Marina Militare VS Türk Deniz Kuvvetleri (marina militare turca)

(di Tiziano Ciocchetti)
02/11/20

Ipotizziamo una possibile operazione di ispezione nel Mediterraneo Meridionale, da parte di una unità della Marina Militare, magari il cacciatorpediniere lanciamissili Doria, finalizzata ad accertare che un cargo civile, diretto al porto di Misurata, non trasporti materiale bellico.

Ipotizziamo anche che il suddetto cargo sia scortato da una fregata della Marina Militare turca, magari un’unità della classe Barbaros (Meko 200) e che alla richiesta di ispezione da parte del Doria la fregata turca comunichi alla nave italiana di allontanarsi e di far procedere il cargo per la sua rotta.

Se la situazione dovesse precipitare e ci fosse uno scontro tra le due unità (siamo sempre nel campo delle ipotesi), quale delle due ne uscirebbe vincitore?

Pur non potendo, ovviamente, valutare alcuni fattori che sfuggono al controllo dell’uomo, possiamo comunque soffermarci su altri aspetti, soprattutto tecnici, riguardanti le due navi in questione.

Il cacciatorpediniere Andrea Doria, insieme al Caio Duilio, frutto del progetto italo-francese Orizzonte, varato nel 2005, è entrato in servizio nella Marina Militare nel 2007. Il Doria ha un dislocamento di 7.050 tonnellate ed è armato, secondo il sito ufficiale della Marina, con tre cannoni SUPER RAPIDO da 76/62 mm, 48 celle verticali VLS A50 per missili superficie-aria ASTER-15/30, due mitragliere per la difesa di punto da 25/80 mm (25x137) e due lanciatori binati per siluri antisom MU-90; inoltre imbarca un elicottero SH-101.

Già da questo elenco emerge una discrepanza: come mai un caccia lanciamissili non imbarca missili antinave? Eppure il progetto Orizzonte prevedeva per le unità italiane (quindi anche per il gemello Duilio) l’installazione a bordo, fino a un massimo di 8 contenitori/lanciatori, di missili antinave TESEO Mk-2/A (Block IV), soluzione transitoria in attesa (chissà quando) di poter installare direttamente nelle celle VLS dei missili di nuova generazione (TESEO Mk-2/E).

A quanto pare, almeno fino ad oggi, la Marina Militare ha progettato, costruito e varato una classe di cacciatorpediniere, l’Andrea Doria, senza effettive capacità antinave (essendo privi del pezzo da 127/64 mm LW), eccezion fatta per i tre 76/62 che, ovviamente, potrebbero ingaggiare solamente natanti di piccole dimensioni (stesso discorso potrebbe valere anche per le otto FREMM, classe Bergamini, che disporrebbero, per le quattro multiruolo, del solo pezzo da 127/64 LW come armamento antinave).

Negli ultimi anni si è cercato di ovviare a questa grave carenza, cercando di installare il TESEO sul Duilio ma, dopo alcuni tentativi falliti, i tecnici di MBDA / Leonardo (fornitore del sistema d’arma) hanno dovuto arrendersi concentrando gli sforzi sul Doria che, il mese scorso (dopo due settimane di preparazione), è stato in grado di lanciare un missile, senza testata di guerra, a 95 km di distanza (per la cronaca il bersaglio è stato colpito) nel poligono sardo di Salto di Quirra.

In seguito a tale successo, dopo tredici anni dall’entrata in servizio (meglio tardi che mai), il caccia Doria è stato abilitato al lancio di missili antinave.

La difesa antiaerea è assicurata dai missili superficie-aria ASTER 15/30, contenuti nelle 48 celle a lancio verticale VLS A50 tuttavia, nell’ultima missione effettuata dal Doria, erano trasportati solo 12 ordigni e pare che siano i numeri standard di ogni uscita in mare.

Probabilmente non si possono riempire tutte le 48 celle con i missili perché altrimenti le altre unità – il gemello Duilio e le 8 FREMM – non ne avrebbero.

