11/06/2015 - Il respiro è lento, cadenzato, quasi musicale, dalle narici l’odore di zolfo e polvere lentamente si insinua nel suo corpo indolenzito dalla posizione per troppe ore assunta, sempre uguale, sempre quella.
Vuole rimanere lucido, deve farlo!
Da più di due ore colpi cadenzati giungono dalla strada, mentre bombe di mortaio colpiscono l’area antistante il magazzino all’angolo.
Scruta il viale in maniera regolare seguendo un percorso per linee parallele, finiti i centocinquanta metri che portano ad una rotonda grigia ricomincia il percorso salendo lungo le pareti dei palazzi sventrati, ogni finestra, ogni buco potrebbe essere una minaccia, ma questo non lo preoccupa: nessuno potrà sopravvivere a questa vita.
Un silenzio anomalo sembra essersi impossessato della strada, i colpi hanno lasciato il posto al fruscio del vento, si chiede se si tratti di un inganno del cervello oppure se sia già morto e non lo sa, ma no!
È impossibile morire in compagnia del proprio respiro, intanto una mano gli sfiora la spalla, è il momento di ruotare lentamente la testa a destra e sinistra cercando di scaricare la tensione.
Mentre la mente comincia a contare le mani lasciano alternativamente l’impugnatura in materiale plastico e si distendono, un dito per volta, quasi a voler ricercare una estensione maggiore dei limiti imposti dalla fisiologia.
Tira un sorso dal tubo nero che sa di plastica e saliva, colpisce leggermente la suola di uno scarpone con la punta del proprio e ricomincia la danza su quei centocinquanta metri di strada, su quel piazzale antistante il magazzino e lungo le ampie pareti sventrate, sempre col respiro cadenzato, sempre senza fretta, coinvolgendo i cinque sensi perché non occorre solo scrutare o sentire è necessario percepire l’intenzione, prevedere l’azione, contenere l’effetto, neutralizzare la minaccia.
Il tempo scorre sempre uguale, ma si dilata nella propria essenza, perché un conto è immaginarlo l’abisso, un conto e fissarlo, senza sosta, percependone ogni dettaglio, andando oltre il limite delle tre dimensioni e riempiendolo di suoni, odori, sapori, sensazioni.
Tutto ciò ha un nome, un senso profondo, ma soprattutto un sensore: l’occhio del cecchino.
Andrea Pastore
(foto: Canadian Armed Forces)