Il conflitto russo-ucraino: complessità e imprevedibilità

16/02/23

Il conflitto russo-ucraino prosegue mostrando gli orrori della guerra, come non eravamo più abituati in Europa; e non si può restare insensibili. È ora una guerra totale, iniziata quando la popolazione civile è stata duramente coinvolta nei combattimenti e per effetto del fuoco di artiglieria, indiscriminato, non chirurgico e limitato alle sole posizioni occupate dai militari. Molti gli interrogativi che alimentano gli opposti schieramenti di opinione, qui da noi: difensori dell'Ucraina, ma anche sostenitori del non coinvolgimento; e qualche estimatore delle politiche assertive dei nuovi autocrati.

Il punto è che, almeno in quella parte del mondo che definiamo Occidente, dopo aver elaborato il dramma delle rivoluzioni e delle guerre del Novecento; pervenendo alla consapevolezza che la libertà e la democrazia sono alla base della giustizia sociale; che le organizzazioni internazionali possono garantire la pace tra le nazioni, dopo aver acquisito questo bagaglio di consapevolezze, l’attacco della Russia all’Ucraina appare una prevaricazione del diritto internazionale inammissibile, da rigettare con forza. Quindi il problema si sposta sul piano delle strategie: come respingere l’aggressione senza determinare l’allargamento del conflitto?

Per il momento la via intrapresa è quella della condanna alla Russia e delle sanzioni economiche, cui si associa un supporto esterno alle forze armate di Kiev.

E sulla questione dell'invio delle armi al Governo Zelenskyj emergono ulteriori distinguo tra favorevoli e due tipologie di contrari: contrari tout court, e contrari solo alle armi offensive. Incrementa la difficoltà di discernimento il fatto ovvio che le notizie vengono manipolate: in guerra la verità è la prima a morire.

Nel prosieguo cercherò di mettere ordine nel quadro di situazione, pur consapevole che non emergerà alla fine alcuna certezza, mi auguro solo maggiore chiarezza per perfezionare le proprie idee; e i propri sentimenti se si avrà sufficiente onestà intellettuale, perché anche chi è lontano dal fronte nutre pur sempre sentimenti per le parti in causa e questi influenzano il giudizio.

L'Ucraina e il suo percorso d'integrazione nell'Unione Europea e nella Nato

L'Ucraina è una repubblica (indipendente dall'agosto del 1991 per secessione dall'URSS), membro della CSI. Ucraina e Nato hanno avviato un percorso d'integrazione le cui principali tappe sono: adesione al Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico NACC (1991) e alla Partnership for Peace (1994); istituzione della Commissione Nato Ucraina (1997). Nel 2008, al vertice Nato di Bucarest, l'Ucraina ha presentato domanda di adesione al Membership Action Plan (Map) per ottenere dalla Nato la consulenza necessaria ad acquisire i requisiti per l'ingresso nell'Alleanza. Nel vertice di Varsavia dell'Alleanza Atlantica del 2016 è stato accordato un più significativo sostegno all'Ucraina mediante l'istituto del Pacchetto di assistenza globale (PAC). Infine, nel 2020, il governo ucraino ha varato un concetto strategico che prevede l'adesione alla Nato.

Putin, dal canto suo, ha dimostrato di non gradire né una politica filo occidentale da parte dell'Ucraina né l'allargamento a Est della Nato, peraltro venuto a determinarsi per libera scelta di paesi sovrani, che hanno visto migliori opportunità di sviluppo e di sicurezza volgendosi a ovest anziché alla Russia. Analogo percorso d'integrazione riguarda l'adesione all'Unione Europea. Da considerare, in particolare, l'Accordo economico e politico di libero scambio e approfondimento con l'UE, di cui dirò dopo.

Ma perché esiste contrapposizione tra russi e ucraini? Non sono lo stesso popolo per origine, tradizioni e cultura, infine per religione?

