Hamas e Houthi e la guerriglia modernizzata a lunga distanza

(di Germana Tappero Merlo)
11/11/23

La cronaca dei lanci di missili e l’uso dei droni da parte degli Houthi yemeniti filoiraniani verso obiettivi ebraici come il porto di Eilat, nel sud del Negev, in questo mese di guerra fra Hamas e Israele, conferma le loro capacità offensive, tra l’altro già note da tempo, e anticipa possibili evoluzioni di quel conflitto. Nella stessa direzione, e per il rischio di un suo allargamento, si inquadrano anche i bombardamenti da parte degli Stati Uniti a infrastrutture di varie sigle di milizie sciite sostenute dall’Iran, sia in Siria che in Iraq, come risposta di rappresaglia ai loro attacchi, in quei territori, a basi americane e al personale (ad oggi, una sessantina di feriti). Il solito scenario, quindi, di alleati regionali contro Israele e Stati Uniti, se non vi fosse la novità rappresentata appunto dall’intervento di quella che è stata definita “guerriglia modernizzata a lunga distanza” degli Houthi yemeniti, che converte quella che potrebbe apparire un’operazione su larga scala di antiterrorismo locale o contro-insurrezionale di Israele contro Hamas, in una guerra dalle profonde implicazioni per l’ordine globale emergente, che richiede una strategia di contrasto che la tratti come tale.

La lunga guerra fra Houthi e le forze regolari yemenite ma soprattutto quella fra Houthi e il nemico regionale, l’Arabia Saudita, almeno sino a tutto il 2022, aveva registrato il più ampio utilizzo di missili balistici e da crociera, e altre armi aeree, rispetto a qualsiasi altro conflitto della storia recente1, evidenziando come costoro, sebbene gruppo armato non-statale (NSAG), avessero acquisito capacità di guerriglia modernizzata a lunga distanza, con una preparazione che non ci si aspetterebbe da una “banda di straccioni” e “pecorai yemeniti”, come definiti dagli analisti militari israeliani2.

La cronaca di queste provocazioni dal cielo yemenita, ad oggi, è scarna ma significativa: lanci di missili da crociera, dal Mar Rosso verso il nord (poi intercettati dalla USS Carney - foto - e dalla difesa aerea saudita il 19 ottobre; il 31 dal sistema Arrow 2 e, il 9 novembre, per la prima volta da parte dell’IDF, da Arrow 3) e uso di droni anche suicidi, con la caduta sul suolo egiziano (Nuweiba e Taba) o intercettati in volo, sono stati giustificati nella parole del leader Houthi, Abdulaziz bin Habtour, “come forma di solidarietà con il popolo di Gaza”, ma suggeriscono un piano di guerra per procura da parte e con la regia dell’Iran, il quale ovviamente nega, sebbene l’ayatollah Kamenei abbia elogiato in tv il massacro del 7 ottobre scorso. Non da meno, un drone Reaper di sorveglianza aerea dell’esercito statunitense è stato abbattuto al largo delle coste yemenite proprio dalla contraerea Houthi3, a conferma che, mentre all’interno del paese, dall’aprile 2022, sembra reggere la formula di “tregua non tregua”, ossia un parziale cessate il fuoco senza un processo di pace fra le parti, l’offensiva Houthi nel conflitto yemenita si è spostata in mare con minacce in acque internazionali a navi potenzialmente nemiche, non solo israeliane ma anche statunitensi (USS Eisenhower, USS Carter Hall e USS Thomas Hudner).

Si sta assistendo, quindi, ad una vera e propria escalation verticale nella conduzione della guerra irregolare, ossia la tendenza verso un aumento, graduale o acuto, della potenza di fuoco distruttiva e letale di soggetti non-statali, in questo caso gli Houthi, ma che sembra appartenere anche alla stessa Hamas (9000 razzi lanciati su Israele, secondo fonti ufficiali ebraiche, e per lo più neutralizzati), mentre è già più che nota e sperimentata quella degli Hezbollah. Tutti NSAG che, con le loro provocazioni, stanno pericolosamente prefigurando anche un’escalation orizzontale regionale del conflitto, per procura e con la regia dell’Iran, e il sostegno tattico del resto dell’Asse della Resistenza Islamica, ossia Yemen, appunto, con Siria, Iraq e il Libano degli hezbollah. Tra l’altro, risultano inverosimili le dichiarazioni del leader degli hezbollah Hassan Nasrallah di “solo sostegno morale ad Hamas senza dare loro un supporto militare”, dato che proprio dal sud libanese, e per tutto questo mese di guerra, la sua organizzazione ha lanciato, e continua a lanciare, missili verso Israele che, inevitabilmente, risponde.

