Le deviazioni horror del potere

(di Gino Lanzara)
13/09/22

In un blockbuster di qualche anno fa, uno straordinario Peter Sellers interpretava una triade di personaggi di rara connotazione psicologica. Il Dottor Stranamore, l’uomo che ha imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba, è il perfetto stereotipo rappresentante dei peggiori difetti.

Prima di arrivare all’impero cinese ed al trattamento che riserva alle genti delle sue province più lontane geograficamente e culturalmente, basta scorrere la storia degli ultimi 130 anni, per rendersi conto di come, a prescindere da etnie e lingue, quello che accomuna la razza umana, sono le devianze, unite nel crogiuolo di un melting pot che presenta pericolosi e reiterati ingredienti comuni.

L’Armenia è piccola, povera, militarmente debole, eppure proprio in questi giorni l’Azerbaigian, guarda caso sostenuto dalla Turchia, è riuscito a trarla nuovamente fuori da un limbo in cui continua a convivere sia con il ricordo del massacro perpetrato dagli ottomani, sia con le sofferenze patite per effetto delle decisioni staliniste riguardo al Karabakh, o Artsakh in armeno, come preferite: la sostanza non cambia, quello che resta è un istinto elementare di sopravvivenza, che si scontra con il progetto turco della riconquista di un’influenza sempre più marcata delle aree che furono ottomane.

Imperialismo? Sì, senza dubbio: insieme ad un revival islamico politico, scuole militari e coraniche finanziate da Ankara fioriscono nei cosiddetti “Stan”; e non c’è nemmeno dubbio che un impero panturco confinante con la Cina diverrebbe un rischio troppo grande per Pechino, che si troverebbe alle prese con una recrudescenza uigura, con un’entità turcofona ma politicamente cinese, che potrebbe decidere di non avere nulla da perdere insorgendo (peggio di così come vuoi stare?), e magari suscitando un interesse indiretto da parte di Washington. Insomma, l’Armenia è l’intoppo che impedisce la continuità territoriale di una regione di almeno 200 milioni di abitanti, e di cui la Turchia sarebbe il cuore, secondo una configurazione tuttavia pericolosa per il primato iraniano, e con il confronto nel subcontinente indiano tra l’India filo armena ed il Pakistan filo azero. È nel corso della Grande Guerra, nel 1915, che si compie, in terra ottomana, il genocidio armeno ad opera del governo nazionalista dei Giovani Turchi, aiutato da consiglieri tedeschi, un prototipo di massacro utile per quello che sarebbe stato un futuro aberrante. Arresti, deportazioni ed eliminazioni fisiche diventano un clichè da circa 1.500.000 persone.

Nel 1922, l’incendio dei quartieri greco e armeno di Smirne, riconquistata dai kemalisti, conferma un certo modo di intendere il mondo al modico prezzo di decine di migliaia di vittime, deportati e donne violentate. La storiografia ufficiale turca nega l’esistenza di piani intenzionali. Tanto per rimanere nell’area, un po’ più ad est, non si può non rammentare la campagna anti-curda dell’al Anfal condotta dall’iraqeno Ali Hassan al Majid il chimico, cugino di Saddam Hussein e con una predilezione per il ricorso alle armi di distruzione di massa. Delle vittime, prevalentemente maschi tra i 12 e gli 80 anni, circa 180.000, nessuna traccia.

Tanto per tornare a Stalin, c’è da rammentare Holodomor1, ovvero il nome con cui si è designato il genocidio per fame di oltre 6 milioni di ucraini tra il 1932 ed il 1933. Accusati di contestare il sistema della proprietà collettiva, agli ucraini furono requisite le risorse agricole: almeno un quarto della popolazione rurale fu così sterminata per fame. La carestia causò l'annientamento dei contadini, e soprattutto lo sterminio delle élites culturali, religiose e intellettuali considerate nemiche del socialismo2. L’Ucraina divenne una sorta di enorme ghetto in cui era impossibile sopravvivere. Paolo Rumiz parla di almeno 25mila morti al giorno.