L'Ucraina, cenni storici e la sua identità nazionale

La popolazione e divisa in gruppi etnici, probabilmente portatori di prospettive diverse su quale debba essere il proprio destino: Ucraini 78,1%, Russi 17,3%, Tatari 0,3%, Bielorussi 0,6%, Moldavi 0,5%, Ebrei 0,2%, altri 2,6% (2012). Anche la lingua parlata è differente: ufficiale ucraino e poi russo. Emblematico delle differenze di vedute tra europeisti e filo russi sono i torbidi che hanno attraversato il Paese nell'ultimo ventennio. Prima la Rivoluzione Arancione del 2004, quando fu eletto presidente, con minimo scarto di voti, il filo russo Victor Janukovič, con la reazione della piazza anche motivata dalla presa di posizione dello sfidante, Victor Juščenko, leader filo-occidentale della coalizione Nostra Ucraina, il quale aveva denunciato brogli. Tali brogli furono poi certificati dall'OSCE e la comunità occidentale non riconobbe il presidente eletto. Quindi le nuove elezioni dettero vincitore Juščenko, con un governo filoeuropeo guidato da Julia Timoshenko. Un governo, questa volta arancione, di breve durata però che, non dando buona prova di sé, contribuì a creare una frattura in seno alla società ucraina e segnatamente tra regioni orientali e resto del Paese.

Seguirono i gravi sommovimenti del 2013 – 2014 (Euromaidan), di protesta dei sostenitori dell'Accordo economico e politico di libero scambio e approfondimento con l'UE1, che provocò cento morti e più numerosi feriti, e a seguire l'instaurazione al potere del partito filo europeo. Un fatto drammatico quello di Piazza Maidan, con così elevato numero di vittime, di cui si è detto tutto e il contrario di tutto circa i responsabili delle uccisioni, che aprirono il fuoco sulla folla.

Seguirono poi in rapida successione la proclamazione della secessione da parte del Consiglio Supremo della Repubblica Autonoma di Crimea e annessione alla Federazione Russa, confermata da referendum, (secessione non riconosciuta dalla comunità internazionale); e l'occupazione delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Lugansk del Donbass, a est, con l'immissione da parte dei russi di unità para-militari.

Tale cristallizzazione di una situazione conflittuale tra Ucraina, Russia e Unione Europea - quest'ultima applicava sanzioni alla Russia insieme agli USA - si è protratta sino al 24 febbraio 2022, pur fossero in essere gli accordi di Minsk (due round) e sul campo fossero schierati osservatori dell'OCSE, oltre a varie ONG, per verificarne l'applicazione.

Dal 2014 il conflitto avrebbe provocato 14.000 vittime, la maggior parte nei momenti iniziali.

Andando più indietro nel tempo, ricordiamo che gli ucraini hanno subito un trattamento da parte dei russi che non può non aver lasciato traccia nell'immaginario collettivo. Intorno al 1933, essi furono vittima della politica di Stalin tesa a reprimere lo spirito nazionalistico e a imporre contemporaneamente una rapida collettivizzazione delle fattorie, i kolkoz. L'esito fu lo sterminio per fame di cinque milioni di individui. Dunque, alla base troviamo oltre alla volontà di collettivizzare le coltivazioni anche il contrasto al nazionalismo ucraino, al riconoscersi di quel popolo in una nazione.2 Il Parlamento Europeo ha ora riconosciuto l'Holodomor genocidio degli ucraini causato dalle politiche staliniane (risoluzione 2022/3001 15/12/2022).

Sul piano della cultura, essendoci una lingua ucraina differente dal russo, a cementare l'identità ucraina nel XVII secolo troviamo il filosofo e mistico Gregorio Skovoroda (1722 – 1794). È importante per il nazionalismo perché la sua opera si colloca nell'epoca che aprirà anche quella terra al movimento delle nazionalità, che nell'Ottocento genera nuovi stati. Così, seguendo questo filo conduttore, intorno al 1848 nasce la società segreta Fratellanza Cirillo e Metodio di tendenza nazionalista. Contemporaneamente, il poeta e scrittore Taras Sevecenko (1814 – 1861) esprimerà l'anima del popolo ucraino, il suo aspirare a una rinascita nazionale, e il suo anelito alla libertà.

Dunque, l'identità ucraina è un dato di fatto e le sue radici appaiono solide, anzi tenaci, se si considerano gli aspetti geografici e storici di quella regione. Un'area geografica priva di confini naturali è soggetta a invasioni e annessioni da parte degli stati limitrofi, una costante questa per la vasta regione a nord del Mar Nero e Mar d'Azov, tra i Carpazi a ovest e il fiume Volga a est.

Più indietro nel tempo, dal ceppo più antico dei tatari derivano i cosacchi, nomadi poi sedentarizzatisi con l'insediamento in villaggi, governati da atamani, che all'occorrenza rappresentano anche l'autorità militare. Villaggi talvolta in conflitto tra loro, come esistono cosacchi ucraini e cosacchi russi. Dunque, quell'ampia regione non ebbe mai confini politici stabili. Vi giunsero lituani, poi polacchi, con la presenza costante dei moscoviti, definiti anche Grandi russi, a nord.

