2024

(di Gino Lanzara)
12/01/24

Quando un periodo volge al termine, ineludibile si manifesta la necessità di stilare un bilancio; un resoconto simil contabile generalmente caratterizzato dal rosso di passività tanto più certe perché fondate su dati oggettivi e a consuntivo; bilancisticamente il problema si pone per le previsioni, radicate in un passato più o meno recente e proiettate in un futuro nebuloso, in cui non basta una Delorean lanciata ad 88 miglia orarie. Il 2023, ennesimo annus horribilis, non è stato da meno rispetto agli horribiles precedenti con guerre, temuti avventi di intelligenze artificiali, rigurgiti di populismo grondante insoddisfazione e instabilità su un ancora – per poco – incolpevole 2024.

In estremo oriente il dio dell’economia, prodigo di crisi facilitate dall’ossimoro della finanza di stato1 cinese in anossia per carenza di domanda interna, ha portato a distogliere l’attenzione da Taiwan, comunque sempre più spesso punta in modo intimidatorio nella sua Adiz2; puntuali come cambiali in protesto, sono arrivate le consuete sollecitazioni belliciste di Kim Jong Un, oppresso sia da sanzioni insostenibili sia da un apparato che, eremiticamente marxista, è sempre più avvolto su sé stesso e sulla propria aggressiva oleografia nucleare contrapposta alla deterrenza americana. Mentre Giappone e Corea del Sud si riavvicinano, l’economia americana cresce con un notevole calo dell’inflazione3. L'economia UE rimane stagnante, con un aumento dei tassi ipotecari che porterà ad una contrazione degli investimenti residenziali e ad una compressione dei profitti. L’auspicato calo dell'inflazione dovrebbe (occhio al condizionale) sostenere il potere d'acquisto delle famiglie consentendo una crescita alla Marinetti, ovvero positiva ma mooolto moderatamente4.

Il 2024 soffrirà ancora di diffuso multipolarismo e di instabilità, agevolata da una globalizzazione irrefrenabile al pari dell’incedere dell’AI.

Il quadro generale appare dunque sempre più affine a quello antecedente la Grande Guerra, con le basi del diritto internazionale erose da attriti globali e regionali caratterizzati dalle ibridazioni dei conflitti.

Dall’Asia centrale del dissolto Nagorno Karabakh e dell’Artsakh, agli scontri curdo-turchi, fino a Siria, Iraq e Libia, l’arco di instabilità del 2024 ricalca con sensibili peggioramenti il disegno del 2023, che lascia in eredità i colpi di stato del Sahel, l’islamismo somalo di al Shabaab e l’indipendentismo etiope nel Corno d’Africa nonché, dulcis in fundo, la progressiva ridotta navigabilità del Mar Rosso a causa degli Houthi, proxy inconsapevoli di un gioco fin troppo grande e rischioso. Mentre tra Teheran e Washington continua una partita estesa dal Mediterraneo allo Stretto di Hormuz, Pakistan, India e Cina alimentano scontri confinari d’alta quota, replicati sulle sponde del Mar Cinese Meridionale oggetto di contesa tra pretese sovranità cinesi e dichiarata libertà di navigazione statunitense.

Non poteva certo mancare il Venezuela che, in evidente e notoria carenza di problemi interni, ha ritenuto bolivarianamente necessario aprire un nuovo fronte critico e nazionalista rivendicando la sovranità sull’Essequibo, regione della Guyana ricchissima (ops, ma tu pensa!) di risorse naturali.

Cosa potrà mai dunque turbare la serenità dell’infante 2024? Beh, la paventata folata di violenza connessa alla polarizzazione delle elezioni statunitensi; i nuovi disordini in Iran ed Egitto, causati da repressione e crisi economica; l’escalation della guerra israelo-palestinese pronta a tracimare in Libano e Siria a fronte dell’inevitabile flemmatizzazione degli Accordi di Abramo; lo scontro diretto tra Gerusalemme e Teheran mai così vicina all’arma nucleare; il precario equilibrio militare tra USA, Cina e Russia dovuto, anche, al prolungamento del conflitto ucraino; le ondate migratorie da Messico e Siria; una recrudescenza di paralizzanti attacchi informatici. Però ci sono anche dei rischi.

