Difendersi dall’illusione

(di Paolo Palumbo)
21/11/18

In questi ultimi mesi la parola “terrorismo” appare sempre meno nei titoli dei giornali, se non per qualche arresto operato dalle nostre Forze dell’Ordine a carico dei soliti sospetti jihadisti della “porta accanto”. Una trascuratezza che non fa bene a noi, ma che agevola l’operato delle organizzazioni le quali, non trovandosi sotto i riflettori, possono agire più serenamente preparando i colpi futuri.

Sebbene i terroristi siano passati ad occupare le seconde file dello spettacolo, la prima fila resta sempre occupata dal mantra salviniano della legittima difesa e della sicurezza dei cittadini. Si tratta di una preoccupazione legittima e giusta per chi ricopre l’incarico di ministro dell’Interno, anche se su certe cose abbiamo già precedentemente menzionato le nostre incertezze. Quello che però ha destato la nostra attenzione è come diversi comuni italiani si siano attrezzati autonomamente per organizzare corsi gratuiti di autodifesa per istruire i cittadini a difendersi da eventuali aggressioni. Effettivamente più che gli islamisti o i mafiosi, quello che preoccupa di più è la microcriminalità che dilaga nelle nostre città la quale propone scenari consueti di violenza domestica, tentativi di furto davanti il portone di casa, scippi, stupri e aggressioni per futili motivi. L’iniziativa presentata dalle diverse amministrazioni locali è dunque molto positiva, sebbene il mondo di chi si occupa di questi corsi è irto di pericoli, parimenti a quelli che un malcapitato possa incontrare sulla sua strada.

Arti e non arti marziali: istruzioni per l’uso

Nel vasto panorama della difesa personale, il krav maga è sicuramente la disciplina più praticata da chi vuole imparare a difendersi da solo. Il krav maga – o combattimento ravvicinato – non è un’arte marziale in senso tradizionale, come può essere il karate o lo judo; si tratta, infatti, di un insieme di tecniche molto efficaci elaborate dagli israeliani negli anni Cinquanta nella persona di Imi Lichtenfeld, ufficiale delle IDF. Questo coacervo di mosse poggia le sue fondamenta su diverse arti marziali più nobili, tuttavia il metodo di insegnamento è rivolto a velocizzarne l’apprendimento così da renderle operative nel più breve tempo possibile. Ovviamente gli istruttori che insegnano nelle varie palestre italiane offrono una versione edulcorata del krav maga militare praticato nelle scuole delle IDF e per fortuna sono pochi quelli imprudenti che ne spiegano la vera letalità.

Dal punto di vista pratico l’arte israeliana elabora un percorso formativo in cui gli allievi sperimentano varie situazioni di pericolo o minaccia (ad esempio prese al collo o alle spalle) così da fornire una risposta veloce che distragga l’aggressore nella prosecuzione dei suoi intenti. Tanto allenamento e ripetizione ossessiva di queste norme dovrebbe – teoricamente – dotare l’allievo di una sorta di automatismo che lo porti ad eseguirle anche in caso di tensione fisica; ciò nondimeno, i trainer più onesti e preparati avvisano sin dall’inizio che la realtà sia difforme dalla palestra.

Un atto di violenza, subito in modo repentino, provoca un fattore stress davanti al quale prevedere una reazione logica e ordinata diventa molto difficile, a meno che uno non sia un militare addestrato. Alla base di un buon insegnamento, dunque, c’è l’onestà e la franchezza di chi istruisce il quale deve subito mettere in chiaro agli astanti che non li trasformerà in macchine da guerra, bensì li educherà semplicemente a limitare i danni fisici (per quelli morali, ahimè, non ci sono rimedi istintivi). Scene da film, con il bravo Jason Statham che abbatte un gruppo di malintenzionati a mani nude, restano una finzione hollywoodiana, poiché il combattimento per strada è tutt’altra cosa.