Ma attenzione, ci sono stati diversi precedenti: l’amministrazione criminale e lo sterminio operato da Leopoldo II del Belgio di circa 10 milioni di congolesi nel XIX secolo, e lo sterminio degli Herero e dei Nama in Namibia tra il 1904 e il 1907 per mano dei colonizzatori tedeschi, che introducono i campi di concentramento; sostenuti dal convincimento di avere diritto alle terre ed alle ricchezze (enormi) della Namibia, i tedeschi trovano l’occasione per attuare la teoria del lebensraum. Il generale von Trotha, su mandato imperiale, sbarca in Africa, esautora il governatore Leutwein, stermina gli Herero, prima con le armi a Waterberg, poi con l’abbandono nel deserto, dopo nel campo di concentramento della fortezza di Vindhoek o al porto di Swakopmund nel campo di Shark Island dove muoiono anche i Nama.

Elemento comune fra i campi di sterminio in Germania e quelli in Namibia fu la pretesa di ricavare fondamenti scientifici alle teorie sulla razza. Solo nel 2015 Berlino ha riconosciuto le proprie responsabilità, firmando nel 2021 un accordo di riconciliazione e di stanziamento fondi. Meglio tardi che mai. Il male del resto, come diceva Hannah Arendt parlando di Adolf Eichmann, può essere così banale da rendere la Shoah un fatto statistico, facendole perdere connotazioni umane.

Eppure i massacri ci sono, continuano: Biafra, Darfur, Ruanda, la Cambogia dei Khmer Rossi con i suoi 2 milioni di morti. Anche la storiografia italiana, ancora al lavoro, è presente con i fatti che hanno preceduto ed accompagnato i caduti delle Foibe, in un’area che, più a sud, in Bosnia, molti anni dopo, ha contemplato la pulizia etnica ed i massacri di Srebrenica, dove ancora aleggia, come un fantasma, la precisa responsabilità della fuga del contingente olandese, lì posto a protezione degli oltre 8.000 uccisi dalle milizie serbe del generale Mladic.

Abbiamo corso negli anni e per terre sconfinate per arrivare allo Xinjiang, provincia che, oltre a Hong Kong e Tibet, si caratterizza per una forte volontà di impossibile autonomia; prevalentemente desertico ma ricco di risorse energetiche, è una delle entità amministrative più povere della Cina, malgrado i tassi di crescita del PIL. L’Uiguristan, o Turkestan Orientale, con una bandiera simile a quella turca da cui si differenzia solo per il colore azzurro, non potrà mai esistere.

La Cina ha cercato di assimilare gli Uiguri, oltre che con i campi di rieducazione, anche con i propositi della campagna Go West, sponsorizzata da Xi Jinping, che prevede di offrire incentivi aziendali al fine di creare opportunità economiche agli abitanti. Xinjiang, regione autonoma tra le più grandi, significa Nuova Frontiera: è da qui che dovranno passare le nuove vie della Seta dirette in Europa; se l’area non è sicura, il progetto salta, anche per la vicinanza con Paesi fortemente radicalizzati in ambito islamico – Afghanistan e Pakistan – da cui impedire ritorni jihadisti3.

I tratti antropometrici affini a quelli delle popolazioni dell’Asia Centrale, le tradizioni culturali, l’Islam sunnita e la lingua turcofona, rendono il gruppo uiguro la minoranza etnica più lontana dagli Han. Con la caduta dell’Unione Sovietica nascono stati (apparentemente) indipendenti: si riaccendono i sentimenti secessionisti uiguri, con la riscoperta dell’ideale panturco appena accennato. Il problema del separatismo è che, dopo l’11 settembre 2001, Pechino lo cataloga come uno degli elementi terroristici da combattere; una definizione supportata peraltro anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che qualifica il Movimento islamico del Turkestan Orientale, identificato come l’autore delle contestazioni più violente4, come meritevole di inserimento nell’elenco dei gruppi da mettere all’indice. In Cina, il concetto di terrorismo, non a caso, compendia il terrorismo vero e proprio, il separatismo e l’estremismo religioso. La Belt and Road Initiative ha esacerbato la questione, dato che lo Xinjiang è attraversato da tre corridoi5 economici infrastrutturali della BRI.