Crisi in corso ed incombenti elezioni negli USA, nella nazionalista India di Narendra Modi, nell’autocratica Russia e a Taiwan renderanno il 2024 geopoliticamente tumultuoso.

E Xi? Incalzato sia da una ripresa economica lenta e priva di investimenti occidentali, sia dal crack immobiliare di Evergrande, dovrà garantire un contesto economico stabile in grado di riprendersi dagli shock pandemici ed interni, alla luce del forzoso ma necessario entente cordiale con gli USA di San Francisco del novembre scorso. Al di là degli amari calici, rimane comunque il rischio di una potenziale guerra tra Washington e la multipolarista Pechino, vista però anche come auspicabile mezzo di contenimento delle ambizioni di una Russia dove non ci saranno né particolari palpitazioni elettorali né cambi di rotta: sarà difficile assistere ad un Prighozin 2.0. Forse.

In sintesi multipolarismo e neutralità geopolitica, lungi dall’astrarre dalle contese, obbligheranno a prendere partito, specie in campo non occidentale, acuendo gli attriti: nel 2024 la geopolitica non indosserà un grigio sfumato.

Nel 2024 circa 4 miliardi di soggetti, per circa 76 Paesi, si recheranno (forse) alle urne5, elezioni locali e municipali comprese, dove voterà l’equivalente del 60% del PIL globale, a meno che la palma del vincitore non venga conferita una volta di più al partito astensionista. Molte consultazioni si terranno in Paesi autoritari; quasi certamente si tratterà di un momento in cui le democrazie dovranno tornare a dare il meglio politico di loro stesse. Ritornando al populismo, secondo Alec Russell del Financial Times, illiberalismo, indebolimento delle istituzioni, disillusione e sofferenza sociale giocheranno un ruolo determinante.

Ambiente. Si fa presto a dire ambiente dove la COP28 si è palesata come una variegata e mercanteggiante esposizione, al ritmo di transizione, tra produttori del MO ed occidentali decarbonizzatori secondo il principio latino del festina lente, dove cioè non c’è stato un effettivo (e perigliosamente integrale) bando dei combustibili fossili. Attenzione però, è la sovranità vestfaliana a fare la differenza: la transizione verrà determinata a livello nazionale, dove cioè ognuno deciderà su base volontaria non vincolante. Molto probabilmente la decarbonizzazione la deciderà l’antagonismo collaborativo sino americano, in funzione di un sistema finanziario che dovrebbe tener conto delle emissioni generate dai clienti in portafoglio. Mancheranno gli investimenti occidentali, lasciando campo libero a meno controllati ma necessari produttori locali. Cosa accadrebbe in via giurisdizionale alla Cina laddove Pechino non rispettasse gli obiettivi prefissati? Guerra? Dai, difficile.

Informatica. Il 2024 sarà il momento degli assistenti dell’AI, volti a migliorare gli standard lavorativi; perché allora non attendersi un’AI generativa indirizzata all’analisi di policy e minacce, capace di reagire autonomamente ai problemi? Alzi la mano chi non ha pensato al Will Smith di I Robot e ad Isaac Asimov.

Economia. Una particolarità economica del 2024 porta ad ipotizzare trend afferenti al volatile mercato crypto; bitcoin toccherà probabilmente nuovi massimi e le criptovalute entreranno nel mondo reale uscendo da quello digitale per privilegiare le microcapitalizzazioni. Da notare la connessione tra AI e criptovalute, in possesso di un potenziale tale da ridefinire l’intero sistema crittografico, e comunque ancora sensibili a pericolose vulnerabilità. Il 2024, dunque, potrebbe essere sia l’anno che deciderà a quale giurisdizione affidare il ruolo di hub principale delle risorse digitali, sia il momento in cui più prudentemente attendere per effettuare investimenti in crypto, un po’ come nei futures del succo d’arancia di Una poltrona per due; nel frattempo, non essendoci ancora un conclamato allarme inflazione e nonostante gli attacchi Houthi, l’attuale impatto sui prezzi dei combustibili fossili sarà contenuto tanto da consentire un possibile ribasso dei tassi, a patto che le perturbazioni mercantili siano di durata contenuta. Insomma, che cesserà di piovere è certo, quando smettere di portare l’ombrello, chissà.

