La fine di Boko Haram?

(di Andrea Gaspardo)
31/03/23

Se il 2023 si sta configurando per le cancellerie occidentali come “l'anno dell'intensificarsi della Guerra Russo-Ucraina”, per quelle africane potrebbe invece passare alla Storia come “l'anno dell'inizio della fine di un incubo”.

Quando si parla di violenza religiosa ed interconfessionale, è inevitabile che la Nigeria sia uno dei primi esempi che saltano alla mente. Gigante demografico abitato da oltre 230 milioni di abitanti parlanti più di 500 lingue regionali e tenuti insieme solamente dalla lingua inglese, la Nigeria è stata, sin dalla sua fondazione come stato indipendente, caratterizzata da violenti scontri a carattere sia etnico che religioso che hanno opposto gli uni contro gli altri i nigeriani delle estrazioni più disparate.

Sia ben chiaro; i conflitti interni della Nigeria non sono unicamente a carattere religioso (!) e molto spesso hanno a che fare con motivazioni assai più prosaiche come la suddivisione delle terre arabili e di pascolo tra i diversi gruppi sedentari e seminomadi che popolano i territori lontano dalle grandi città, come avveniva in epoca pre-coloniale quando le lande africane erano soggette ad uno stato di guerra praticamente permanente.

È altresì vero però che in un paese diviso quasi perfettamente a metà tra cristiani e musulmani e caratterizzato da una rapida alfabetizzazione (secondo le Nazioni Unite nel 2018 il 62% della popolazione era alfabetizzato, con la percentuale della popolazione maschile al 71,3% e quella femminile al 52,7%) che ha come naturale effetto la disgregazione delle tradizionali strutture sociali arcaiche e l'accelerazione degli spostamenti interni con gli inevitabili rimescolamenti sociali, la religione finisce per tramutarsi in un pericoloso moltiplicatore di potenza delle tensioni interne, con il rischio del presentarsi di catastrofiche esplosioni di violenza.

L'ultima di queste “eruzioni magmatiche” incominciò nel 2009 quando, con la morte del suo leader carismatico, Ustaz Mohammed Yusuf, l'organizzazione da lui creata, Jamā'at Ahl as-Sunnah lid-Da'wah wa'l-Jihād, comunemente conosciuta come “Boko Haram”, iniziò una violenta insurrezione contro lo stato nigeriano che in 14 anni ha provocato quasi 400.000 morti.

Leader di Boko Haram dopo la morte di Yusuf è stato fino alla sua morte in battaglia nel 2021, Abu Mohammed Abubakar al Sheikawi, comunemente noto con il nome di guerra di Abubakar Shekau. Per anni il gruppo sunnita-salafita ha sparso il terrore nella Nigeria nord-orientale a partire dal suo santuario situato nella intricata foresta di Sambisa espandendo il raggio delle sue attività anche ai paesi limitrofi nelle aree abitate dalle genti della stessa etnia kanuri che costituiscono l'assoluta maggioranza dei membri dell'organizzazione e perciò più propensi a venirne cooptati. Eppure il relativo successo di Boko Haram ha costituito anche la premessa del suo declino perché ha spinto tutti gli stati dell'area ad unire le forze per organizzare un'efficace campagna contro insurrezionale.

Nel 2015 gli stati del Camerun, Ciad, Niger e Benin decisero di unire le loro forze a quelle che la Nigeria aveva già dispiegato sul territorio creando la cosiddetta Multinational Joint Task Force (MNJTF) che negli anni e ricevendo aiuti e addestramento militare da parte dei partner internazionali più disparati e non sempre in buoni rapporti tra loro (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Israele, Iran, Russia, Cina, solo per citarne alcuni), si è evoluta fino a diventare un efficace strumento di lotta antiguerriglia in grado non solamente di presidiare il territorio ma anche di inseguire i guerriglieri islamici sin nei loro santuari più remoti. Non solo, oltre che con le forze messe in campo dai paesi dell'area, Boko Haram ha dovuto vedersela anche con la progressiva crescita in terra africana dell'influenza del cosiddetto Stato Islamico.