Per non sottomettersi all'egemonia polacca, nel 1654, con il trattato di Perejaslavl', gli ucraini cercheranno la protezione dello zar Alessio (1629 - 1676). Poco dopo, un altro atamano, Mazepa (1639 - 1709), cercherà l'indipendenza da Mosca alleandosi con Carlo XII di Svezia in guerra contro Pietro il Grande, ma l'esito della campagna (Grande Guerra del Nord 1701 – 1721 e battaglia della Poltava) sarà infausto per le armi cosacche. Pietro I il Grande (1672 -1725) dominerà sull'Ucraina e Caterina II (1729 – 1796) sopprimerà l'autorità degli atamani.

Solo nel 1905, anche a seguito della prima rivoluzione russa, la lingua ucraina riprenderà ad essere accettata come lingua d'uso corrente. Con l'uscita della Russia dal primo conflitto mondiale, l'Ucraina cercò la sua indipendenza. Significativa è qui la figura dell'atamano Symon Petljura (1879 – 1926) perché la sua azione, lungo tutto l’arco della sua esistenza, esprime il nazionalismo ucraino. Egli fu un intellettuale e uomo d'azione che guido l'Ucraina, tra il 1918 e il 1919, contro l'Armata Rossa e contro i contro-rivoluzionari contrari all'indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina. Conclusa con esito sfavorevole l'impresa della sua vita, si rifugia a Parigi. Lì viene ucciso da un ebreo perché ritenuto coinvolto nei pogrom antiebraici che avevano trovato luogo in Ucraina durante il periodo in cui egli era capo militare.

L’Ucraina di oggi è un paese ricco di risorse agricole, minerarie ed è intensamente industrializzato. Storicamente, l’Est detiene il primato dell’industria pesante e oggi lì sono basate anche le aziende impegnate nella produzione di cemento, filati, tabacco, carta e materiale elettrico. Tale potenzialità, se ben incanalata, porterebbe alla creazione di benessere e ricchezza.

Secondo il Democracy Index, l’Ucraina non è ancora un paese democratico (rilevamento del 2019). E appare evidente, ora, con il conflitto in corso, che il paese stia vivendo una situazione di sospensione del percorso virtuoso, verso il pluralismo e le libertà fondamentali.

La Russia all'epoca di Putin

La Federazione Russa nasce alla fine del 1991 dal crollo dell'URSS. Ingloba tutte le ex repubbliche socialiste sovietiche e la Russia è il suo nucleo politico. Dell’URSS detiene l’arsenale nucleare, anche quello un tempo basato in Ucraina. È uno stato che si è avviato verso l'economia di mercato, con un regime democratico. Il governo centrale ha anche dovuto confrontarsi con movimenti indipendentisti della periferia, come in Cecenia, dove è stato combattuto un sanguinoso conflitto, i cui strascichi sono ancora all'ordine del giorno (intervento militare russo nel 1994, varie azioni terroristiche di matrice islamista, dissidenti vittime note all'opinione pubblica mondiale della reazione russa: A. Politkovskaja 2006, A. Baburova e S. Markelov 2009).

Poi nel 2009 scoppia la breve guerra russo-georgiana, a causa del movimento secessionista, filo russo, attivo nell'Ossezia del Sud. A provocare la reazione di Mosca il tentativo georgiano di riprendere, manu militari, il controllo della provincia ribelle. In quella circostanza, Mosca dichiarava il proprio diritto a intervenire in quanto stava conducendo un'operazione di peacekeeping. Ma l'azione russa stronca anche l'aspirazione georgiana a volgersi verso l'Occidente e a entrare nella Nato.

Contemporaneo a quella crisi è l'accordo BRICS (primo incontro ufficiale tra Brasile, Russia, India e Cina a Ekaterinburg nel 2009; nel 2010 adesione del Sudafrica), di natura economica e politica, di concorrenza alle strutture economiche occidentali fondate sugli accordi di Bretton Woods.