Più concretamente, il 2024 vedrà un’apparente crescita, dovuta agli aggiustamenti post pandemici; gli elementi che andranno valutati saranno: demografia, rischio geopolitico, digitalizzazione finanziaria, la Net Zero ambientale e il rinnovo delle supply chain.

Cosa attendersi? Eccessivo ottimismo, inflazione, politiche monetarie restrittive, ovvero: incertezza geoeconomica. Se è vero che il 2023 avrebbe dovuto essere segnato da una recessione generalizzata6, è però altrettanto vero che le restrizioni monetarie sono state le più forti dagli anni 80, penalizzanti per le famiglie medie. Hot water discovery: i più abbienti risultano poco intaccati dagli effetti recessivi, mentre le basi sociali più ampie sono in sofferenza per tassi di interesse al di fuori delle proprie esigue possibilità. Evergrande insegna: dal 1929 i mutui hanno un’importanza capitale; sarebbe il caso di seguirne lo stato di salute visti i tassi in vigore.

Eventi. Tanti. OMC ad Abu Dhabi in febbraio; Summit AI for Good, in Svizzera a maggio; il G7 in Italia a giugno; vertice della Nato in luglio negli USA che forse, Turchia ed Ungheria permettendo, vedrà partecipare anche la Svezia; vertice BRICS in Russia in ottobre, che forse non vedrà l’Argentina del neo Presidente Milei. Rimane da vedere se sarà una nuova Bandung e soprattutto, dubbiosamente, una concreta alternativa economico finanziaria ai vari G; COP29 in Azerbaigian in novembre, una scelta che riflette svariate tensioni e plurimi veti russi alle offerte europee; vertice del G20 in Brasile in novembre, con un Lula globale e presente anche al Consiglio di Sicurezza ONU, ai BRICS ed alla COP30.

Posto che la vita reale non è quella scespiriana fatta della stessa materia dei sogni, tiriamo allora, economicamente parlando, qualche sbilancio che non potrà che essere provvisorio ed oggetto di assestamenti e comunque condizionato dalle singole leadership, tenuto poi conto che il trasformismo è diventato un’esigenza.

Il problema rimane nella politica e nelle sempre minori remore all’uso della forza, sia per lo sgretolamento delle relazioni russo-occidentali, sia per l’antagonismo sino-americano, sia per le incertezze degli USA, in declino sì, ma non ancora in caduta incontrollata almeno fino a novembre; insomma un indebolimento egemonico a favore della frammentazione regionale. Se è vero che le grandi potenze non combattono tra loro, è però vero che conflitti locali e tensioni aumentano in pericolosi punti specifici come Ucraina, Mar Rosso, Taiwan e Mar Cinese Meridionale. 

Le elezioni, specie nei paesi ritenuti di più consolidate tradizioni, non saranno agevoli, visto quanto accaduto al Campidoglio americano il 6 gennaio 2021. Al netto di autoritarismi e partecipazioni bulgare e coatte alla Petrolini ed al suo Bravo! Grazie!, l’astensionismo rimane un sintomo: quanto più si aggrava tanto più la patologia è fiaccante e contraddistinta da radicalismi e populismi che hanno annichilito l’intrinseco senso dialettico della politica. Negare per principio legittimità ai valori della fazione avversa genera contesti in cui non solo è impossibile creare democraticamente coalizioni e mediazioni, ma è anche facile lasciare il campo a chi demagogicamente divide et impera esacerbando gli antagonismi e giocando sugli aspetti cognitivi con la disinformazione.