Di fatto, le azioni offensive degli Houthi contro Israele, sebbene si inquadrino in una guerra non convenzionale, dato che impiegano la tradizionale tattica di guerriglia “mordi e fuggi”, di fatto utilizzano armamento convenzionale come missili e droni, con fornitura, consiglio e addestramento militari da parte delle IRGC iraniane4, confermando la natura di agente proxy degli Houthi che mostrano, comunque, di aver raggiunto l’ autosufficienza, sia nell’assemblaggio di materiale bellico di contrabbando proprio da Teheran (con spola di pescherecci yemeniti) sia nell’operatività.

A differenza di Hamas e Hezbollah, la particolarità della strategia degli Houthi verso Israele sta nel fatto che costoro non inseguono il controllo finale di un territorio nemico, come prevede invece la guerra tradizionale legata a offesa della sovranità statale con sforamento dei confini terrestri. Perché rispetto all’era di confronto fra Stati, per la sopravvivenza nazionale o la dominazione coloniale, gli obiettivi di guerra, oggi, con i NSAG sono più limitati, dato che costoro combattono anche solo per distruggere un nemico “percepito” più che reale. Si concentrano, infatti, solo su un obiettivo cardine, ossia la destabilizzazione del Paese ostile, attraverso la distruzione delle sue reti infrastrutturali (porti, aeroporti, vie di comunicazione, inter-connettività) e, come si conviene nelle più classiche tattiche operative di guerriglia e terroristiche, attraverso la pura violenza contro i civili, meglio ancora se turisti stranieri, come nel caso di Eilat.

Anche perché un elemento centrale di questa guerriglia modernizzata a distanza è l’uso ossessivo di armi convenzionali che consentono, oggi, un livello di precisione più elevato nel colpire un bersaglio rispetto alle armi di cui erano dotate le generazioni precedenti di combattenti irregolari. Tuttavia, con il c.d. paradosso della precisione è stata smentita l’eventualità che armi più precise riducano i danni ai civili: questi ultimi rimangono, infatti, l’obiettivo preferito degli NSAG, configurandoli definitivamente più come forze terroristiche che come forze regolari di resistenza.

Ed è qui che, con la nuova generazione di NSAG, la guerra da solida e convenzionale, ossia quella propria fra Stati, si trasforma in guerra ibrida e liquida, seppur convenzionale: essa, infatti, si adatta perfettamente ai differenti contesti, ha target finali mutevoli, ma ripiega anche su armamento pesante, il cui scopo è creare terrore, sempre, che provenga via terra da pick up e miliziani “alla Isis” o dal cielo con missili a lunga gittata e droni suicidi. Questo perché i parametri su cui si muove la più moderna geopolitica (multipolarismo), accanto alla più avanzata tecnologia bellica, hanno reso la geografia e la distanza fisica assolutamente irrilevanti, cambiando a fondo la dimensione socio-spaziale delle guerre moderne, dove non esistono più fronti chiari e definiti, poiché la distribuzione dei combattenti non segue una logica centrata sul territorio (il suo controllo è scarsamente importante)5 quanto sull’obiettivo finale che, in questa guerra, per gli Houthi, è fondamentalmente punire l’odiato nemico ebraico, minare la reputazione della sua leadership politica, alimentare la sua destabilizzazione, con l’aggiunta del caos generale, anche a rischio di una guerra regionale ad alto costo di vittime civili.

4 Nell’insieme, gli Houthi posseggono Tochka OTR-21, Zelzal-3, Qaher-1/M2, SCUD-C, Zulfiqar (1500 km), Burkan-1, 2H e 3 (da 800 a 1200 km): missili da crociera Quds-1 e 2; droni Qasef-1 e 2k, Sammad-1,2, 3 (da 500 a 1500 km). J. Binnie, Yemeni rebels unveil new missiles in largest parade to Jane's Defence Weekly, September 26, 2022.

5 Uniche eccezioni, al momento, fra i NSAG, lo Stato islamico con il Califfato e i talebani afghani con la ripresa del controllo del loro territorio.

Foto: U.S. Navy