04/05/2015 - Una riflessione accorata e per certi aspetti poetica sul Tricolore chi scrive l'ha già fatta, tuttavia il cimento di raccontare il Canto degli italiani ce lo si era risparmiato e non per scarso amore di Patria, ma proprio per questo titolo: Canto degli Italiani.
Il nome fu riesumato dal già Ufficiale degli autieri, poi banchiere ed in fine Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il quale si mise in testa di far cantare l'Inno Nazionale in ogni circostanza, anche alla sagra della salamella di Rovigo (non si è a conoscenza dell'esistenza di tale sagra).
Questa inappropriata scelta ha determinato una ulteriore e non certo necessaria perdita di sacralità del patrio canto ed un'ulteriore disaffezione da parte di chi ragiona su queste righe, ma ciò che ha messo in moto l'indignazione e la conseguente scelta di avviare una difesa d'ufficio della poesia di Mameli è stata la mostruosità del "siam pronti alla vita" con cui un "disattento" direttore del coro Piccoli Cantori di Milano ha deciso di sfregiare l'Inno Nazionale in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'Esposizione universale di Milano.
Sì, sfregiare, sfregiare! Perché quel canto fu scritto da un ragazzo di 21 anni, Goffredo Mameli appunto, che alla vita era pronto di sicuro, ma non certo alla morte improvvisa che lo colse nella difesa di un ideale, quello dell'Italia, eppure nello scrivere quel testo, scelto dopo cento anni quale Inno Nazionale, decise di usare la formula siam pronti alla morte, forse per esorcismo, sicuramente per devozione e per dimostrare che al valore più grande dell'individuo: la vita, è possibile sovrapporre un concetto, quello di comunità, intesa quale insieme di uomini e donne legati da valori, ideali, sogni, aspirazioni in comune, insomma la nazione.
Storpiando l'inno, non solo si è ferita la memoria di chi lo ha scritto, ma si è insinuato in quei piccoli cantori il germe della disillusione e del relativismo: tutto si può cambiare, ma ciò sta anche a significare che nulla è certo, compresi i valori, l'affetto della famiglia e gli insegnamenti della scuola, insomma ognuno fa come vuole o meglio ciascuno fa come può in un mondo dove l'individualismo rende pronti alla vita e quindi a se stessi, senza mettere in conto la possibilità che ci si possa donare agli altri anche fino alle estreme conseguenze.
Per tutta questa riflessione, per un sincero amore di Patria si è arringato a favore del Canto degli Italiani, anche se lo si preferisce con il titolo di Inno Nazionale e lo si vorrebbe cantato solo in occasioni solenni, come il Te Deum e non negli stadi o nelle feste di partito dove la parte musicale viene sempre accompagnata da quell'orribile Poro-po-po-po-po-po.
Evviva Mameli, Evviva l'Italia, Evviva la sacralità del nostro Inno.
Andrea Pastore