Quel che è mancato, e mancherà ancora, è il ritorno ad un equilibrio di potenza, cosa che porta a ritenere il 2024 l’anno della perdurante parcellizzazione, in cui è fondamentale rammentare l’appartenenza ad alleanze e sistemi in grado di confermare la credibilità ed agevolare gli auspicati disegni strategici. Il confine dell’economia sulla mappa geopolitica quest’anno è marcato dall’evergreen hic sunt leones; le incognite sono ancora troppe per poter ambire a positività facilmente sconfessabili da un missile Houthi.

Manca un punto catalizzante, solido e liquido al contempo: il Mare, quello con la M maiuscola. Qualunque teatro, seppur fuggevolmente sfiorato, riporta ad aspetti talassocratici. Libertà di navigazione, commerci, spazi medioceanici di raccordo tra un bacino e l’altro, potere marittimo, dominio di spazi naturalmente non soggetti a sovranità, tutto conduce all’acqua salata, al suo dominio, attualmente perseguibile solo per via multilaterale. Gli specchi acquei non si allargano solo concettualmente, c’è il rischio di perderne senso e possesso laddove ad inevitabile contatto con chi il mare lo interpreta e lo avverte (nientepopodimeno che!) come una Patria Azzurra puntando a grandezze geopolitiche che travalicano spazi e confini: inciampare goffamente sulle proprie vesti per politiche incongrue e non paganti è colpa imperdonabile. Il problema è non possedere il senso della storia e del tempo per comprenderlo rimanendo nel proprio cortile. Anche questa però è una colpa.

1 Le misure annunciate dalla Cina consistono in riduzione dei tassi ipotecari, riduzione degli acconti e allentamento delle restrizioni sulle transazioni immobiliari, e saranno sufficienti per evitare un peggioramento del crollo immobiliare, ma non tali da rilanciare la crescita.

2 Air Defence Identification Zone

3 La domanda interna ha registrato una ripresa dall'inizio dell'anno, mentre le pressioni sui prezzi al consumo sono diminuite con i salari in decelerazione grazie all’incremento della popolazione in età lavorativa.

4 Per l’area MENA sia FMI che Banca Mondiale prevedono un rallentamento della crescita economica annuale della regione, con una crescita del PIL al di sotto dei livelli del 2022. La guerra a Gaza ha influenzato negativamente crescita e condizioni finanziarie bloccando le prospettive economiche regionali.  

5 Bangladesh, con la riconferma al potere del primo ministro Sheikh Hasina; Taiwan, elezioni presidenziali che la Cina vede come un pericolo alla sua politica unionista; Pakistan, paese nucleare, elezioni già rinviate per via della disastrosa situazione economica e poi politica interna determinata dall’arresto dell’ex premier Imran Khan, primo a ricorrere all’AI per pronunciare un suo discorso; Indonesia, con l’ex generale Prabowo Subianto favorito; India, con Narendra Modi favorito per la terza volta senza bisogno di coalizioni di appoggio; Messico, per la prima volta con una Presidente donna, Claudia Sheinbaum alleata del Presidente uscente Lopez Obrador, costituzionalmente non rieleggibile, e destinata a trattare con gli USA per il problema fentanyl; Parlamento Europeo, la più debole delle istituzioni UE che dovrà decidere sull’ulteriore chance da concedere ad una riconferma di Ursula von del Leyen; Belgio, ancora diviso tra fiamminghi e valloni ed influenzato dal successo della destra populista olandese; USA, con presidenza, 1/3 dei seggi al Senato e la Camera dei Rappresentanti; Sud Africa, ancora da definire e caratterizzate da disoccupazione e crisi economica

6 Secondo le previsioni sulle materie prime della Banca Mondiale un’interruzione pari all’embargo petrolifero del 1973 ridurrebbe l’offerta globale di greggio fino a 6-8 milioni di barili al giorno, cominciando ad aumentare i prezzi del 56-75% (140-157 dollari al barile).