EUNAVFOR MED IRINI: ennesima occasione persa per la credibilità dell’Europa?

(di Giuseppe De Giorgi)
07/04/20

Il 1 Aprile è stata “lanciata” l’operazione dell’EU EUNAVFOR MED IRINI. Dopo circa una settimana le sole navi in pattugliamento davanti alla Libia sono quelle turche. Di quelle di IRINI non vi è traccia. Forse complice il Covid 19 che ha verosimilmente aggravato la tradizionale timidezza operativa dell’EU, le navi europee sono ancora in porto.

Sinora solo la Grecia e l’Italia hanno dichiarato di essere realmente pronte a mandare le proprie navi in mare. La Francia sarebbe disponibile a partecipare con una sua nave, ma non prima della metà di maggio, mentre la Spagna limiterebbe il suo contributo a un aereo da pattugliamento della Marina. Germania non pervenuta.

Un po’ poco a dire il vero, soprattutto dopo l’importanza attribuita alla Conferenza di Berlino e le dichiarazioni d’intenti dei principali Paesi. Con sole tre navi, ammettendo un rapporto mare/porto del 60%, la presenza media in zona di operazioni si ridurrebbe ottimisticamente a 2 unità. Se non se ne aggiungessero altre, il “blocco navale” sarebbe assai permeabile, di fatto una missione di facciata, soprattutto se non venisse dotata di regole d’ingaggio molto robuste (poco probabile).

Al di là del nuovo nome, i compiti di EUNAVFOR MED IRINI sono sostanzialmente quelli di Sophia, ma con un cambio nelle priorità operative. Al primo posto, vi è adesso l’esecuzione dell’embargo sull’ingresso delle armi in Libia, sulla base delle risoluzioni 1970 (2011), 2292 (2016), 2473 del 2019 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (per Sophia era il contrasto ai trafficanti di esseri umani). I compiti secondari sono la sorveglianza sulle esportazioni illecite di petrolio libico, la formazione della Guardia Costiera e della Marina Libica, il contrasto al traffico di esseri umani.

La nuova operazione eredita purtroppo anche alcuni dei vincoli di Sophia. Il gruppo navale EU non potrà infatti operare all’interno delle acque territoriali libiche, nel suo spazio aereo o sulla terraferma, a meno di non ricevere un invito esplicito del Governo libico (difficile che accada visto che di governi ve ne sono due, in guerra fra di loro e che tale permesso non sia mai stato ottenuto da Sophia). Ciò comporta che il traffico di armi diretto in Cirenaica attraverso il confine terrestre con l’Egitto e quello marittimo entro le 12 miglia dalla costa, potrà continuare praticamente indisturbato.

In pratica le navi provenienti dal Mar Rosso e dal Golfo Persico, dopo aver attraversato il canale di Suez, potranno navigare nelle acque territoriali egiziane e poi in quelle della Cirenaica, sotto il controllo delle motovedette di Haftar, raggiungendo sostanzialmente indisturbate i porti di Tobruk e Bengasi, senza poter essere intercettate dalle navi europee. I ribelli della Cirenaica non rischieranno quindi di rimanere senza armi.

Per contro, sarebbe proprio il Governo sostenuto dall’ONU, quello di al Sarraj, a essere penalizzato, un paradosso che è la cifra di questa crisi libica. Il territorio che resta ancora in mano al Governo di Accordo Nazionale in Tripolitania sarebbe infatti rifornibile essenzialmente via mare, da navi esposte all’eventuale interdizione del gruppo navale EU in quanto provenienti dalle acque internazionali, visto che non potrebbero sfruttare il corridoio delle acque territoriali della Cirenaica presidiate da Haftar.

In sintesi, a risentire dell’azione del Gruppo Navale Europeo sarebbe solo il traffico marittimo diretto in Tripolitania, sempre che i Turchi non decidano di scortare le navi che trasportano armi dirette a Tripoli (foto), creando le condizioni di un confronto armato fra le navi europee e quelle “neo-ottomane”.

