Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola... bandiera bianca

(di Giuseppe De Giorgi)
26/05/20

La situazione nel Mediterraneo continua a farsi sempre più complessa e i recenti sviluppi circa il conflitto in Libia hanno avuto, colpevolmente, una scarsa risonanza in Italia (ma anche in Europa) dove l’attenzione mediatica e politica sembra ruotare esclusivamente intorno all’emergenza coronavirus; come se non ci fosse un domani.

È ormai dal 25 marzo scorso che il governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj con l’inizio dell’Operazione Tempesta ha ripreso l’iniziativa nella guerra contro Ḥaftar a partire da una controffensiva pianificata e messa in campo sotto la guida turca. Ankara, infatti, guida l’esercito del Governo di Accordo Nazionale (GNA), integrando i suoi ranghi con milizie di mercenari siriani comandate da ufficiali turchi.

L’ex mare nostrum ribolle e si dimostra, ancora una volta, linea di frattura fra l’Europa Marittima, il Medio Oriente e l’Africa sub Sahariana e al tempo stesso zona di "compressione" fra Potenze vecchie e nuove che si contendono lo spazio di potere lasciato libero dagli Americani in ritirata.

Il Mediterraneo torna protagonista nel "grande gioco" internazionale e in questo Mare si gioca una buona parte della sicurezza e prosperità futura dell’Italia in un mondo destinato a essere sempre più fluido e instabile. Gli unici a non capirlo sembrano essere proprio gli italiani. A forza di tentennare e di pendolare da un campo all’altro, abbiamo aperto la Libia alla Turchia, balzando goffamente sul carro, peraltro già affollato, di Haftar quando sembrava il vincitore in pectore, con il risultato di essere accusati di abbandonare l’alleato Al Serraji nel momento del bisogno, venendo meno agli impegni presi e senza peraltro ottenere nulla in cambio dal generale ribelle della Cirenaica. Di fatto non tocchiamo più palla.

Per contro, la Turchia ha mostrato di avere le idee molto chiare. Ha fatto seguire alle parole i fatti, inviando forze di terra a difesa di Tripoli, utilizzando sapientemente la sua Marina anche in chiave di scudo antiaereo contro i droni degli emiratini e gli aerei a disposizione di Haftar. Ma prima di impegnarsi nella difesa di Tripoli e nel successivo contrattacco, Erdogan ha preteso e ottenuto accordi vantaggiosissimi sulla spartizione delle risorse marine libiche. A scapito soprattutto dell’Italia e della Grecia. Ma è in particolare l’Italia, percepita come il ventre molle dell’Europa, a essere nel mirino della Turchia.

In Libia, così come in Somalia, la Turchia si è inserita scalzando l’influenza storica italiana nelle sue ex-colonie. Lo ha fatto grazie a un mix di "soft power", costruendo grandi opere pubbliche e di "hard power", fornendo assistenza militare. Per essere più efficace, la Turchia si muove tramite accordi bilaterali, in modo da non diluire il ritorno politico del suo impegno nell’ambito di coalizioni internazionali, in cui finirebbe per recitare la parte del comprimario al seguito di una grande potenza.

Di recente, alcuni dei Paesi potenzialmente danneggiati dall’espansionismo turco hanno battuto un colpo.

L’11 Maggio 2020 i ministri degli Esteri di Egitto, Cipro, Grecia, Francia e Emirati Arabi Uniti hanno espresso "la loro più profonda preoccupazione per l’intensificazione della tendenza espansionistica e per le continue azioni provocatorie nel Mediterraneo orientale da parte della Turchia". I ministri firmatari "denunciano le attività illegali turche in corso nella zona economica esclusiva cipriota e nelle sue acque territoriali, in quanto rappresentano una chiara violazione del diritto internazionale, come indicato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. È il sesto tentativo da parte della Turchia in meno di un anno di condurre illegalmente operazioni di perforazione nelle zone marittime di Cipro". […] Esortano "la Turchia a rispettare pienamente la sovranità e i diritti sovrani di tutti gli Stati nelle loro zone marittime nel Mediterraneo orientale" e ribadiscono "che il memorandum d’intesa sulla delimitazione delle aree giurisdizionali marittime nel Mediterraneo e il memorandum d’intesa sulla sicurezza e la cooperazione militare, firmati nel novembre 2019 tra la Turchia e Fayez El Sarraj, sono rispettivamente in violazione del diritto internazionale […]. I ministri si rammaricano "profondamente per l’escalation delle ostilità in Libia" e ricordano "l’impegno ad astenersi da qualsiasi intervento militare straniero in Libia, come concordato nelle conclusioni della conferenza di Berlino". A tale proposito, i ministri condannano "fermamente l’interferenza militare della Turchia in Libia e hanno esortato la Turchia a rispettare pienamente l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite e a fermare l’afflusso di combattenti stranieri dalla Siria alla Libia. Questi sviluppi costituiscono una minaccia per la stabilità dei vicini della Libia in Africa e in Europa".

