Probabilmente molti di voi avranno sentito parlare almeno una volta nella vita del C.E.D. Ma di che cosa si tratta? A cosa serve? E soprattutto, quali sono i diritti dei soggetti interessati?
Procediamo con ordine ad esaminare ciascuno dei suddetti profili.
1) Cosa è il C.E.D. e a cosa serve. Fonti normative ed inquadramento giuridico
Il Centro Elaborazione Dati del Ministero dell’Interno, convenzionalmente indicato con l’acronimo “C.E.D.”, è stato istituito dall’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121 col compito di curare la raccolta delle informazioni e di gestire l’enorme banca dati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, contenente, tra l’altro, le segnalazioni di polizia, i provvedimenti amministrativi in materia di sostanze stupefacenti, i provvedimenti giudiziari penali.
In particolare, in base all’art. 6, lett. a), del suddetto testo normativo, il C.E.D. contiene “i dati che devono essere forniti anche dalle forze di polizia in materia di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità e loro diramazione agli organi operativi delle suddette forze di polizia”. L’art. 7, comma 1, della medesima legge n. 121/1981 precisa che i suddetti dati trattati “devono riferirsi a notizie risultanti da documenti che comunque siano conservati dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici, o risultanti da sentenze o provvedimenti dell’autorità giudiziaria o da atti concernenti l’istruzione penale acquisibili ai sensi dell’articolo 165-ter del codice di procedura penale o da indagini di polizia”.
Ciò posto, è chiaro allora che lo scopo del C.E.D. si risolve essenzialmente nel “trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali”, in modo conforme all’art. 1, comma 1, del d.lgs 18 maggio 2018, n. 51, di recepimento e attuazione della direttiva U.E. 2016/680.
In altri termini, il Ministero dell’Interno, tramite il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, utilizza il C.E.D. come strumento fondamentale per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché di prevenzione e repressione della criminalità.
2) Quali sono i diritti dei cittadini interessati dal trattamento dei dati raccolti nel C.E.D.
I diritti dei cittadini interessati dal trattamento dei dati raccolti nel C.E.D. sono essenzialmente due:
a) il diritto di accedere ai suddetti dati, vale a dire di prendere contezza delle informazioni raccolte a proprio carico dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza;
b) il diritto di domandare la rettifica o la cancellazione dei dati, qualora ne ricorrano i presupposti di legge.
A mente del terzo comma dell’art. 10 della legge n. 121/1981, infatti, “La persona alla quale si riferiscono i dati può chiedere all'ufficio di cui alla lettera c) del primo comma dell'articolo 5 la conferma dell'esistenza di dati personali che lo riguardano, la loro comunicazione in forma intellegibile e, se i dati risultano trattati in violazione di vigenti disposizioni di legge o di regolamento, la loro cancellazione o trasformazione in forma anonima”.
Esaminiamo partitamente i due predetti diritti.
a) Quanto anzitutto al diritto di accesso, ciascun soggetto che si ritiene in ipotesi interessato dal trattamento dei dati da parte del Dipartimento di Pubblica Sicurezza può inviare una richiesta per conoscere se e quali dati che lo riguardino siano contenuti nella banca dati Interforze.
Come è ovvio, i dati personali presenti nel C.E.D. possono essere comunicati alle sole persone cui si riferiscono o a chi da queste sia stato appositamente a ciò delegato in forza di un atto scritto.
In concreto, sarà sufficiente inviare al C.E.D. – preferibilmente via pec – una richiesta, utilizzando i moduli messi a disposizione dall’Amministrazione (mod. A/1 e A/2), o anche in carta libera, per ottenere, entro 30 giorni, una risposta in cui si risulteranno indicate le informazioni e i dati relativi al soggetto istante, che siano custoditi e gestiti dal Ministero dell’Interno.
Il comma quarto del succitato art. 10 puntualizza che al richiedente non verranno comunicati quei dati che potrebbero “pregiudicare operazioni a tutela dell’ordine e sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità”. Della mancata comunicazione viene informato il Garante per la protezione dei dati personali.
b) Con riguardo poi al diritto di rettifica e di cancellazione dei dati (nonché di loro trasformazione in forma anonima), si rimarca che:
– in conformità al comma terzo dell’art. 10, la relativa richiesta può essere valutata solo se i dati risultino trattati in violazione delle vigenti disposizioni di legge o di regolamento;
– un elemento di grande complicazione è dato dal fatto che l’art. 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, precedentemente al reg. U.E. 2016/679, disponeva che le modalità di attuazione dei principi del codice per la protezione dei dati personali trattati per finalità di polizia avrebbero dovuto essere disciplinati con apposito regolamento. A seguito dell’abrogazione del citato art. 57 in ragione dell’art. 49, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, di adeguamento del nostro ordinamento al predetto reg. U.E. 2016/679, i tempi di conservazione dei dati nel C.E.D. interforze si dispone dovranno essere stabiliti da un nuovo regolamento, che tuttavia ad oggi non risulta essere stato ancora emanato;
– in caso di diniego a fronte dell’istanza di rettifica, cancellazione o anonimizzazione dei dati, l’interessato può rivolgersi al Tribunale territorialmente competente (segnatamente, il Tribunale di Roma, quale Foro del luogo ove insiste il soggetto titolare del trattamento, il Ministero dell’Interno, per il tramite del Dipartimento per la Pubblica Sicurezza), che, compiuti i dovuti accertamenti, potrà disporre nel senso richiesto (cfr. il quinto comma del più volte citato art. 10);
– peraltro, l’interessato potrà rivolgersi pure al Garante per la protezione dei dati personali, mediante apposito reclamo.
Conclusioni
Il C.E.D. è uno strumento estremamente delicato e che impone la ricerca di un delicato equilibrio tra le ineludibili esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di prevenzione dei reati, da una parte, e di tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti, dall’altro.
Sarà bene dunque che gli interessati siano consapevoli dei diritti che sono loro assicurati dalle norme vigenti e che si determinino ad esercitarli nella maniera più corretta, così da cautelarsi da un esercizio se del caso incongruo dei propri dati rilevanti, cooperando con il Ministero dell’Interno, nel proprio stesso interesse, per garantire un utilizzo trasparente e rispettoso delle informazioni di polizia (anche penalmente) rilevanti.
In questo contesto, le incertezze tuttora persistenti in ragione della mancata emanazione del succitato regolamento attuativo rischiano di tratteggiare un quadro dai contorni non definiti e “a geometria variabile”, pericolosamente lasciato al mero arbitrio del singolo funzionario destinato a rispondere alla specifica richiesta inoltrata. Da che discende l’ovvio corollario della recrudescenza e comunque dell’aumento del contenzioso in materia.
L’auspicio, dunque, è quello di un pronto intervento delle istituzioni, che in ogni caso non potrà sopperire a quelle lacune informative sull’istituto in parola, che questo scritto, per la sua sinteticità, ha potuto soltanto segnalare all’attenzione dei lettori.