amministrazione richiede. Da buon romano aveva una parlantina sciolta ed un linguaggio colorito dal piacevole vernacolo della città eterna. Era, quindi, abbastanza normale che, con le spiccate doti di affabulatore che la natura e l’ambiente gli avevano conferito, creasse capannelli ogniqualvolta si metteva a raccontare barzellette o aneddoti.
Quel giorno intratteneva una decina di persone, colleghi della componente tecnica ed i ragazzi della segreteria logistica e me, che mi ero trovato a passare dopo una breve soggiorno in barberia (rasoio elettrico “a pelle”), su di una serata passata, a Roma, con alcune ragazze.
Aho!, stavo io cor mio amico Mario er Secco, a Trastevere, quanno ce passano avanti due tipe, tutte pittate… Er Secco parte che sembrava Schumacher e comincia a pedinarle. Le aggancia e comincia a parlare. Io arrivo subito dopo: piacere Mario, piacere Guido, piacere Sonia, piacere Monia. Aho, Sonia era la “Bbona” e Monia la “Schifa”. Sonia c’aveva du’ respingenti davanti… un sogno! Monia, invece, era secca secca e pure con un dente storto davanti. Non male, però Sonia era proprio bbona da paura…!
Aho, annamo a prende ‘na bira, poi n’artra, ‘nzomma, da lì a poco semo amici amici. Mario, sto fijo de ‘na bona donna, se struscia co’ a bonona, mentre a me me tocca de parlà co’ a Schifa. ‘Nzomma, famo che a un certo punto annamo in discoteca. Zompa de qua, zompa de llà, fatto sta che me metto a parlà co’ a bbona, mentre Mario nun se scolla. Se pestamo li piedi, famo a gara pè esse più brillanti, più fichi e a bbona se diverte e nun se decide. Me faccio sotto de ppiù, me la stringo e la bacio. Aho... quella ce sta. È fatta, me dico… me giro n’attimo e Mario je sta incollato pure lui, pareva ‘n polpo. Allora me levo a majetta e me metto a ballà a nudo, agitanno a majetta come quanno allo stadio se aggita la sciarpa della “Maggica” (la Roma), sapenno che er Secco mica c’aveva er fisico che c’ho io!!! ‘Nzomma, a partita sembrava finita, quanno er Secco se mette a ballà a breakdance. Aho, pareva Michael Jackson…. A ggente comincia a fermarsi pe’ vedello ballà. Mortacci…a serata era tutta sua. Fatto sta che quanno finisce de ballà, pija a Bbona e va a infrattarsi per li c… sua. So stato battuto come un cencio…!
Improvvidamente (o forse questo era l’obiettivo finale di Capo Arezzo), uno del pubblico domandò:
E la Schifa?
Risposta:
Aho… Mo’ è mi moje!