Dal crollo dell'Unione Sovietica a oggi emerge chiaramente il disegno egemonico di Putin, quattro volte presidente, di mantenere il controllo sugli Stati Indipendenti originati per dissoluzione dell'URSS e di risolvere nel proprio ambito, al loro sorgere, le questioni conflittuali, come avvenuto di recente anche tra Armenia e Azerbaigian, per il Nagorno Karabak (2020). Nonché di condurre una grande strategia da superpotenza globale, in autonomia rispetto agli altri player: Stati Uniti e Cina. Lungo tale direttrice, più di recente, in concomitanza con il conflitto russo-ucraino, è anche emersa una narrazione di opposizione culturale all'Occidente, visto come decadente rispetto ai valori tradizionali. Ma tale narrazione potrebbe essere solo atta a motivare sul piano della propaganda l'Operazione Militare Speciale. D'altro canto già il citato raggruppamento di stati BRICS preannuncia uno schieramento ispirato da valori politici diversi rispetto a quelli occidentali e mostra una contrapposizione ideologica tra blocchi, ancorché in ambito economico e commerciale.

Superpotenze ed egemonia globale

Riferendoci alla Russia come a una superpotenza con capacità nucleari “di primo colpo3”, occorre chiedersi chi sia oggi in grado di esercitare a livello globale forme di egemonia.

Per un trentennio circa abbiamo visto che gli USA costituivano l'unica superpotenza in grado di esprimere un potere globale, sia economico che militare. Ma ora la Cina sta emergendo come superpotenza economica e si sta attrezzando per essere a breve anche una superpotenza militare.

La Russia in tale contesto dimostra di non voler rinunciare al suo programma egemonico rispetto alle ex repubbliche sovietiche e mantiene capacità militari, anche nucleari, di tutto rispetto. Infine non manca di risorse naturali che costituiscono un potenziale di crescita e una capacità di resilienza uniche. Ma il fatto discriminate è che i leader di queste superpotenze mantengono un atteggiamento clausewitziano, mostrando di non rifuggire all'uso della forza militare per conseguire il proprio interesse (la guerra come prosecuzione della politica con altri mezzi) e in questo si differenziano dall'Unione Europea, in cui i regimi di democrazia liberale e pluralismo politico hanno di fatto escluso il ricorso alla guerra dalle opzioni politiche. Anche quando nell’UE si è disquisito di un “esercito europeo” a sostegno della Politica comune di difesa e di sicurezza, il format adottato non è andato oltre quello del battle group, ovvero non più di una brigata, impiegabile perlopiù in operazioni di peacekeeping. Contemporaneamente, nell’ultimo trentennio i paesi europei hanno ridotto l’entità delle forze schierabili per un eventuale conflitto simmetrico e si sono dotate di strumenti attagliati per il mantenimento della pace in missioni ONU, UE e Nato.

Quindi, sarebbe riduttivo non considerare il conflitto russo-ucraino nel quadro della conflittualità globale. Una conflittualità questa che si alimenta di nuove istanze. La competizione commerciale è oggi sottesa dalle tecnologie emergenti dirompenti che richiedono materie prime localizzate in un numero limitato di aree geografiche; nonché capacità industriali molto speciali, dalla ricerca e sviluppo alle linee di produzione. Le politiche per la riduzione delle emissioni di CO2 hanno avviato e sostengono tale competizione, che si preannuncia particolarmente aspra perché i paesi che resteranno indietro ne risentiranno pesantemente. In tale quadro, la Belt and Road Initiative di Xi Jinping è una strategia commerciale che deve essere soppesata anche sotto il profilo della politica di potenza di una nazione di quasi un miliardo e mezzo di individui.

Cina e USA si contrappongono nell'Oceano Pacifico e vantano interessi a livello globale. La proiezione di potenza cinese nel Pacifico si incardina sull'uso militare delle catene di isole che la delimitano a sud e a sud est, basi militari per l'interdizione dello spazio marittimo alla flotta statunitense. È l'antico confronto tra una potenza continentale e una potenza marittima. Taiwan occupa un posto centrale nella prima catena di isole e la sua stessa esistenza come paese autonomo possiede una forte connotazione politica. Le continue manovre militari cinesi che la riguardano lasciano supporre che prima o poi essa sarà oggetto della politica assertiva di Xi Jinping. Di contro, gli USA adottano nei confronti della Cina la strategia del contenimento, secondo la omonima dottrina. Il detonatore di Taiwan potrebbe accendere un conflitto su vasta scala in quel teatro. In tal caso, una Russia debole o duramente impegnata in un conflitto sarebbe meglio di una Russia forte, capace di sostenere e conferire profondità strategica alla Cina.

