16/02/2015 - La Sicilia (e l’Italia) non deve temere un attacco missilistico, ma una massiccia ondata di sbarchi di profughi che potrebbe mettere in ginocchio l’intera economia. Per certi versi, un attacco ben più efficace di quello rappresentato dalle “Wunderwaffen” accumulate nei depositi di Gheddafi.

Intanto, sarebbe opportuno fare una lucida premessa: i fondamentalisti dell’Isis non possiedono alcuna forza d’assalto anfibio. E, di certo, i barconi della speranza non possono di certo considerarsi come mezzi da sbarco.

Storia insegna che per attuare una qualsiasi azione anfibia è necessario possedere la supremazia aerea. Con le dovute proporzioni, potremmo pensare all’operazione ‘Leone Marino’ progettata dal Terzo Reich per invadere l’Inghilterra. Nonostante le forze assemblate nella Francia occupata, la Germania nazista non riuscì mai ad imporre la supremazia aerea così da garantire (anche se poi ci sarebbe stato un altro ostacolo chiamato Royal Navy...) il sicuro transito delle forze da sbarco. Quindi, a meno che l’Isis non decida di trasformarsi in un esercito di ultima generazione (acquistando da russi, americani e cinesi), le possibilità di un’invasione sono pari a zero.

La Libia è un paese allo sbando. A nulla sono valsi i tiepidi tentativi di instaurare un governo in grado di soppiantare quell’insanguinato e truce regime di Gheddafi. I fondamentalisti, quindi, agendo in concreto indisturbati si apprestano a conquistare l’intero paese, seminando il terrore e continuando ad inanellare nemici come l’Egitto che poche ore fa ha dato il via a bombardamenti aerei.

Una pioggia di missili sulla Sicilia?

L’Isis è alla ricerca dei depositi militari che un tempo appartenevano alle Forze Armate Libiche.

L’esercito libico, almeno sulla carta, durante il regime di Gheddafi era ritenuto in possesso di grandi quantità di materiale bellico, prevalentemente di produzione sovietica. Stesso equipaggiamento, però, ritenuto già sotto il regime del Rais come inutilizzabile ed obsoleto. Quindi, qualora esistessero ancora, le armi del precedente regime non sarebbero altro che espressione tecnologica degli anni sessanta e settanta.

Potrebbero fare senza dubbio gola i carri armati (erano circa 800 poco prima della guerra, scesi a 300 dopo la fine delle ostilità) T-62, T-72 e T-54/55. Bisogna però capire quanti, di questi mezzi, siano ancora funzionanti e dove troveranno il carburante oltre all’apparato logistico necessario per rendere operativa una forza corazzata. Nei depositi, potrebbe ancora trovarsi qualche sistema Sam appartenenti alla famiglia Strela, ma anche in questo caso, parliamo di dati su carta.

Quello che sappiamo è che la Libia prima della guerra possedeva un esercito di quarantamila uomini equipaggiato con armamento degli anni settanta.

Infine, i missili Scud, tanto pubblicizzati dal Califfato. Si sa che Gheddafi, acquistò in totale circa 400 missili balistici a corto raggio. Quanti ne siano davvero funzionanti, ad oggi, è un mistero. Di certo aspettiamoci filmati di propaganda con missili assemblati trasportati per le vie delle città conquistate e con slogan tipici dei terroristi.

Al di là della retorica, però, quei missili non sarebbero nemmeno in grado di alzarsi in volo. Le specifiche dello Scud-B entrato, in servizio nel 1961, sono note da tempo. E’ in servizio soltanto in alcuni paesi medio-orientali, anche se per quasi mezzo secolo è stato l’ordigno tattico più famoso al mondo e “primo regalo” per ogni dittatore.

Il raggio d’azione della versione B è di 280/300 km mentre la testata convenzionale è di 800 Kg.

Può anche imbarcare testate nbc. I terroristi dovrebbero trovare degli Scud rimasti nei depositi per decenni e rinvenirne qualcuno ancora funzionante. Poi dovrebbero rifornirlo, armarlo e lanciarlo.

Certo, non consideriamo nemmeno il sistema Aegis sempre di pattuglia nel Mediterraneo o lo schermo difensivo satellitare ed a terra americano che proprio in Sicilia ha alcune delle basi più importanti d’Europa o i sottomarini di stanza a copertura di possibili bersagli.

Nei testi di propaganda diramati dall’Isis per quella pubblicizzata come la “tempesta di missili verso la Sicilia” si parla anche dei missili M75. La loro testata da venti chili ed il loro raggio di 80 km, non spaventano nessuno.

E’ evidente che siamo davanti ad una sorta di propaganda ad uso interno. Gli esempi non mancano: Germania nelle fasi finali della guerra prima, Iran e Corea del Nord oggi si presentano al proprio popolo come superpotenze mondiali. La realtà, però, è un’altra cosa.

La faccenda si farebbe ben più seria, se l’Isis riuscisse a conquistare l’Arabia Saudita o l’Iran (che, comunque, dispone di equipaggiamento moderno). Siamo, però, sul campo delle mere congetture.

L’Isis, in realtà non ha mai affrontato un esercito moderno, non dispone di un’aeronautica né di una flotta. Si espande, però, con una certa velocità nei paesi in crisi, sfruttando le debolezze di quei governi che non hanno mai avuto il reale controllo sul territorio.

Certamente, contro i 200 mila uomini del Califfato, poco o nulla possono i reparti speciali occidentali schierati in Iraq e che, nonostante il lavoro svolto, non possono di certo vincere con una proporzione numerica assolutamente schiacciante ed insostenibile.

Servirebbe una presa di coscienza dei popoli sottomessi, un intervento armato su larga scala occidentale (gli Usa non faranno un altro Vietnam) o la rabbia dei paesi limitrofi colpiti.

Forse quest’ultima è l’unica soluzione per bloccare i terroristi.

Quindi, l’Italia non teme nulla?

Assolutamente no, perché se da un lato è vero che fino a quando avremo gli americani dalla nostra saremo al sicuro, dall’altro lo Zio Sam non può nulla contro la politica dell’accoglienza italiana (forse la più permissiva del mondo) verso quei profughi che scappano dalla propria terra natia.

Migliaia di profughi in arrivo potrebbero rappresentare un’arma ancora più letale di un missile per quello che a tutti gli effetti potrebbe essere un caso sistematico in grado di destabilizzare il sistema economico italiano. E questo i terroristi lo sanno.

Riempire lo stivale di immigrati, partendo dalla Sicilia, è una subdola quanto facile operazione d’assalto.

Un chiaro esempio di attacco asimmetrico senza sparare un colpo, ma che sarebbe in grado di mettere in ginocchio l’economia.

Senza considerare, infine, la pericolosità di alcune cellule dormienti che proprio tra i profughi potrebbero nascondersi. Alla fine l’arma più devastante del pianeta non è di certo l’atomica, ma il singolo uomo con addosso una cintura imbottita di esplosivo e bulloni e che si fa dilaniare dentro una chiesa o su una piazza stracolma di gente. La perfetta granata a frammentazione intelligente.

Se consideriamo che tra quelli che sbarcano in Sicilia molti fanno perdere le proprie tracce, possiamo davvero affermare di non temere i missili, ma un’altra minaccia ben più reale e difficilmente tracciabile.

Franco Iacch