È questa possibilità, piuttosto concreta peraltro, a costituire la principale novità rispetto al contesto operativo della missione Sophia: la presenza in mare nelle stesse acque di un avversario determinato a difendere Tripoli e il Governo di Al Serraji per non perdere i vantaggi strategici sia in chiave militare sia economica, da poco ottenuti. La Turchia è un avversario la cui propensione all’uso della forza non deve essere sottovalutata. È intorno a questo elemento di novità che si articola la scelta della nazione a cui affidare il Comando del Gruppo Navale.

La nuova missione ha infatti ereditato da Sophia anche il quartier generale a Roma (nella sede del Comando Operativo Interforze) così come l’assegnazione all’Italia del comando dell’operazione nel suo complesso. Sulla scelta del comandante in mare invece il confronto fra i Partner è ancora aperto. Per Sofia è sempre stato un ammiraglio italiano. Nel caso di IRINI si è fatta avanti la Grecia, la più direttamente penalizzata dalla presenza turca in Libia insieme all’Italia, offrendo non solo la nave ammiraglia, ma anche la disponibilità dei propri porti per lo sbarco di migranti eventualmente soccorsi in mare; aspetto quest’ultimo politicamente e operativamente rilevante, vista la sensibilità della questione per i paesi europei, Italia in testa.

La Grecia, nemica storica della Turchia, teme verosimilmente che un comandante di altra Nazione potrebbe essere meno determinato in un eventuale confronto con il gruppo navale turco che da alcuni mesi pattuglia le acque libiche a protezione degli accessi marittimi e della costa della Tripolitania.

Qualora la Grecia non ottenesse il comando potrebbe ritirare l’offerta dei propri porti, senza i quali IRINI sarebbe difficile da gestire, imponendo la dislocazione del gruppo navale EU molto lontano da Tripoli, sostanzialmente in acque prospicienti la Cirenaica per evitare le rotte dei migranti diretti verso Lampedusa. Anche ammesso di limitare lo spazio di manovra EU ai settori orientali, accettando una minor efficacia d’interdizione al traffico di armi verso la Tripolitania, non si potrebbe comunque escludere di essere chiamati a soccorrere imbarcazioni di immigrati in emergenza. In questo caso si ripresenterebbe il problema di dove sbarcare le persone soccorse in mare. È chiaro quindi che la disponibilità greca ad aprire i propri porti e con essa la richiesta di comando in mare da parte della Grecia meriterebbe la massima attenzione. Peraltro, anche ammesso che l’Italia ottenga di mantenere il comando in mare, non è detto che sia conveniente/sostenibile politicamente per il Governo Italiano.

Il fatto è che, per i motivi sopracitati, il blocco navale contro l’importazione illegale di armi in Libia sarebbe nei fatti essenzialmente in chiave anti-turca e a scapito della capacità di resistenza del Governo di Accordo Nazionale sostenuto dall’ONU e almeno formalmente dall’Italia. Qualora avessimo ottenuto il comando in mare, se non tenessimo testa al Gruppo Navale Turco in caso di confronto/scontro, potremmo essere accusati di passività o di connivenza da parte della Grecia e da parte della Francia.

In caso contrario dovremmo essere preparati a gestire l’uso della forza contro i turchi che hanno dimostrato di non avere particolari freni inibitori in tal senso. Saremmo fra l’incudine e il martello, alla guida di una missione che nasce debole sotto il profilo politico prima ancora che militare.

Da questo punto di vista i Greci potrebbero essere meglio attrezzati politicamente a gestire in tempo reale la minaccia turca, visto che lo fanno quotidianamente nell’Egeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

In ogni caso e da qualunque angolo si osservi la nuova missione europea, le premesse, i vincoli operativi e il ridotto numero di mezzi sono la fotografia delle divisioni fra le politiche estere e più in generale degli interessi conflittuali degli Stati Europei. IRINI potrebbe essere così l’ennesima occasione persa per la credibilità dell’Europa come attore rilevante sullo scacchiere internazionale.

Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri / Twitter / EUNAVFOR MED