La Cina, tra il 1996 e il 2012, ha aumentato la presenza militare nella regione, accompagnandola ad un più elevato e stabilizzante modello di sviluppo; dal 2013 si è aggiunta la strategia della rieducazione (detentiva) attraverso il lavoro.

Mentre i kazaki forniscono le testimonianze più probanti, nel 2019 gli ambasciatori di 22 nazioni, eccetto l’Italia, hanno coinvolto nella questione uigura il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, sollecitando la chiusura dei campi di internamento, controbattuti da 37 altri Paesi che, al contrario, ed in virtù di forti interessi economici, sostenevano la posizione politica cinese, supportata (nientedimenoche!) dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Di fatto, procedono sia una incisiva campagna anti terrorismo, sia un processo di sinizzazione che intende eradicare le usanze islamiche, sostenuto dall’uso di tecnologie innovative, come le telecamere abilitate al riconoscimento facciale. Xinjiang vuol dire del resto realpolitik: la Turchia, nonostante tutto, non può fare altro che sostenere la Cina, per Ankara il coinvolgimento nella BRI, insieme con l’ingresso nell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai, val bene una messa. Di fatto, Erdogan alterna provocazioni e riavvicinamenti per acquisire un maggior margine negoziale con Europa e USA, purtuttavia rischiando che Pechino intervenga sulle vicende interne curde.

Che anche le Nazioni Unite abbiano remore nell’attaccare la Cina sul piano dei diritti umani sembra evidente: non a caso il duro rapporto sugli uiguri è stato reso pubblico appena 11 minuti prima che il mandato della Bachelet decadesse. Egemonia, proiezioni di potere, economia e ideologie, caratterizzano gran parte della storia genocidaria dei nostri tempi.

Difficile dare un quadro effettivamente razionale delle modalità con cui i vari governi sono riusciti a dare il peggio di loro stessi in rappresentanza dei loro popoli: le devianze non hanno colore e di fatto è impossibile cercare una briciola di normalità negli eccidi cambogiani o finanche nell’attuale controllo delle nascite e delle tendenze sessuali nello Xinjiang. A meno che, ovviamente, non sia questa la normalità, ed a qualche decisore occidentale, scandalizzato per il passato, sia sfuggito un presente anche peggiore.

1 In ucraino: infliggere la morte mediante la fame

2 L'Holodomor è stato riconosciuto come atto genocidario dai Parlamenti di 24 Stati; a maggio 2022 l’Italia non si era ancora espressa in merito.

3 L’Esercito del Turkestan, organizzazione affiliata ad Al Qaeda ed attiva negli ultimi tempi in Siria, è costituito da combattenti uiguri; secondo alcune fonti gli uiguri avrebbero sfruttato contatti turchi, vd. l’Associazione della Turchia orientale di educazione e solidarietà.

4 Il 5 luglio 2009 a Urumqi 200 persone morirono negli scontri tra gli han e gli uiguri. La sommossa è stata la più violenta registrata. Sono poi seguiti alcuni attentati qui e nel resto della Cina, attribuiti attribuiti a cellule jihadiste.

5 1) New Eurasian Land Bridge connette le regioni costiere della Cina dell’est ai mercati europei settentrionali; 2) Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale, dalla capitale dello Xinjiang, Urumqi, raggiunge il porto del Pireo; 3) Cina-Pakistan Economic Corridor connette lo Xinjiang meridionale al Mar Arabico.

Foto: presidency of the republic of Turkey