Stati Uniti e “paesi dell'oriente” come Cina e Russia esprimono anche due visioni del mondo - e politiche per attuarle - divergenti, in contrapposizione tra loro. E le differenti visioni politiche trovano più ampia attuazione in numerosi altri stati che potrebbero raggrupparsi in blocchi ricalcando lo schema della Guerra Fredda, in cammino su traiettorie differenti e a tratti confliggenti. Da una parte il modello illiberale, autocratico, monopartitico, ma efficiente almeno nel breve termine; dall'altro quello democratico, liberale e pluralista, basato sull’iniziativa individuale e sul libero mercato. Vengono così a determinarsi anche due realtà sociali molto differenziate: da una parte i paesi che nelle proprie politiche promuovono i diritti dell'uomo e le sue libertà e dall'altro i paesi dove il popolo, guidato da autocrati, è in cammino verso migliori forme di equità sociale, ma a scapito della libertà individuale e con un controllo che ora la tecnologia può rendere ferreo.

Dunque, le domande da porsi sono: quanta parte del conflitto russo-ucraino risente delle tensioni che si stanno accumulando a livello globale tra le superpotenze? E se queste tensioni effettivamente giocano un ruolo nel punto focale del Donbass e della Crimea, in che maniera ne determinano l’evoluzione? Domande queste che restano aperte perché è difficile trarre elementi di continuità certa dalla situazione in rapida trasformazione che è l’attuale scenario internazionale.

Unione Europea, Nato e USA di fronte all'aggressione russa all'Ucraina

L'Operazione Militare Speciale di Putin, partita il 24 febbraio 2022, è stato un vero e proprio attacco militare, inizialmente con l'obiettivo di acquisire, in breve tempo, la capitale e il controllo dell'intera Ucraina.

L'ONU ha subito condannato questo atto. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 2 marzo successivo, ha votato con 141 paesi a favore della condanna, 5 contrari e 35 astenuti. Tra gli astenuti anche India, Cina e Sudafrica (paesi del BRICS). È seguita una serie di sanzioni applicate dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti e alcuni altri paesi dell’area occidentale alla Russia, ma che determinano effetti negativi anche per coloro che le applicano. Molto significativo al riguardo è la distruzione del gasdotto Nord Stream, la notte del 26 settembre scorso, per cui sono ancora in corso le indagini per attribuire la responsabilità.

La Russia, dal canto suo, seguendo la prassi, ha annesso tramite referendum quattro province del Donbass. È questo un passaggio critico perché ora queste province sarebbero territorio russo. L’Assemblea delle Nazioni Unite, però, il 12 ottobre scorso, ha espressa condanna all’annessione, con 143 voti (5 contrari e 35 astenuti, tra cui India e Cina) che di fatto non è stata riconosciuta.

I contrattacchi ucraini per liberare dall’occupazione russa queste province sarebbero attacchi alla Russia? La risoluzione ONU non ha valore vincolativo e quindi la materia è controversa. Criticamente controversa, se si considera la minaccia di Mosca all’uso di armi nucleari per difendere il territorio nazionale.

L’Occidente si è subito coalizzato costituendo un “Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina”, composto da cinquantaquattro paesi, chiamato anche “Formato Ramstein”. L'Unione Europea, in tutto questo, sta esprimendo una ben determinata politica di aiuti al paese attaccato, nella sua postura e in concreto. Infatti, per quanto attiene agli aiuti sin qui forniti, l’UE è leader (52 miliardi di euro a gennaio 2022) insieme ai paesi anglosassoni (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda)4. Mai essa nella sua seppur breve storia aveva palesato una politica estera e di sicurezza così chiaramente definita, nonostante le potenzialità ad essa attribuite con l'istituzione del Servizio Esterno. Ciò è dipeso dalla convergenza di vedute dei Paesi Membri, in sintonia con Gran Bretagna, Nato e in particolare USA, la cui azione si presenta ora particolarmente determinata.

Le ragioni di un simile accordo andrebbero ben comprese ed enunciate. È la volontà di tutelare un Paese amico, ma non ancora alleato e non ancora stato membro, oppure la necessità di contenere l'assertività di Putin in politica estera? Oppure, ancora, la volontà degli Stati Uniti di conservare a livello globale il primato egemonico in particolare minacciato dall’ascesa della Cina, quest’ultima in sintonia di vedute e di interessi con la Russia? Forse le diverse istanze concorrono in maniera sintonica. In tal caso, necessità e volontà, che costituiscono rispettivamente obbligazione e ambizione, ora si fondono generando la risultante della determinazione che osserviamo come un fatto originale, nuovo nella nostra epoca, nella politica europea e occidentale. Se questa è la cornice geopolitica, il quadro all’interno mostra elementi altrettanto significativi.

