12/05/2015 - Giovedì 7 maggio 2015, presso la Sala Auditorium della Camera di Commercio di Livorno, ha avuto luogo una conferenza dal titolo “Humint…questa sconosciuta” dedicata al recente libro i cui autori, generale Paolo Piacentini e generale Claudio Masci, hanno scandagliato a fondo le problematiche legate al ruolo dell’agente segreto dal passato, fino ai tempi più recenti.
Il convegno ha avuto anche un valore aggiunto giacché legato alle numerose attività patrocinate dall’A.N.I.E., Associazione Nazionale Incursori Esercito, la quale riunisce tutti gli ex appartenenti all’unico corpo di Forze Speciali dell’esercito italiano: il 9° Reggimento Paracadutisti d’Assalto “Col Moschin”. L’Associazione, malgrado le sue tradizioni, è giovanissima: nasce dall’iniziativa dall’ex sabotatore Franco Falcone, che costituì il primo nucleo di forze speciali a livello plotone per poi essere definitivamente consacrato a livello compagnia agli ordino del capitano Edoardo Acconci. Fu lui il primo a lanciare l'idea di riunire in un sodalizio gli ex sabotatori ed ex incursori che si realizzo successivamente ad opera del gen. Incursore Valdimiro Rossi a ritrovarsi in seno all’A.N.P.d’I. per poi, nel 1997, avanzare ufficialmente una proposta di costituzione indipendente. Questa iniziativa portò alla definitiva fondazione nell’anno 2000, in cui si definirono anche le finalità associative tra cui, la più importante, la perpetuazione della memoria dei reparti Arditi e degli altri ad essi connessi.
Il logo associativo, disegnato dal segretario Paolo Frediani, è frutto di quella tradizione simbolica che prende spunto dagli Arditi dei Reparti d'Assalto del colonnello Giovanni Messe, eroi dei campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale. Il clima che si respira all’interno di questo gruppo di “uomini straordinari” è tipico di coloro che nella vita non sono mai rimasti fermi a guardare, ma che hanno agito, occupando spesso posizioni di rilievo. Il loro lavoro può risultare indecifrabile ai più, ma dietro a molti episodi politico/militari della storia del nostro Paese, c’è quasi sempre la figura di un incursore che ha fatto la differenza.
Uno di questi è certamente il presidente dell’A.N.I.E., colonnello Angelo Passafiume (foto sotto a sx) i cui racconti sulla sua vita operativa basterebbero a riempire diverse pagine di un volume di storia militare. L’Associazione può vantare, inoltre, la presenza di uomini che hanno dato lustro al nostro Paese in missioni difficili: dal presidente Onorario, generale Franco Angioni, al gen. Marco Bertolini decano degli incursori tutt'ora in servizio, al generale Simone Baschiera, alla medaglia d’argento maresciallo maggiore Marcello Fagnani, al generale Luciano Piacentini. Proprio quest’ultimo, insieme al generale dei Carabinieri Claudio Masci, è stato protagonista di un’interessante discussione che ha appassionato due relatori estranei all’ambiente militare, professor Vernassa e dottor Garrera e il folto pubblico intervenuto in sala.
La capacità di sfruttare le risorse umane presenti su un territorio per ottenere informazioni è un mestiere difficile che deve tener conto di innumerevoli variabili alle quali la tecnologia non riesce a dare risposta. Tutti concordano sul fatto che, malgrado gli strumenti informatici, la componente umana e le capacità individuali siano insostituibili, soprattutto quando ci si trova ad operare in posti dove lo sviluppo industriale e tecnologico è di basso livello. In questo senso, le parole spese dal colonnello Passafiume, sono state illuminanti: la sua missione in Somalia e gli obiettivi da lui conseguiti in qualità di Capo Ufficio Intelligence (G2) sono la prova che una buona rete informativa “Human” è più efficace di qualsiasi apparato informatico.
