Austria e Turchia tirano coltellate alla schiena all’Italia. Ma il COVID-19 non perdona...

(di David Rossi)
24/03/20

Quando questa crisi sarà passata, ricorderemo più i regali che le menzogne dei Cinesi, più lo scoordinamento che la flessibilità dell’Europa, ma assolutamente non dovremo dimenticare il comportamento di due Paesi: Austria e Turchia, che ci hanno colpito con coltellate alla schiena mentre sembravamo sul punto di morire.

L’Austria è quel ridente Paese, già patria di Adolf Hitler, che ci ha chiuso le frontiere già il 24 febbraio e per settimane ha bloccato il passaggio delle merci, persino delle mascherine e degli equipaggiamenti medicali, verso l’Italia.

La Turchia è quell’orgogliosa nazione, che non trova il coraggio di ammettere il genocidio degli Armeni, che ha accusato l’Italia di aver “infettato l’Europa” e ha impedito a un ordine di mascherine regolarmente pagate di transitare verso il nostro Paese. Mentre prendete nota, continuate a leggere…

Thorolfur Gudnason è un nome sconosciuto ai più. Si tratta del responsabile del dipartimento di epidemiologia e controllo delle malattie infettive dell’Istituto di sanità pubblica dell’Islanda. Il 2 marzo, dopo aver tracciato nei giorni precedenti otto casi di individui che avevano contratto il COVID-19 presumibilmente durante un periodo di vacanza sul versante italiano delle Alpi, emerse un nono caso che non aveva proprio toccato il territorio italiano ed era stato in vacanze nel Tirolo austriaco, tornando a casa via Monaco. Di ciò, informò gli omologhi a Vienna e Innsbruck, oltre che i media. Tanto bastò al dottor Franz Katzgraber, responsabile dei servizi medici della stessa provincia dell’Austria per sostenere, lui solo sa su quali basi scientifiche, che "da un punto di vista medico, sembra improbabile che ci siano stati contagi in Tirolo" e a spingersi ad affermare, a sprezzo del ridicolo, che proprio sul volo di ritorno c'era un passeggero dall'Italia che aveva contratto il coronavirus e… (che) la compagnia aerea ne ha informato i passeggeri1.

Intanto, di quattordici islandesi fra quelli che avevano trascorso le loro vacanze sugli sci nell'Oberland tirolese e avevano preso quel volo, al ritorno in Islanda diversi risultarono positivi al test per il coronavirus. Dato che gli infettati erano nel frattempo saliti a 45, il Governo del piccolo stato nord-europeo si affrettò a dichiarare, il 6 marzo, l'Italia settentrionale e l'Austria parimente come aree ad alto rischio2.

Mentre Innsbruck e Vienna si affrettavano a gettare le colpe sull’Italia, all’inizio di marzo in pochi giorni centinaia di persone provenienti da tutta Europa presero a manifestare infezioni da coronavirus riconducibili a un soggiorno in un villaggio di meno di cinquemila abitanti, Ischgl, che attira mezzo milione di visitatori ogni inverno, fra cui in passato celebrità e politici di alto profilo come Paris Hilton, Naomi Campbell e Bill Clinton.

Già il 5 marzo, il giorno dopo che l'Islanda aveva informato l'Austria che i turisti islandesi avevano contratto il COVID-19 in quella località (e aveva ricevuto uno stizzoso diniego), Reykjavik aveva aggiunto Ischgl al suo elenco di zone a rischio per la trasmissione del coronavirus, classificandolo a rischio il villaggio come a rischio di infezioni al pari di Cina, Corea del Sud, Italia e Iran.

La CNN riporta le parole di Jan Pravsgaard Christensen (foto), professore di immunologia presso l'Università di Copenaghen, secondo cui l’informativa islandese “avrebbe dovuto immediatamente alzare il campanello d'allarme” dato che detto villaggio è “un luogo in cui le persone sono in stretto contatto in bar, ristoranti e così via… una volta conosciuto il rischio, tutte le persone (potenzialmente) infettate nella stessa area avrebbero dovuto esser messe in quarantena molto rapidamente"3. Non a caso, il 7 marzo, appena ventiquattr’ore dopo le dichiarazioni del dottor Franz Katzgraber, un barista di 36 anni del bar Kitzloch è risultato positivo. Quindici dei ventidue contatti del barista che sono stati messi in quarantena sono risultati positivi per COVID-19.

Che si volesse difendere la stagione turistica e l’immagine del Paese più che la salute dei visitatori? Non lo penso: si è solo pensato che la crisi in Lombardia fosse solo un problema degli Italiani e che alla brava gente, come gli Austriaci, non potesse capitare. Lo si è creduto oltre il ragionevole, tanto è vero che il giorno dopo la conferma del dilagare del coronavirus in Tirolo, Anita Luckner-Hornischer, funzionaria dell'autorità medica tirolese, aveva ancora la sfrontatezza di dichiarare in un comunicato stampa che "una trasmissione del virus agli ospiti del bar è, dal punto di vista medico, piuttosto improbabile".

L'epidemia che non avrebbe dovuto esserci secondo il governo locale, dal Tirolo era nel frattempo dilagata in tutta l’Europa: in Danimarca la piccola Austria da sola aveva portato più contagi della grande Italia: 298 a 61. Non c’è stata partita… Il focolaio tirolese ha incendiato buona parte dell’Europa settentrionale: la Germania ha rintracciato circa 300 casi, la Norvegia ha anche confermato che, al 20 marzo, 549 dei suoi 1.742 casi avevano avuto origine in Austria.

Perché non si è lanciato un allarme preventivo, mettendo tutti in quarantena già il 2 o il 3 di marzo? Perché fino al 10 marzo Vienna e Innsbruck non hanno alzato un cordone sanitario attorno ai villaggi incriminati? Perché, perché, perché…

Ora, la Turchia. Secondo il ministro della salute turco, Fahrettin Koca, l’Italia sarebbe stata negligente permettendo a viaggiatori provenienti dalla Cina di muoversi liberamente all’interno del Paese e così infettando l’Europa. Invece, Ankara avrebbe adottato un “modello di successo” impedendo al COVID-19 di arrivare nel Paese. Tali misure, implementate a partire dal 24 gennaio4, includevano l’installazione di telecamere termiche negli aeroporti, ulteriori screening per i viaggiatori provenienti dalla Cina, la quarantena per chiunque mostrasse i sintomi dell'infezione da coronavirus, la disinfezione in tutte le aree doganali e la distribuzione di maschere chirurgiche gratuite e foglietti informativi. Insomma, come già per l’Italia, la Turchia si era preparata ad affrontare un’emergenza portata da pazienti fortemente sintomatici, trasportati da Turkish Airlines, la compagnia che raggiunge(va) più destinazioni al mondo.

Intanto, si sono moltiplicate le notizie di mascherine e altri dispositivi sanitari indispensabili per la Lombardia e il Trentino bloccati in Turchia: centinaia di miglia di mascherine chirurgiche e FFP2 sarebbero bloccate alla frontiera aerea e non si riuscirebbe a farle partire5,6.

Nel frattempo, dopo che per tre settimane il Paese aveva negato la presenza di casi di COVID-19, l’epidemia è dilagata nei numeri ufficiali: dal primo caso il 13 marzo si è passati al centesimo in quattro giorni, al millesimo in nove, in un crescendo del 20% al giorno quasi speculare a quello italiano e in buona parte causato da focolai interni.

Niente di personale, amo l’Austria e la Turchia. Ma stavolta hanno fatto del loro peggio. E in queste poche righe ve ne ho solo mostrato una piccola parte.