Necessità e volontà, obbligazione e ambizione trovano pratica attuazione nel supporto fornito da UE e Nato all'Ucraina dopo il 2014, alla sua politica filo occidentale, alla sua aspirazione a entrare nell'area UE e Nato, nonostante le limitazioni di carattere istituzionale e sociale ancora lì presenti. E, di contro, nel contrasto all'assertività di Putin, allontanatosi dall'Occidente dopo una prima fase che lasciava presagire, viceversa, la volontà a perseguire una via comune. Se parte dell'opinione pubblica anche qui da noi non comprende queste ragioni, nondimeno esse esistono e materializzano cause significative del conflitto. Tuttavia sarebbe riduttivo negare o non considerare anche gli aspetti sia culturali profondi che della psicologia delle masse, quelli che poi rendono la guerra un fenomeno immanente, inalienabile, insopprimibile.

Occidente e Oriente, ovunque si collochino questi luoghi dello spazio, mai disgiunti dallo spirito, non necessariamente separati da linee geografiche nette, materializzano due visioni opposte del modo di essere, di coesistere politicamente e finanche di combattere5. L’Occidente ha prodotto il Diritto internazionale e ha edificato le organizzazioni internazionali cui affidare il compito di dirimere le controversie al fine di ridurre il rischio che le dispute degenerino in guerre. Anche le democrazie liberali e pluraliste dimostrano di coesistere più pacificamente di quanto facciano i regimi illiberali. In oriente la guerra, nella sua concezione, è sempre totale, restia a essere mitigata per effetto delle convenzioni internazionali. In questo gioca un ruolo importante anche la concezione della vita umana, lì più subordinata alla causa e al collettivo che nella visione umanistica, cristiana, vigente qui da noi. Infine, anche l’ambiente, caratterizzato da ampi spazi e lunghe distanze, incide sul modo di combattere: come non permissiva è sovente la natura così è aspra la lotta. Oltre a ciò, la storia millenaria dei popoli orientali non può non creare un substrato di tendenze che quando si scatena la guerra emerge dettando le regole.

Ne consegue che le ragioni di un conflitto, pur appartenenti alla sfera della realtà fattuale, motivate da fattori contingenti, possono attingere forza dall'immaginario collettivo. L'essere russo, così come l'essere ucraino evoca sentimenti di appartenenza, di fierezza e offre prospettive differenti. Naturalmente si può coesistere in pace e fratellanza, come, viceversa, a una causa scatenante può seguire il risentimento ancestrale, che fomenta il conflitto e porta alla guerra. E questa viene combattuta barbaramente, senza tenere conto dei limiti delle convenzioni e del Diritto internazionale umanitario.

Ora, l’Occidente sostiene l’Ucraina nella sua guerra per la difesa dell’integrità territoriale, trovando oltre la linea di confine l’Oriente, materializzato dai Paesi che all’Assemblea delle Nazioni Unite, a marzo 2022, per la mozione di condanna all’aggressione hanno votato contro o che si sono astenuti.

La domanda è se si stiano materializzando nell’ambito delle relazioni internazionali un confronto tra civiltà diverse. Se così fosse, di questo occorre essere consapevoli.

Il sostegno occidentale all'Ucraina

Mentre la Russia, che in un anno di combattimenti molto intensi non ha guadagnato successi significativi, attinge alle sue cospicue riserve di mobilitazione, preannunciando ancora sforzi risolutivi, da parte dell'Occidente, alla condanna dell'aggressione stanno seguendo azioni concrete di sostegno all'Ucraina. Tali azioni si devono valutare sotto il duplice profilo, ancora qui ricorrente, della necessità e della volontà; in particolare della volontà/opportunità, perché sono in gioco l'interesse nazionale e il rischio della spiralizzazione del conflitto. Infatti, già ora si percepisce l'incombere di un allargamento del conflitto e il rischio del ricorso ad armi speciali, di più massiva distruzione.

Dunque, fin dove è necessario e possibile spingersi per sostenere il popolo ucraino nella difesa della sua patria?

