“…Allora nei momenti di solitudine, quando il rimpianto diventa abitudine, una maniera di viversi insieme, si piangono le labbra assenti di tutte le belle passanti che non siamo riusciti a trattenere.”
Si accompagnava con la chitarra seduto su una delle due bitte d’ormeggio, tenendo la gamba sinistra accavallata all’altra. La sollevò e se la mise sulla coscia destra, appoggiandovisi comodamente.
Il cassero, tradizionalmente riservato agli ufficiali, era occupato solo dalle vedette di poppa. Di li a poco sarebbe calato il sole. La luce, di un rosso pallido, nelle acque insolitamente calme del Golfo del Leone, si rifrangeva sul paiolato chiaro, decretandogli il destino di un colore mutevole e indefinibile, nel matrimonio marinaro con i grani di salsedine e le gocce di spuma ancora vivide.
L’ufficiale di guardia in plancia si assicurava che il segnalatore fosse pronto per l’ammainabandiera. Il cadetto di turno, ripassava la preghiera del marinaio. Avrebbe pagato con una qualche angheria disciplinare un errore troppo marcato e, considerate le leggende dell’ equipaggio sulla benevolenza delle ragazze del prossimo porto, avrebbe preferito farsi appendere per i piedi all'albero di mezzana piuttosto che restare consegnato a bordo una volta arrivati a destinazione.
All'ordine si alzò sull'attenti.
“…Benedici o Signore le nostre case lontane, le cari genti. Benedici nella cadente notte il riposo del popolo. Benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare.”
La bandiera di navigazione sfilò lenta, al fischio del nocchiere e tornò orgogliosa a picco, non più visibile ma presente, come i nostri affetti lontani.
Giuseppe restò a godersi il trapasso del sole all’orizzonte, la brezza salmastra nelle narici e la gioia dell’esplosione di un meraviglioso universo stellato.
L’onda calma al traverso di dritta cullava tranquilla la nave che, quasi contro natura, procedeva a motore a dispetto dei suoi chilometri quadrati di vele. Tutto, insomma, cospirava per la malinconia.
Solo pochi giorni prima della partenza della nave per la crociera estiva si era incontrato con i vecchi compagni del liceo e il pensiero andò al primo giorno di scuola ed agli anni in cui l’idea di vestire il doppiopetto blu non lo sfiorava nemmeno. Ricordava l’autobus, in livrea blu, che accostava nello slargo ricavato lungo la via aurelia, interrompendo una orribile lottizzazione palazzinara anni ’60.
Le lezioni iniziavano alle otto e mezza, però la corriera impiegava una quarantina di minuti a percorrere i 15 chilometri di tragitto. I più mattinieri alle sette e mezza già animavano la piazzola. Giuseppe … Beppe (perché solo sua madre lo chiamava con il suo nome di battesimo) aveva passato la notte insonne, come sempre gli succedeva alla vigilia delle cose importanti, benché non avesse gran che da preoccuparsi, per un normalissimo primo giorno di scuola. Anzi, i due fratelli maggiori già frequentavano lo stesso liceo, sicché si può proprio dire che, pur non essendoci mai entrato, quell’istituto non rappresentasse per lui una novità.
Ecco, i fratelli… Mentre Beppe al suono antelucano della sveglia aveva svolto le pratiche mattinali in un battibaleno, i due, più scafati, avevano certamente diluito il tempo, riservandosi per il ritorno alle fatiche degli studi classici un approccio più moderato.
D’altra parte loro erano liceali, e si potevano permettere qualche sbavatura. Paola, poi, al penultimo anno, era già una creatura decisamente graziosa che non mancava di esaltare con la giusta civetteria la bellezza dei suoi anni dalla buccia rossa, a dispetto della polpa, ancora acerba.
Risultato, la “corsa bis”, come veniva chiamata la corriera riservata agli studenti, era già bell’e passata quando i due terminarono la colazione e realizzarono che solo un intervento divino o, in alternativa, la macchina di papà, avrebbero potuto consentire l’arrivo a scuola in un tempo accettabile.
Papà, che metteva lo studio sopra ogni cosa, non si tirò indietro. Per fortuna era una tiepida mattinata autunnale. Fumava come un turco e aveva l’abitudine di aprire un piccolo spiraglio nel finestrino. Grazie al clima avemmo tutti l’autorizzazione a calare i finestrini a zero. Il che salvò, più che le nostre, le narici dei compagni di classe, per Beppe ancora sconosciuti.
Non c’era un gran traffico, il primo di ottobre del ’77 e il viaggio fu rapido quanto bastava per recuperare un po’ del tempo perduto, ma non abbastanza per poter scegliere un buon banco da tenere tutto l’anno. Il problema, in verità, riguardava solo Beppe. I fratelli, infatti,
avrebbero potuto rivendicare anzianità acquisite o aver già in precedenza concordato una adeguata sistemazione.
Angelo, che nel biennio ginnasiale aveva avuto lo stesso professore che ora passava in eredità a Beppe, gli indicò la porta della classe e lo salutò.
Erano rimasti solo due posti: uno in fondo all’aula ed uno in prima fila, subito appresso alla porta. Beppe, agitato dall'ansia di sistemare le cose che sempre lo divorava, posò la borsa floscia, piena del solo diario, nuovo di zecca, sul banco in prima fila.
Dato immediatamente uno sguardo al suo futuro compagno, fece il gesto di portare via la borsa… ma gli parve brutto e, comunque, venne anticipato dalla mano del giovinetto che occupava il banco a fianco.
“Ciao, io mi chiamo Chicco” disse nel mentre, con una voce piuttosto nasale e, per così dire, sbrodolosa. Beppe gli porse la mano.
Si avvide che oltre ad una specie di busto, che gli sorreggeva il collo, come a correggere una invincibile gravità, e che gli aveva dato l’impulso iniziale di dirigersi al fondo, Chicco aveva una specie di boccia che gli fuoriusciva dal naso.
“Adesso sono sistemato! – pensò Beppe – mi toccherà perfino portarlo a pisciare…”.
Si trattava, in realtà, semplicemente di un busto provvisorio, precauzione utile per rimediare ad un lieve schiacciamento dovuto all’ultimo tuffo di stagione e, per quel che concerne la narice, di un polipo, fastidioso più per lui che per gli altri e, fortunatamente, fastidioso quanto innocuo. Il danno peggiore, probabilmente, era dovuto al patrimonio speso in fazzoletti di carta, cosa che in Liguria merita sempre un minimo di attenzione…
A richiamare altrove l’attenzione ci pensò, comunque, il professore, un glabro con delle improbabili basette riportate dalla capigliatura, come richiesto dalla moda negli anni ’70.
“Aicardi… presente” , Bandini… presente...”
L’appello mattutino gli risuonava all’orecchio e rivedeva i volti dei compagni, lasciati ormai molti anni addietro, finché l’altoparlante di bordo non lo richiamò al presente.
“Guardia montante prepararsi a rilevare”.