Ho citato ampiamente parti di questa lunga nota (testo riportato da Ansa Med), perché dalle parole concordi dei ministri degli Esteri di ben 5 Paesi interessati nella zona del Mediterraneo si evince con ancora maggiore chiarezza da un lato come la Turchia, allo stato attuale, la stia facendo da padrona: sia con il pesante intervento militare in Libia, nel quale è possibile rintracciare una conferma del cosiddetto "neo-ottomanesimo" di Erdogan, sia con il programma di trivellazioni nel Mediterraneo e dall’altro come sia ancora flebile la risposta europea, dalla quale manca comunque la voce italiana. Nonostante sia stata proprio l’Italia, il 10 febbraio 2018, la prima e per ora unica Nazione Europea, a essere stata umiliata subendo senza reagire (a differenza della Grecia) la prepotenza di Erdogan, quando le navi della sua Marina bloccarono illegittimamente, in acque internazionali, la piattaforma petrolifera Saipem 12000 (foto), sotto contratto dell’Eni, impedendole di raggiungere i giacimenti ottenuti in concessione nel Mediterraneo Orientale1.

Ecco quindi che si torna sul punto espresso in apertura: l’unico attore che tace e sembra costantemente distratto e in altre faccende indaffarato è proprio il nostro Paese. Come se la questione del nuovo equilibrio che va prendendo forma in Mediterraneo non ci riguardasse, rassegnati a rimanere subalterni e ancillari a qualunque Potenza, grande o piccola, pur di non affrontare le responsabilità connesse con lo status di Nazione indipendente e libera.

Ribelliamoci alla rassegnazione e al torpore. Torniamo a essere protagonisti. Magari ricominciando dal Soft Power, valorizzando l’esperienza maturata nella guerra al Covid-19 e alle conoscenze acquisite dalla Sanità italiana, per dare una mano ai Paesi amici in difficoltà e che sono ancora nella fase crescente della malattia. Non solo faremmo del bene, ma rilanceremo la percezione dell’Italia in molte aree del mondo dove la nostra immagine è oggi appannata. Torniamo in Libia con medici e infermieri qualificati tramite la Cooperazione della Farnesina. Contribuiamo a ricostruire le infrastrutture vitali, ospedali, scuole, strade. Costruiamo centrali per dare la corrente elettrica e acquedotti. Potenziamo con accordi bilaterali la nostra collaborazione militare con i Paesi strategici per la nostra sicurezza.

Certo in Libia si combatte, è pericoloso, ma lo erano e lo sono anche l’Afghanistan (foto), l’Iraq; pur non essendovi guerre di diretto interesse nazionale, non abbiamo esitato a inviare i nostri militari che si sono peraltro distinti per coraggio per disciplina e capacità professionali. Del resto, abbiamo avuto per decine di anni ospedali e scuole realizzate e gestite con finanziamenti e da personale italiano in Africa, in Asia, in zone di guerra pericolose tanto quanto se non più della Libia di oggi. È tempo di riprendere missioni di presenza e diplomazia navale della nostra Marina, come quella denominata Sistema Paese in Movimento2, intorno all’Africa e in Golfo persico nel 2013/204.

La sicurezza e la stabilizzazione della Libia è un nostro interesse strategico assai più dell’Afghanistan o dell’Iraq. Torniamo in partita!

Purtroppo, l’assenza di dibattito politico sui temi della politica estera e quindi dell’interesse nazionale è del resto indicativa dell’inclinazione di una parte importante della classe politica nazionale, troppo assorbita dalla spartizione e gestione quotidiana del potere, per occuparsi del destino della Nazione, della sua sicurezza e della prosperità del suo Popolo negli anni a venire.

Niente di nuovo purtroppo: oltre 4 secoli fa, mentre le corone di Francia e di Spagna si fronteggiavano per la supremazia in Europa e nel nuovo mondo, i prìncipi e i duchi italiani, la classe politica del tempo, si mettevano a disposizione dell'una o dell'altra potenza pur di preservare il potere della loro casata. Allora fu coniato il proverbio "o Franza o Spagna, purché se magna" attribuito a Guicciardini nel 1526.

Sarebbe davvero triste se questo motto dovesse tornare attuale.

Peccato perché l’Italia merita di più, soprattutto per le qualità degli italiani che certamente non sono secondi a nessuno.

1 L’Eni è stata presente a Cipro dal 2013 e detiene interessi in sei licenze situate nell’acque economiche esclusive della repubblica (nei Blocchi 2, 3, 6, 8, 9 e 11), cinque in qualità di operatore. Nel 2018 il gruppo aveva annunciato di aver effettuato una scoperta di gas nel Blocco 6, nell’offshore di Cipro, attraverso il pozzo Calypso 1. Si trattava - è stato spiegato - di una promettente scoperta di gas che confermava l’estensione del tema di ricerca di Zohr nelle acque economiche esclusive di Cipro”.

2 Il 30 Gruppo Navale costituito dalla Portaerei Cavour, la Rifornitrice di Squadra Etna, la nuova Fregata Bergamini ed il Pattugliatore Borsini, salpò dal porto di Civitavecchia il 13 novembre 2013, alla volta del Canale di Suez, sulla rotta della Campagna Navale “Il Sistema Paese in Movimento” che, dopo l’attraversamento delle acque del Golfo Arabico e dell’Oceano Indiano, si é completato con il periplo dell’Africa. La missione del Gruppo Navale è terminata il 9 aprile, dopo 149 giorni e dopo oltre 18000 miglia nautiche, pari a circa 36.000 chilometri, e dopo aver visitato 20 nazioni ed effettuato 21 soste in porto.

Foto: web / Türk Silahlı Kuvvetleri / John A. Konrad V / ISAF