Eravamo appena rientrati dal campo estivo che si era svolto sulle montagne liguri. Abbronzati, pieni della salute dei vent’anni rafforzata da un mese di vita all’aria aperta, eccitati per la fine di quel secondo anno d’Accademia che ci avrebbe proiettati alla stelletta da Ufficiale e ad un’altra vita, speravamo meno dura, alle Scuole d’Applicazione d’Arma di Torino.
Una punta di tristezza a tratti affiorava. Molti fratelli di Corso avrebbero preso strade diverse, con i superiori si era instaurato un legame profondo e nel salutarli avevamo tutti gli occhi lucidi.
Anche lasciare quell’antico, glorioso palazzo, pieno di storia e di tradizioni, non era poi così facile come avremmo pensato. Si chiudeva un capitolo fondamentale della nostra vita, due anni che ci avevano trasformato da spensierati studentelli in soldati.
C’era soddisfazione, allegria, spensieratezza. Il Capo Corso si presentò al Comandante dell’Accademia per chiedere che quella sera, l’ultima da Allievi, fosse suonato il Silenzio fuori ordinanza, certo che quel piccolo strappo ai regolamenti sarebbe stato concesso. Non era previsto ma era una tradizione non scritta che quelle note tristi ma piene di significato, augurassero la buona notte agli allievi, prima della partenza definitiva dall’Istituto.
Era una tradizione veramente sentita a cui tutti tenevamo molto. Era il suggello di due anni intensissimi che ci avevano cambiato la vita in profondità. Nessuno prevedeva che il capo Corso tornasse con il volto triste e perplesso.
“Non se ne parla” aveva detto il Comandante “il silenzio fuori ordinanza è roba da najoni non da signori Ufficiali quale voi ormai siete”. Con fare brusco, che non era assolutamente in armonia col suo abituale comportamento, lo aveva congedato.
Il fatto ci rattristò e non pochi covarono sentimenti non proprio sereni nei confronti del nostro Comandante. Ci sentivamo defraudati di una cosa a cui tenevamo, che sentivamo di esserci guadagnati con due durissimi anni di studio e sacrifici.
Ovviamente ce ne facemmo una ragione, a ben altro eravamo abituati, ma quella sera la cena non fu allegra come avrebbe dovuto e nelle camerate non echeggiarono le solite risate, i canti e le facezie tipiche dell’ultima notte in Accademia. Dopo il contrappello, ci coricammo in silenzio nel buio, con gli occhi spalancati, mentre i pensieri e i ricordi si susseguivano nelle nostre menti e il cuore batteva forte.
Era finita, era stata dura ma ce l’avevamo fatta. Mille pensieri frullavano in testa. Quanti ricordi, quante volte eravamo stati sul punto di mollare tutto! Quanti momenti belli e brutti da ricordare, da serbare nel cuore come cose sacre da non perdere col passare degli anni.
Attendevamo il solito sfrigolare degli altoparlanti, le scariche e i tipici rumori prodotti dagli operatori al giradischi che fra poco ci avrebbe invitato al sonno con il solito silenzio d’ordinanza. Ma non succedeva nulla e i minuti passavano. Neanche il solito silenzio ci era stato concesso?!
Poi, all’improvviso, una dolce melodia cominciò a diffondersi. All’inizio quasi non ci facemmo caso, ma poi il cuore cominciò a battere forte. Ma non proveniva dagli altoparlanti ma dal cortile. All’unisono corremmo alle finestre e le spalancammo, con furia. Non ci potevamo credere. L’intera fanfara dell’8° Reggimento Bersaglieri, le piume al vento, ci stava dedicando le struggenti note del Silenzio fuori ordinanza. Era il regalo del nostro Comandante, bellissimo, inatteso, commovente regalo. Fu magnifico.
Ben pochi riuscirono a trattenere le lacrime. Un fragoroso sentitissimo applauso piovve dagli affollati finestroni delle camerate sui quei bravi Bersaglieri quando l’ultima nota lasciò i nostri cuori. Grida di Viva l’Accademia! Viva i Bersaglieri! Viva il Generale Comandante!
Ora potevamo lasciare Mamma Accademia col cuore sereno. Il nostro Comandante ci aveva dato l’ultimo insegnamento: qualche volta il cuore viene prima dei regolamenti. Non l’avremmo mai più dimenticato.