Condannare o meno l'invasione è indicativo della posizione che un paese terzo assume nei confronti delle parti in causa, è un atto politico e manifesta una scelta di campo. Si può andare oltre, ovviamente: sostegno umanitario e supporto militare diretto. Il sostegno umanitario rientra nella sfera dell'imperativo categorico. Sul campo di battaglia il soccorso sanitario è neutrale, si curano i feriti di entrambi i fronti. Quindi, esso andrà erogato a prescindere da qualsiasi considerazione, così come anche il soccorso alle popolazioni coinvolte.

Andando oltre nelle opzioni, il sostegno all’economia e la fornitura di armi e munizioni ha reso possibile la prosecuzione delle operazioni difensive da parte ucraina e messo in difficoltà le forze armate russe. Senza il sostegno tramite forniture militari l'Ucraina non avrebbe resistito. Tuttavia, il sostegno di natura militare, per le implicazioni che esso comporta, deve essere attentamente soppesato. L'attenzione qui deve spostarsi sul fatto in sé, su cosa comporti cedere armi per sostenere le capacità militari di un paese aggredito.

Le norme da noi vigenti convergono tutte sul principio che l'uso delle armi debba sottostare a ragioni di esclusiva necessità: la difesa della Patria e delle libere istituzioni. E che tale necessità debba essere oggettivamente definita (uso legittimo delle armi, definito per legge).

Il punto centrale sulla cessione delle armi a un paese amico (non alleato però, il che significa che non sussistono accordi pattizi di mutua assistenza militare con valore vincolativo di legge), in conflitto con un paese terzo, è che non esistano ragioni di necessità da parte del paese cedente, ma solo ragioni determinate dalla volontà di contribuire alla sua difesa. Una volontà tuttavia che possiede il requisito di legittimità per determinazione governativa e attraverso il passaggio parlamentare. In effetti questo sta accadendo qui da noi.

In ogni caso, la fornitura di armamenti a un paese in guerra costituisce un coinvolgimento nel conflitto, ancorché indiretto. Sarebbero ipotizzabili ritorsioni da parte russa ai paesi che sostengono militarmente l'Ucraina? Attacchi di svariata natura, come informatici, o cinetici? Per quelli indiretti - quelli informatici non sono facilmente attribuibili - il rischio di un allargamento del conflitto è minore. Ovviamente questo non vale per gli attacchi cinetici diretti, più facilmente attribuibili.

Nel caso specifico del conflitto in Ucraina, l'appartenenza alla Nato dei paesi sostenitori li pone sotto la tutela della difesa comune, sancita con l'articolo 5 del Trattato. Questo fatto ha peso rilevante, costituisce fattore dissuasivo a lanciare un attacco cui potrebbe rispondere l'intera alleanza.

La cessione di armi e munizioni ha anche palesato la discriminazione tra armi difensive e armi offensive. Ma le polemiche che sono derivate hanno evidenziato scarsa consapevolezza dell'argomento. Elmetti e indumenti protettivi possono essere ascritti alla categoria degli armamenti, gestiti come materiali sensibili, ma palesemente non sono armi perché non possono offendere. Sistemi d'arma contraerei possiedono invece questa capacità, dipende dall'uso che ne fa l'operatore. Il 17 luglio del 2014, sui cieli del Donbass fu abbattuto un aereo civile con un missile terra area (processo ancora in corso contro i quattro operatori del sistema Buk-M1 Ural, già condannati in primo grado). Le armi e i sistemi d'arma non possono essere considerati esclusivamente difensivi.

Infine un'ultima considerazione. Chi cede armi a un paese in guerra deve possedere la consapevolezza che non è certo che esse rimarranno nella disponibilità esclusiva di forze militari legittimate a usarle. Non esiste infatti alcuna forma di tracciamento delle stesse, così esse potranno armare volontari civili e corpi paramilitari. Questo è certo per le armi individuali, meno per i sistemi d'arma la cui complessità richiede un addestramento specifico.

È poi del tutto evidente che con esse saranno inflitte perdite di vite umane e distruzioni. Quindi, la cessione delle armi, pur non significando l'entrata in conflitto da parte dello stato cedente, costituisce un'assunzione di responsabilità molto significativa.

Russkij Mir (pace russa): “le attività di politica estera dello Stato devono mirare ad assicurare una protezione onnicomprensiva ed effettiva dei diritti e degli interessi dei cittadini russi e dei compatrioti residenti all'estero6

L'Ucraina è sotto attacco della Russia dal 2014. La guerra ibrida iniziata con l'annessione della Crimea e l'Occupazione delle repubbliche separatiste del Donbass è poi divenuto conflitto guerreggiato e guerra totale. L'aggressione russa è una risposta alla volontà democraticamente espressa dalla nazione ucraina di integrarsi nell'Unione Europea e nella Nato.