Al centro di tutto questo interesse ci sono le fantomatiche “tecniche di disarmo” che piacciono tanto agli appassionati di film d’azione, vengono usate spesso per incantare il pubblico, ma che nella realtà risultano un teatrino inutile e pericoloso. Se scorriamo i video su YouTube osserviamo con stupore come queste tecniche siano effettivamente propagandate con disinvoltura e fungano da specchietto per le allodole per attirare incauti allievi. Sedicenti istruttori che tolgono dalle mani di presunti violenti coltelli, pistole e mazze con una semplicità imbarazzante hanno, nella pratica, lo stesso valore del set in cui opera il già ricordato Statham. In palestra sembra tutto molto facile: se si sbaglia ci si da una pacca sulla spalla e magari si sorride pure, ma se per strada vieni avvicinato da un uomo armato di coltello o pistola, il consiglio migliore che ti possano dare è assecondare le sue richieste e portare a casa la pelle. Attenzione, proteggere la propria vita non corrisponde a immolarsi per sperimentare se quanto imparato in palestra sia davvero utile!

Nelle scuole di krav maga più serie, tutto questo viene spiegato sin dalle prime lezioni, insieme ad un’informativa legale su quali siano le prescrizioni sulla legittima difesa. Secondariamente, un ambiente sano nel quale svolgere questa disciplina, dovrebbe essere purgato da pseudo militari o militarismo, ma soprattutto da ridicole consuetudini che normalmente regolano la vita tra i veri soldati. La serietà di certe scuole e dei loro insegnanti è poi comprovata dal fatto che alcune (poche direi) forniscono un know-how rilevante ad enti come la Polizia Municipale, Forze dell’Ordine e in rari casi anche l’Esercito.

Dalle mani nude si passa poi all’impiego di uno strumento di cui oggi si sente molto parlare, lo spray urticante. Senza scendere nei particolari circa la sua efficacia, si sappia che esistono diversi corsi dedicati ad un corretto impiego di questo piccolo strumento scaccia balordi. Formazione che coinvolge anzitutto donne, ritenute i soggetti più deboli e idonei a portare nella borsetta l’essenza al peperoncino. Sebbene la preparazione sia diversa, valgono le stesse regole del krav maga ovvero non esiste nessuna garanzia sulla reale efficacia di quanto appreso: ogni situazione è, infatti, diversa e la reazione imprevedibile.

L’iniziativa dei comuni

In questi giorni il quotidiano ligure “Il Secolo XIX” ha reso pubblica la notizia che il comune di Genova inaugurerà una serie di corsi di autodifesa rivolti particolarmente alle donne. L’iniziativa, voluta fortemente da una consigliera comunale leghista e dall’assessore Stefano Garassino, prende le mosse da un’analoga sperimentazione avviata con successo nel comune di Milano, ma non solo. Dai comuni più importanti, fino a quelli più piccoli, le iniziative in questo senso si sono moltiplicate a vista d’occhio: certamente un ottimo affare per le palestre e un ottimo ritorno d’immagine per gli enti organizzatori. Quelli che pensano male ci sono sempre, vale a dire il solito argomento circa la delega inopportuna che lo Stato – o le amministrazioni locali – fa in materia di sicurezza. Direi che in questo caso non si possa parlare di rinuncia o debolezza da parte delle istituzioni, piuttosto di un’occasione offerta a chi, nella completa illusione che possa funzionare, si iscrive a questi brevi percorsi.

Autodifesa, arti marziali, impiego delle armi non sono un argomento che si possa risolvere nel giro di due o tre serate, poiché una loro errata e superficiale interpretazione può causare serio pericolo a chi ne fa uso. Bene inteso, le iniziative di questo genere sono lodevoli, purché siano presentate in modo coerente alla realtà. Assistere ad una dimostrazione o frequentare un breve corso di qualche serata, non prepara ad affrontare un aggressione, tuttavia prendere coscienza sul fatto che esista un pericolo è già un discreto passo avanti.

È la stessa cosa che vale per il terrorismo, la consapevolezza che questo esista e che possa colpirci in qualsiasi momento è di per se un’arma efficace per difenderci e proteggere la nostra volontà.

(foto: IDF)