Nel periodo tra il 2015 ed il 2016, l'astuto Abubakar Shekau aveva infatti pensato di giovarsi dell'ascesa dell'ISIS a livello mondiale per attrarre aiuti ed estendere anche il proprio raggio d'azione nelle terre di proprio interesse (le già citate aree di dimora tradizionale delle genti kanuri). Eppure i rapporti si erano presto guastati e Shekau si era guadagnato la “scomunica” da parte del leader indiscusso dello Stato Islamico, ʾIbrāhīm ʿAwwād ʾIbrāhīm ʿAlī Muḥammad al-Badrī as-Sāmarrāʾī, meglio noto al grande pubblico con il nome di battaglia di ʾAbū Bakr al-Baḡdādī. Tale “scomunica” aveva dato il destro alla nascita di una costola “scissionista” all'interno di Boko Haram che nel 2016 aveva preso il nome di Stato Islamico della Provincia dell'Africa Occidentale (ISWAP) sotto la guida del carismatico Abu Musab al-Barnawi.

Sebbene le fonti in merito alla vita di al-Barnawi non siano univoche (alcuni lo ritengono figlio del fondatore originario di Boko Haram, Ustaz Mohammed Yusuf, ma altri no) è però vero che egli si è dimostrato un eccellente stratega ed un personaggio in grado di attrarre consenso, dato che la creatura politico-terroristica da lui creata si è ben presto resa in grado di camminare sulle sue gambe e sottrarre spazio di espansione alla stessa Boko Haram.

Stretta così tra due fuochi (da un lato le forze della Multinational Joint Task Force e dall'altro quelle dello Stato Islamico della Provincia dell'Africa Occidentale) negli ultimi 7 anni l'organizzazione salafita non ha fatto altro che perdere terreno, lentamente ma inesorabilmente.

La morte di Abubakar Shekau, fattosi saltare in aria azionando il proprio giubbetto esplosivo il 19 maggio 2021, per non cadere nelle mani alle forze del suo odiato nemico al-Barnawi, ha poi contribuito ad indebolire ulteriormente l'organizzazione.

Secondo un rapporto pubblicato il 14 marzo del 2023 dal Global Terrorism Index (GTI), in tutto il 2022 Boko Haram si è resa responsabile di 6 attacchi a sfondo terroristico che hanno provocato la morte di 63 persone mentre nello stesso arco temporale l'attività dell'ISWAP è cresciuta provocando 40 attacchi che hanno causato 168 morti. Certamente, nonostante tutto Boko Haram resta attiva e violenta, come dimostra l'uccisione di 37 pescatori avvenuta l'8 marzo 2023 appena fuori al villaggio di Guggo, nello stato del Borno, Nigeria nord-orientale, ma considerando tutto l'organizzazione sta vivendo chiaramente il suo momento di “decadenza” probabilmente definitiva.

Il colpo peggiore tra quelli che Boko Haram ha sofferto recentemente è stato inflitto nel periodo tra il 7 e l'11 di marzo quando le Forze Armate Nigerine (FAN) hanno rilevato lo spostamento verso i loro confini di un'imponente colonna di miliziani di Boko Haram accompagnati dalle proprie famiglie. La colonna si stava muovendo lungo il fiume Kamadougou Yoge, diretta con tutta propabilità verso l'area del lago Ciad, per sfuggire alla pressione dell'ISWAP.

Dopo ripetuti attacchi a mezzo di UCAV di produzione turca Baykar Bayraktar TB2 e di elicotteri da combattimento Mi-35M di origine russa, le truppe di terra nigerine hanno attaccato in forze i nemici riuscendo a sopraffarli. Alla fine circa 960 individui, in maggioranza donne e bambini, sono stati catturati e consegnati alle autorità nigeriane mentre un numero imprecisato di terroristi sono morti durante la battaglia.

Se la truce epopea di Boko Haram in terra africana si sta finalmente avviando alla conclusione dopo 14 anni di terrore e morte, allo stesso tempo è per noi necessario non lasciarci andare al senso di compiacenza perché, da un lato, come già detto sopra, il vuoto lasciato da Boko Haram sta venendo riempito dall'ancora più radicale ISWAP e, dall'altro, al netto dell'integralismo islamico, la Nigeria presenta comunque al suo interno tante e tali “faglie sismiche” a livello socio-economico ed etnico-religioso da meritarsi senza dubbio lo scettro di più grande fabbrica di instabilità del continente africano.