Il generale Piacentini (foto sotto a dx) ha aperto il suo intervento dedicando il volume ai giovani, a tutti i ragazzi che indossano una divisa e che sono chiamati sul campo ad affrontare situazioni ad alto rischio dove la raccolta di notizie potrebbe salvare la vita a molti compagni. Scopo del libro – ricorda il generale, ex comandante del 9° - è anche condurre chi usa la Humint verso una sorta di etica che armonizzi l’informazione, la renda fruibile in modo semplice e corretto. L’uso dei servizi segreti non è una novità coeva e i due autori fanno volentieri un passo indietro raccontando come, nei secoli trascorsi, l’Impero britannico abbia saputo sfruttare una fitta rete di informazioni per avvantaggiare i suoi affari. Piacentini e Masci non dimenticano, infine, che un apporto fondamentale a queste tecniche “investigative” arriva proprio dall’Italia, nella fattispecie da Genova e Venezia le quali, forti del loro saper commerciare, furono tra le prime ad avvalersi di una trama informativa che ha fatto scuola in tutta Europa.
La discussione si è poi focalizzata sull’epoca contemporanea e ai difficili conflitti asimmetrici che, dopo l’11 settembre, hanno cambiato la fisionomia geopolitica del mondo. Oggi più che mai la “Humint” è rilevante per meglio interpretare la multidimensionalità della lotta al terrorismo. Il dottor Garrera, nel suo sapiente intervento, ha ammesso una certa debolezza dell’Occidente, consolidata da un sentimento religioso che spinge verso la carità e l’accoglienza. È forse questa la vera debolezza dell’Occidente? Questo spirito indulgente potrebbe dunque snaturare la nostra identità nazionale portando a un’invasione silenziosa e pacifica della nostra cultura? In questo senso, l’opinione del generale Piacentini sembra andare in senso opposto, giacché afferma che il continuo afflusso di profughi sulle nostre coste, mette al riparo il nostro Paese da rischi maggiori. L’accoglienza è dunque la giusta ricetta per evitare attacchi terroristici in Italia?
Quello che più mi preoccupa, allacciandomi alla tesi esposta da Garrera, è quando uno Stato voglia apparire per forza debole, fintanto da stravolgere anche il senso del suo Inno Nazionale. Ostentare tolleranza, benevolenza, pietismo nei confronti dei migranti venuti dal mare è certo un sentimento che accomuna gran parte della popolazione italiana la quale – lungi dall’essere razzista – ha sempre assimilato con dignità tutto ciò che è “diverso”. Ma se lo stesso atteggiamento riguarda la classe politica, allora qualche preoccupazione è legittima poiché uno Stato non può lasciarsi sopraffare dal sentimento. La politica militare italiana è la dimostrazione di come il nostro Paese voglia volontariamente e a tutti i costi proclamare la sua non belligeranza, anche quando la minaccia è concreta. È un errore gravissimo, ma ancor di più rappresenta un danno considerevole nei confronti di chi, come i militari, siano comunque chiamati a fare il loro dovere nelle regioni più remote del mondo. Uno Stato non può dissociarsi dal fatto che invia i suoi uomini migliori, come i ragazzi del “Col Moschin”, a fare la guerra ai terroristi per poi negare che questo scontro sia in atto. In situazioni come queste entra in gioco l’Intelligence, come fattore armonizzante tra azione e politica, tra scontro e conciliazione. Il vero lavoro di un agente segreto – lontano dalle bizzarre rappresentazioni hollywoodiane – è guidato da fermi principi e da un’etica che aiuta a scegliere gli obiettivi, a evitare inutili spargimenti di sangue, ottimizzare le risorse e magari anche a trovare soluzioni alternative alla violenza. Ancora una volta il colonnello Passafiume, con disarmante concretezza, spiega come l’incursore non sia solo azione, al contrario raggiungere l’obiettivo evitando lo scontro è la vera vittoria delle Forze Speciali. Oggi, come ieri, il profilo di un incursore è proprio questo: armonia e correità tra l’uso della forza e l’intelligenza.
L’Italia ha la ferma necessità di conoscere le sue eccellenze che non significano solo buona cucina, moda o la Ferrari: questi sono valori commercialmente importanti, che godono di una vetrina internazionale inequivocabile e sempre alla ribalta. Ci sono invece eccellenze nostrane che non amano sfavillanti palcoscenici, ma ambiscono semplicemente a far si che il loro lavoro sia riconosciuto. Questa Italia è fatta dagli incursori del “Col Moschin” e da tutti gli altri che portano con orgoglio una divisa: dare a loro il giusto tributo preserverebbe, forse, da quella “debolezza Nazionale” che tanto può far male.
Paolo Palumbo
(foto: Viviana Cariola / apertura EI)