02/05/2015 - Strada tra Luhansk e Debaltsevo. È la parte nord del Donbass, ormai tutta filorussa. Davanti alla carcassa di un T 72, si capiscono meglio le cose. Toccando la maglia unta di un cingolo si vede che la guerra è sporca per davvero e che le steppe dell’Est non sono fredde solo per Tolstoj.
L’unto e il gelo delle parti metalliche danno una buona sintesi del clima: davanti, una fetta d’asfalto grigio e umido; di lato, sterpaglia giallonera, colore del carro armato.
Le facce e le voci che sono passate qui rimangono nell’aria, senza più vita. Intorno, c’è un silenzio gonfio.
I carri armati distrutti sono i resti di una divisione corazzata ucraina. Si riconoscono perché non sono adornati di fiori come quelli “amici”, spesso prede belliche strappate proprio alle forze di Kiev.
Passano due Ural in direzione Luhansk con la croce di Sant’Andrea. Forse sono i Cosacchi di Pavel Dremov. In questo settore sono loro a difendere i confini della Nuova Russia, la federazione di tutti i territori separatisti. I camion alzano acqua sporca da una pozzanghera, verdegrigia come le mimetiche dei soldati.
Camminare tra fango e resti di armi distrutte accelera i pensieri. Guanti, lana, sigarette brevi, zuccotti verdi… Tutto è inverno, anche quando arriva la primavera.
In Ucraina s’imparano tante cose sul freddo, alcune cattive altre meno:
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trattiene la decomposizione dei corpi e la puzza, rendendo la guerra in Ucraina migliore che altrove.
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mantiene più a lungo la neve che, sciolta sulle stufe, garantisce scorte d’acqua ai civili.
La guerra è anche questo.
Passati i camion, torna il gelo unto e metallico dei cingoli.
Gli accordi di Minsk del 12 febbraio, visti da qui, fanno ridere.
Che non esista una politica estera europea lo sanno anche i bimbi dell’asilo. Non c’era bisogno della guerra per capirlo.
Per arrivare alla tregua di Minsk, a parlare con Putin ci sono andate Francia e Germania, ma a titolo proprio. La prima perché ha legami coi Russi ben oltre l’asse atlantico; la seconda perché se l’Europa fosse una partita di briscola, la Merkel sarebbe l’asso.
Come consuetudine mancava Londra. Su certe questioni il Foreign Office si fa gli affairs suoi dai tempi di Elisabetta I. Il Regno Unito, poco incline alle rotte continentali, ha alzato la voce con la Russia più per dovere che per convinzione, evitando di condividere l’ennesima disfatta diplomatica di Washington dopo Siria 2013 e Crimea 2014.
Mancava anche l’Italia ai colloqui. Quell’Italia che ha ospitato il Trattato di Roma ma che non rientra tra le potenze UE con le palle grandi. Quell’Italia che però è riuscita ad occupare col Ministro Mogherini la carica più invidiata da quando l’uomo ha inventato le cariche da invidiare: quella di Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. A Bruxelles solo tre titoli sono più ambiti:
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Più veloce mangiatore di cavolini ripassati
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Primo assaggiatore di birre trappiste
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Miglior intenditore di patatine fritte
Sono soddisfazioni.
Per capire cosa voglia dire Alto Rappresentante servono studi di linguistica e semantica. Una delle ipotesi più accreditate è che equivalga a una sorta di capo della diplomazia dell’Unione Europea, senza però che ci sia una diplomazia dell’Unione Europea. Un po’ come mangiare la pizza senza pizza o andare al cinema senza cinema.
Poco importa però. Sulla strada tra Luhansk e Debaltsevo la retorica, titolata o meno, conta comunque poco.
Il cessate il fuoco in vigore dal 15 febbraio, è tutto nelle carcasse dei carri armati sparse in giro. Sono i resti della battaglia di Debaltsevo dove l’esercito ucraino si è arreso abbandonando una quantità mostruosa di materiale. Ora tutti i 180 km che separano Luhansk e Donetsk sono saldamente in mano ai soldati di Nuova Russia.
Secondo l’ufficiale cosacco A., il 18 febbraio insieme agli Ucraini in rotta, c’erano molti infiltrati occidentali. Probabile che non ci sia stato un massacro per questo e che in cambio si sia chiuso un occhio sull’intervento dei parà russi della 106a. Non da escludere che i loro BMD siano già ripartiti in sordina da Deblacevo, per tornare a Rostov, poco oltre confine. Chissà…
A Minsk, senza nemmeno dirlo, forse si è parlato anche di questo. La diplomazia è arte sottile e al tempo stesso cosa pratica.
Ora le armi pesanti tacciono quasi del tutto. Più che un’applicazione degli accordi di Minsk, è un sospiro di sollievo per le popolazioni civili, per mesi colpite dall’artiglieria ucraina.
Al fronte si spara, ma con discrezione. Kiev si lecca le ferite e i filorussi si godono l’obiettivo raggiunto: non tanto quello militare di aver unificato il fronte, quanto quello di lasciare in bilico un intero Paese. Era quello a cui teneva di più la Russia, obbligata a tenere la partita aperta per evitare l’addio definitivo a Kiev.
Al tempo stesso, la diplomazia titolata osserva e cerca di capire.
Tanto i cingoli del T 72 sono ancora qui, unti e gelati come l’aria che respiro intorno.
articolo Giampiero Venturi
fotoreporter Giorgio Bianchi