30/03/2015 - I soldi possono fare tanta felicità, ma sanno anche guidare una coalizione militare?
Sono ormai diversi giorni che assistiamo alla dimostrazione di forza della petromonarchia saudita in Yemen e qualcuno inizia a domandarsi se questa coalizione sia davvero all'altezza dei soldi che spende.
La Difesa di un paese non si basa solo sugli armamenti che possiede oppure sui soldi che è disposta ad investire, gran parte del lavoro viene svolto dai soldati e dalle strategie geopolitiche adottate sul piano internazionale.
Della Difesa saudita abbiamo molte indiscrezioni ma poche dimostrazioni di una reale forza militare capace di incoronarla leader alla guida di una delle regioni più ricche del mondo.
Lo scorso anno l'Arabia Saudita ha letteralmente scalzato via lo scettro di Top Importer per il settore armamenti all'India e il trend per il biennio 2014-2015 non sembra cambiare di molto. Gli investimenti della Monarchia per le nuove tecnologie militari aumenteranno di 2-3 punti percentuali rispetto alla spesa dello scorso anno stimata in 60 miliardi di dollari, i suoi colleghi del Consiglio di Cooperazione del Golfo si attestano al di sotto di questi valori ma non di molto.
La corsa al riarmo della regione è giustificata - se così vogliamo dire - dalla proliferazione del nucleare iraniano (che bisogna ricordarlo appartiene alla sfera dei musulmani sciiti) degli ultimi anni, la paura che l'Ayatollah Khamenei voglia e possa utilizzare armi di distruzione di massa alimenta forti tensioni e spinge paesi confinanti a correre ai ripari.
Riyadh, che da sempre condanna la condotta iraniana sul nucleare, pare lavorare su più fronti e se da una parte teme per la sua sicurezza dall'altra corre ai ripari in tutta fretta acquistando missili balistici dai cinesi e dai pakistani.
Lo scorso 29 aprile alla sua parata militare, l'Arabia saudita ha fatto outing mostrando per la prima volta il suo deterrente strategico costituito da missili balistici cinesi Dong Feng 3 che hanno capacità di imbarcare testate atomiche e convenzionali da 2 tonnellate. Il raggio d'azione sarebbe perfettamente in linea con gli obbiettivi extranazionali primari: Israele ed Iran.
Quasi sicuramente questi missili non saranno mai utilizzati per una guerra a tutto tondo con i nemici giurati, ma ha il sapore di un modo alternativo per sottolineare la leadership regionale - mai veramente conquistata - minata negli ultimi anni dal sostegno che il governo quatariota ha concesso al gruppo dei "Fratelli Musulmani".
Fonti ben informate sostengono che i sauditi potrebbero non essersi limitati all'acquisto di missili dai cinesi ma che abbiano finanziato in modo nemmeno troppo velato il progresso nucleare pakistano; desideroso quest'ultimo di non concedere nessun vantaggio strategico alla vicina India.
In caso di attacco alla sicurezza nazionale, il Pakistan sarebbe pronto a far decollare un C-130 saudita con testate nucleari da imbarcare sui DF 3 cinesi.
Come abbiamo precedentemente detto, la corsa agli armamenti dei paesi del Golfo è legata agli andamenti regionali ma non sono da sottovalutare le decisioni per la politica oltremare degli Stati Uniti.
Con l'amministrazione Obama infatti è cambiato il mainstream della politica estera a stelle e strisce - con scuse campate in aria come poche altre se ne sono viste nella storia - spostando i riflettori sui drammi di "casa America" piuttosto che spedire truppe in giro per il mondo. Un bene o un male non sta a noi giudicare ma sicuramente la titubante politica estera americana mette in allerta l'intera regione che perde un sostegno strategico-militare importante.
Fin dal 1984 il Consiglio di Cooperazione del Golfo aveva istituito una piccola unità bellica chiamata Peninsula Shield Force costituita da quasi 10.000 unità provenienti da tutti i paesi aderenti.
