(Racconto di vita militare)
La cena di commiato per salutare alcuni colleghi si era protratta fino a tardi .
Il dispaccio di trasferimento era arrivato una ventina di giorni prima e mi apprestavo a lasciare Roma per raggiungere la famiglia. Poi tutti insieme saremmo partiti per la nuova destinazione.
Mi ero detto che preparare i bagagli avrebbe richiesto poco tempo; lo avrei fatto il mattino del giorno successivo, quello fissato per la partenza.
Del resto, pensavo, da un armadio, una cassettiera ed una scrivania - che componevano il moderno ma "monastico" arredamento della camera che avevo occupato in foresteria per tre anni - ci sarebbe stato ben poco da portare via: qualche uniforme, un po' di roba borghese, qualche libro...insomma in un paio d'ore - comprese le pratiche per il rilascio dell'alloggio - avrei caricato la macchina e sarei partito.
Ma sì, potevo fare tutto l'indomani mattina...buonanotte.
Solo chi ha vissuto la vita militare sa quanto fosse erroneo, anche se in buona fede, tale convincimento e sa quanto un armadio a due ante con piccolo sopralzo possa essere un'illusione ottica.
In realtà esso, per qualche sortilegio fisico/logistico, con il trascorrere del tempo cresce a dismisura in profondità ed in ampiezza - forse invade addirittura le camere adiacenti - e diventa mostruosamente capiente.
Il mattino successivo le espressioni "qualche uniforme" e "un po' di roba borghese" si dimostrarono quantomeno riduttive, traducendosi innanzitutto in una montagna di uniformi invernali : oltre la "numero uno" da tenere in serbo per eventuali comandate o altre occasioni similmondane e le numero due e tre per il periodico "uso d'ufficio", c'erano - fra l'altro - maglioni dell'uniforme di servizio, quasi mai indossati; camicie militari in numero tale da consentirmi di sudarne le classiche sette al giorno per almeno dieci giorni di fila...occasione per la verità mai presentatasi; un metro cubo di calzini e biancheria varia; berretti; scarpe in numero eccedente persino le esigenze di un millepiedi di fanteria e tanto altro ancora.
Di tutto rispetto apparve anche la sterminata distesa di uniformi estive, con il connesso corredo di scarpe e calze bianche.
Né meno ampia risultò la scorta di vestiario borghese che, se venduto anche a prezzi stracciati, mi avrebbe garantito un guadagno tale da assicurarmi un ben elevato tenore di vita per i successivi dieci anni.
Anche la cassettiera e la scrivania dettero il loro piccolo ma valido contributo nell'elargizione di materiale vario di cui ignoravo l'esistenza.
Esclusa la possibilità che tre anni prima avessi liofilizzato il mio corredo all'atto di raggiungere la Capitale e scartata l'ipotesi del teletrasporto, era pertanto inspiegabile come avessi potuto portare tutta quella roba con le sole due beffarde valigie che tirai fuori dal sopralzo e che riuscii a riempire soltanto con articoli..."underwear".
Nel bagagliaio dell'auto, ampliato abbattendo i sedili posteriori, fu stivato tutto il resto - cioè praticamente tutto - secondo un ben preciso disordine derivante dalla deviazione dell'iniziale rispetto di una certa volenterosa logica verso i dettami del più elevato incasinamento generale e dell'equilibrio instabile, via via incrementati dalla voglia di partire quanto prima, dalla rabbia per aver fatto tardi a fare la spola fra la camera e l'auto, dal caldo del giugno romano e dalla copiosa sudata conseguente alle operazioni di facchinaggio.
Il tutto condito anche dal tempo necessario per uscire dalla città eterna in cui eterno è anche il traffico.
Traffico che contribuì, dopo un paio di improvvise brusche frenate e qualche sterzata troppo energica, a far franare miseramente tutto quanto avevo accatastato con tanta fatica.
"Pazienza" mi dissi "a casa scaricherò tutto con calma".
Una volta raggiunta l'autostrada decisi di prendermela comoda e mi fermai ad un'area di rifornimento per una meritata sosta.
Costretto a parcheggiare sotto il sole perché tutti i posti in ombra erano occupati, scesi dall'auto e aprii uno sportello posteriore con l'intenzione di prendere il borsello con le sigarette ed i soldi.
Avevo dimenticato la precedente frana dei bagagli: all'apertura dello sportello seguì immediata una valanga di mercanzia che mi calò sui piedi nonostante il mio estremo tentativo di arginarne la caduta. Raccolsi a bracciate e alla rinfusa calzoni, giacche, maglioni, t-shirt, berretti, camicie, giubbotti, un impermeabile più tanto altro ancora e - dando energiche scrollate nel patetico intento di ridurne le sgualciture - ributtai tutto in auto litigando con alcuni pantaloni messi sulle grucce appese all'ultimo momento alle maniglie di cortesia.
Recuperai il borsello e, per godermi una sigaretta prima di avviarmi al bar, mi diressi a passo svelto verso una zona d'ombra distante pochi metri, occupata da un'auto con targa svizzera.
Nell'avvicinarmi vidi l'anziana signora che era in macchina agitare una mano in segno di diniego e sentii che diceva " No, thank you, I don't buy ".
Il mio inglese, per quanto elementare, fu sufficiente a capire che stava dicendo a qualcuno "No, grazie, io non compro"; evidentemente dietro di me c'era uno dei tanti ambulanti che nelle aree di sosta cercano di piazzare merce ai turisti.
Istintivamente mi voltai all'indietro ma non vidi nessuno, però vidi...la mia immagine riflessa nei finestrini della mia auto e realizzai quale fosse il quadro generale: una lieve abbronzatura, gli occhiali da sole, la barba che mi incorniciava il volto, l'aspetto stravolto dal caldo, il mio abbigliamento composto da pantaloni e maglietta ben stazzonati, la macchina scura ed un po' sporca (anche grazie alla "fattiva" collaborazione di piccioni stakanovisti che abitavano nei pressi della foresteria) da cui poco prima era venuta fuori tutta la mercanzia che avevo scrollato, dando forse l'idea che la stessi mostrando per attirare acquirenti...tutto aveva evidentemente contribuito a delineare un quadro che, in una certa iconografia turistica, corrispondeva esattamente a quello di un ben fornito ambulante dell'area mediterranea pronto a partire all'attacco di un potenziale cliente.
Un po' imbarazzato dall'equivoco che si era creato, ritenni opportuno tranquillizzare la signora e le dissi "Okay, you don't buy but I don't sell. I am an officer of the italian navy" ( "Va bene, lei non compra ma io non vendo. Sono un ufficiale della marina italiana").
Mi guardò con l'aria infastidita di chi non accetta di essere preso in giro e accompagnò lo sguardo con un gesto eloquente, quasi come a scacciare un fastidioso insetto, del tipo "ma vallo a raccontare a qualcun altro". Mise in moto e se ne partì.
Era chiaro che non ci aveva creduto ed io, dopo un primo momento di delusione per non essere riuscito a convincerla, pensai che - tutto sommato - fosse stato meglio così.
Sì, meglio lasciarle il convincimento di essere riuscita a sfuggire alle grinfie di un ambulante abusivo, dall'aspetto poco rassicurante, che aveva cercato di rifilarle chissà quale merce scadente, magari di provenienza furtiva.
Se avesse creduto alle mie spiegazioni, infatti, quale misera fine avrebbe avuto l'immagine dell' "ufficiale e gentiluomo" dopo essere stata così trucemente calpestata da quella dell' "ufficiale e straccivendolo"?