Il futuro MBT italiano: light è meglio

(di Tiziano Ciocchetti)
26/10/20

Nonostante si prosegua con il programma di aggiornamento del carro Ariete, lo stato maggiore dell’Esercito si pone domande su un possibile successore e, soprattutto, che caratteristiche dovrà avere.

Ormai fuori da programma franco-tedesco, il governo italiano è alla ricerca di altri partner per poter realizzare un nuovo MBT (cercando di non ripetere i macroscopici errori fatti con l’Ariete) che sia adatto ai futuri scenari operativi.

Visto anche i progressi nel campo della protezione passiva e la necessaria adozione di sistemi di difesa attiva (tipo Trophy), sarebbe possibile realizzare un mezzo dal peso contenuto, nell’ordine delle 32 tonnellate magari elevabile fino a 35 con l’installazione di corazzature aggiuntive modulari.

A supporto di tale soluzione, il programma del U.S. Army, MPF (Mobile Protected Firepower), verte sulla realizzazione di un MBT con massa inferiore alle 40 tonnellate.

La seconda Guerra del Libano (2006) e la successiva operazione nella Striscia di Gaza (2008-09) hanno evidenziato come anche gli MBT più pesanti e protetti – il MERKAVA Mk-IV (foto) – possono essere messi fuori combattimento da piccoli gruppi di miliziani equipaggiati con sistemi anticarro di ultima generazione. Da queste esperienze, il corpo corazzato israeliano, ha modificato le proprie dottrine operative circa l’impiego dei corazzati nei contesti urbani.

Tornando al futuro MBT nazionale, una massa contenuta permetterebbe di facilitare l’adozione, come sta avvenendo in campo automobilistico, di un motore ibrido, diesel-elettrico. Ciò consentirebbe due vantaggi: da un lato una sensibile riduzione dei consumi, con conseguente aumento dell’autonomia, dall’altro una superiore disponibilità di energia elettrica. Quest’ultimo aspetto appare di non secondaria importanza in quanto, sui veicoli di prossima generazione, la richiesta di energia elettrica sarà destinata ad aumentare (a causa delle future installazioni a bordo di apparati C4I, protezione attive, radar).

Per quanto riguarda la protezione, entriamo in un settore difficile da trattare in quanto le informazioni disponibili sono assai poche.

Si può comunque ipotizzare che, anche nei futuri MBT, la corazzatura passiva rimarrà l’elemento principale, incrementata da piastre reattive e dalle protezioni attive. L’utilizzo di materiali diversi, stratificati (come nylon, ceramici, carburo di boro e di silicio), consentirebbe di avere pesi contenuti ma protezioni elevate.

Da non sottovalutare il concetto di mimetizzazione infatti, per non essere individuati, i moderni MBT dispongono di sistemi di mascheramento (camouflage) di ultima generazione. Un esempio è il mascheramento multispettrale della BAE Systems ADAPTIV (si modifica in base al terreno in cui opera il mezzo). Per quanto concerne il discorso delle emissioni elettromagnetiche, il carro polacco sperimentale PL-1 ha una segnatura elettromagnetica ridotta, grazie all’utilizzo di materiali RAM (Radar Absorbing Materials).

Particolare attenzione, ovviamente, merita l’armamento principale. Gli attuali MBT occidentali sono standardizzati sul pezzo da 120 mm, derivato dal Rheinmetall RH-120 da 44 calibri. I Leopard 2A6/7 sono equipaggiati con una canna lunga 55 calibri, mentre il francese Leclerc ha un pezzo da 120/52 mm.

Nel programma americano MPF tutti i concorrenti presentano un mezzo armato con un pezzo da 105/51 mm rigato, vista anche l’elevata polivalenza di questa bocca da fuoco.

Tuttavia il motivo principale potrebbe essere quello che l’unica torre con pezzo da 120, montata su un mezzo di 30 tonnellate, è la HITFACT di Leonardo (installata sulla torretta dei Centauro omaniti e sulla Centauro II in fase di acquisizione presso l’EI). Quindi, l’esperienza maturata con le blindo pesanti faciliterebbe notevolmente l’adozione del nuovo cannone da 120/45 mm (in grado di sparare il moderno munizionamento Rheinmetall) anche su un MBT medio.

Qualunque siano le dimensioni del futuro MBT nazionale, è indubbio la necessità di trovare uno o più partner al fine di non produrne quantità minime e, quindi, abbassare i costi. A tale scopo sembrerebbe consolidarsi una collaborazione tra Italia, Polonia e Spagna, visto che il Regno Unito, per i prossimi anni, punterà su una versione migliorata del Challenger 2.

Immagini: BAE Systems / IDF / Difesa Online