L'operazione militare non è giustificata dalla necessità di difendere la componente russofona, come invece la retorica russa vorrebbe far credere. Essa è anche in contrasto con il processo negoziale basato sugli Accordi di Minsk. In sintesi, la strategia di Putin in Ucraina è l'attuazione, manu militari, del concetto Russkij Mir, già applicato in particolare in Georgia nel 2009.

E il coinvolgimento della comunità internazionale al fianco dell'Ucraina? Nondimeno, l'intervento di un paese terzo a favore di un paese amico impegnato in un conflitto deve essere deciso tenendo conto degli interessi e della strategia nazionali. I primi determinano le ragioni di necessità e di opportunità; la seconda concretizza l'azione a partire da un esame di fattibilità. Alle ragioni di necessità e di opportunità si aggiunge sempre anche la volontà, come espressione di libertà. L'azione politica, infatti, non può essere ridotta a procedura schematica, rigida, algoritmica. Solo nella parvenza essa assomiglia al gioco degli scacchi sopra la scacchiera perché intervengono variabili imprevedibili, aleatorie.

L'azione politica nella grande strategia deve essere espressione elevata dell'agire umano, esercitata da persone elette, che comprende atti di volizione basati sull'intuizione, e deve tenere in considerazione anche i sentimenti. Nondimeno, ogni azione politica che possa definirsi saggia persegue l'interesse nazionale. Sta alla compagine governativa amalgamare tra loro le politiche dei singoli dicasteri in un'azione che nell'insieme risulti coerente e orientata all'esclusivo bene comune, e quindi all’interesse nazionale. L'approccio strategico all'azione governativa consiste nel riunire in un unico paradigma gli scopi da perseguire con i mezzi di cui si dispone, seguendo i percorsi più opportuni.

L'interesse nazionale e le strategie per perseguirlo sono sempre soggetti a vincoli esterni: accordi internazionali, cessioni di sovranità a organizzazioni sovranazionali. Di fronte alle controversie internazionali e ai conflitti, più che negli accadimenti interni, è in gioco l'interesse nazionale. Allo scadere imminente di un anno dall'attacco russo all'Ucraina, con l'incombere della spiralizzazione di quel conflitto, è necessario che le migliori virtù politiche sorreggano ora i nostri decisori strategici.

Antonio Venci

1 Gli elementi chiave dell’Accordo possono essere così riassunti: - Valori e principi condivisi (democrazia, rispetto dei diritti umani, libertà fondamentali, stato di diritto, sviluppo sostenibile, economica di mercato); - Cooperazione rafforzata in politica estera e di sicurezza (incentrata su stabilità della regione, armi di distruzione di massa, lotta al terrorismo, gestione delle crisi, ecc.); - Creazione di una DCFTA (per offrire non solo maggiori opportunità di commercio e di investimento, ma anche la possibilità di fruire dell’assistenza UE nelle riforme collegate al settore economico-commerciale); - Giustizia, libertà e sicurezza (incentrato sul Piano di liberalizzazione dei Visti, ma anche su migrazione, protezione dati, lotta al riciclaggio di denaro, alle droghe e al crimine organizzato); - Energia (incluse le problematiche del nucleare, con particolare attenzione per la sicurezza delle forniture, la graduale integrazione dei mercati, l’efficienza energetica, le fonti di energia rinnovabile e la sicurezza nucleare); Cooperazione in 28 settori chiave (fra cui riforma della pubblica amministrazione, politiche sociali e pari opportunità, gestione della finanza pubblica, tassazione, politiche industriali, politiche marittime e della pesca, agricoltura e sviluppo rurale, energia, trasporti, protezione civile, sanità, ricerca, turismo, società dell’informazione, cultura, società civile, ecc.).

3 Un attacco massiccio preventivo tale da inabilitare il potenziale del nemico. Costituisce postura strategica e si differenzia da quella che prevede l'uso delle armi nucleari per ritorsione.

4 Kiel Institute for the World Economy

5 Ernst. Junger, Carl Smith. “Il nodo di Gordio”. Adelphi (2023)

6 Sergej Karaganov, Capo del Consiglio di Politica Estera e di Difesa. Preside della facoltà di Economia mondiale e Affari internazionali Università di Mosca.

Foto: MoD Fed. Russa