Per quanto riguarda le condizioni strutturali della nave, invece, Difesa Online è venuta a conoscenza della presenza di crepe tra le due torri prodiere da 76/62: attraverso queste aperture, quando piove, entra acqua all’interno del Doria e, a quanto pare, ce ne sono anche delle altre. Alcune delle quali hanno subito un superficiale rattoppo utilizzando lamiere prelevate dalle unità rimaste della classe Maestrale, fregate ormai in disuso e di nessuna utilità operativa (dovevano essere radiate l’anno scorso ma la vendita delle due FREMM all’Egitto ha fatto saltare la pianificazione della Marina).

Di contro un’unità turca classe Barbaros (foto), pur avendo un dislocamento inferiore (poco più di 3.000 tonnellate), e una suite di apparati elettronici tecnologicamente non comparabili, rispetto al Doria è pesantemente armata. Infatti, a differenza dell’unità italiana imbarca, ormai da tempo, missili antinave RGM-84 Harpoon (in numero di 8); per quanto concerne l’artiglieria, la classe Barbaros è armata con pezzo americano Mk-45 da 127/54 mm e un sistema CIWS quadrinato da 25 mm (25x184).

Vista la brevità della distanza, un ipotetico scontro tra le due unità non potrebbe che avvenire utilizzando le rispettive artiglierie.

Terminato di esaminare i rispettivi armamenti è bene valutare un altro elemento altrettanto importante (se non di più) ovvero gli equipaggi.

Il personale della Marina Militare, attualmente, è composto da meno di 28.000 unità, è la Forza Armata numericamente più piccola delle quattro.

Nell’audizione alla Commissione Difesa della Camera, lo scorso 28 ottobre, il capo di stato maggiore Cavo Dragone ha evidenziato che questi numeri cominciano ad essere insostenibili per il mantenimento delle capacità operative della Marina, auspicando in un prossimo futuro un sensibile aumento del personale.

Il capo di stato maggiore, tuttavia, non ha potuto citare ciò che costituisce la maggiore limitazione all’azione delle unità navali della Marina. Infatti. una volta preso il comando di una nave, l’ufficiale italiano si verrà a trovare sotto l’occhio vigile della magistratura italiana, che ne giudicherà - ed eventualmente ne sanzionerà - l’operato (se una nave italiana in missione anti-pirateria al largo delle coste somale aprisse il fuoco contro un barchino, che gli spara contro, con una mitragliera da 25 mm, un magistrato in Italia aprirebbe un fascicolo sul comandante della suddetta nave per eccesso di legittima difesa).

A tal proposito credo sia propedeutico il caso del pattugliatore Sibilla, il cui comandante venne condannato per aver fatto semplicemente il suo dovere, obbedendo alle disposizioni dell’allora Governo Prodi che, come da italica tradizione, gli scaricò addosso tutte le responsabilità (il 28 marzo 1997 un barcone carico di clandestini albanesi cercò di evitare il Sibilla in missione di pattugliamento nel Canale d’Otranto, il tentativo di fuga causò allo scontro fra le due imbarcazioni con conseguente affondamento del barcone e la morte di circa 80 persone stipate a bordo).

Gli ufficiali delle navi da guerra turche, invece, possono contare sul supporto del loro governo e della nazione, senza che la magistratura civile possa interferire sulle decisioni operative.

Se gli ordini del comandante di una unità classe Barbaros sono quelli di condurre un cargo a destinazione (magari il porto di Misurata), senza che subisca controlli, è certo che l’ufficiale userà ogni mezzo a sua disposizione per rispettare la consegna ricevuta.

La missione della Marina Militare turca è chiara: proiettare potenza nel Mediterraneo e proteggere gli interessi di Ankara.

Analizzato tutti gli elementi, quindi, crediamo che, molto probabilmente, non si verificherebbe alcuno scontro in quanto la nave italiana sarebbe costretta a battere in ritirata.

Foto: Marina Militare / Türk Silahlı Kuvvetleri / Camera dei deputati