Questa mini-brigata si è però rilevata un totale disastro, in almeno due occasioni l'ha dimostrato apertamente: la prima nel 1990 quando non riuscì a fermare l'invasione del kuwait ad opera di Saddam Hussein e nel 2011 in Bahrein che chiese aiuto per sedare una rivolta interna di scarsa intensità senza nessun risultato.
La peninsula shield force esiste ancora oggi ma è un'entità aleatoria i cui soldi si potrebbero destinare per un ammodernamento dei piani di addestramento dell'esercito regolare, magari in collaborazione con qualche esercito europeo.
Visto e considerato il fallimento di una milizia congiunta e il ritirarsi dell'appoggio militare USA, l'Arabia Saudita si è fatta portavoce di un progetto che fa molto discutere: la creazione di una vera e propria Unione di Stati del Golfo, una sorta di Stati Uniti d'Arabia.
Questo mastodontico progetto porrebbe la legittimazione politica - con la creazione di un ministero degli Esteri degli Stati Arabi Uniti - per creare un esercito regionale che sarebbe pari solo al concetto di "Esercito Europeo" di cui si discute da decenni nel vecchio continente.
Il principe Turki al-Faisal, storico capo dei servizi sauditi ed ex ambasciatore in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sostiene che: «Dobbiamo andare al di là delle nostre differenze e creare una forza bellica unificata, con una chiara catena di comando. La sicurezza di un popolo è quella di tutti, la stabilità o l’instabilità di un Paese coinvolge ogni membro del Consiglio».
Proprio ieri - domenica 29 Marzo - i paesi arabi (22 nazioni in totale) si sono riuniti a Sharm el Sheikh per discutere della delicata situazione geopolitica della regione.
Temi centralissimi sono stati l'operazione militare in Yemen e le preoccupazioni per un eventuale avanzata dell'IS nella zona del Golfo. I leader dei paesi sunniti hanno annunciato la costituzione di un apparato militare congiunto che dovrebbe contare circa 40mila soldati, unità aeree e navali, con un comando in Egitto o in Arabia Saudita.
Le difficoltà affrontate da diversi anni a questa parte dovranno essere condensate tutte in pochi mesi perché l'Esercito dei futuri Stati Uniti d'Arabia veda la luce.
Il summit della Lega Araba ha inoltre deciso di continuare le incursioni aeree in Yemen ma ancora non è chiaro con quale scopo, sappiamo benissimo che i ribelli non si ritireranno o deporranno le armi come auspicato.
Si è vociferato di una plausibile invasione di terra ad opera di forze congiunte dei vari paesi ma continua a mancare una strategia chiara e lungimirante per un nemico tenace e che gode di un grande appoggio popolare.
Quanto detto fin'ora non rassicura sul futuro militare della regione.
Strategie sconclusionate e imperniate su concetti da guerra fredda rendono poco incisivo qualsiasi tipo di intervento oltre i confini nazionali.
Le paure e i rancori politici passati impediranno alla Lega Araba di trovare un valido punto d'incontro sulla politica estera capace di guidare un futuro esercito multinazionale.
Le perplessità maggiori derivano dall'avanzata del'IS e dalla politica invisibile di Stati Uniti ed Europa, la loro latitanza potrebbe permettere ai paesi sunniti di prendersi per la prima volta il merito di una strategia comune vincente.
Le risorse dispiegate per lo Yemen potevano essere facilmente impiegate contro lo Stato Islamico ma si è preferito guardare ad interessi nazionali egoistici piuttosto che ad un futuro nemico che non busserà alle porte ma le abbatterà con innata ferocia.
I "nemici" del Consiglio di Cooperazione del Golfo sono organizzati, potenti e ben guidati e dunque arrivato il momento di capire se i soldi comprano solo la felicità oppure anche una strategia militare vincente.
Chi vivrà, vedrà!
Denise Serangelo