Con riguardo alla Polizia di Stato, la disciplina del passaggio ad altri ruoli della stessa amministrazione di P.S. o ad altra Amministrazione dello Stato del personale divenuto per causa sopravvenuta permanentemente non idoneo al servizio presenta non pochi profili di sicura complessità, che meritano senz’altro un approfondimento.
Procediamo allora con ordine alla loro analisi.
Il regime giuridico applicabile: il D.P.R. n. 339/1982
Il quadro normativo di riferimento in materia è costituito dal D.P.R. 24 aprile 1982, n. 339, che detta appunto disposizioni in tema di “Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia, ad altri ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato”.
Limitando lo sguardo al solo personale giudicato “assolutamente non idoneo per motivi di salute”, di cui all’art. 1, il predetto decreto dispone la necessità che l’interessato presenti la relativa istanza entro trenta giorni dalla notifica del giudizio di inidoneità reso da parte delle commissioni mediche di cui agli art. 165 e ss. del D.P.R. n. 1092/1973.
Ai sensi dell’art. 4, comma 2, le stesse commissioni devono “fornire indicazioni sull'ulteriore utilizzazione del personale, tenendo conto dell'infermità accertata”. Da ciò si evince in tutta evidenza la centralità del ruolo degli organi in questione, che, tramite il loro giudizio, possono restringere e delimitare l’ambito dell’ulteriore eventuale assegnazione dell’interessato, ad esempio escludendo la possibilità di una sua futura destinazione ad altri ruoli all’interno della stessa amministrazione di P.S. (sul punto si veda in particolare l’art. 7) e consentendone il reimpiego esclusivamente preso altra amministrazione dello Stato.
Il trasferimento ad altri ruoli della Polizia di Stato è disposto con decreto del Ministro dell’Interno (art. 5), mentre il trasferimento ad altre amministrazioni è stabilito con decreto del ministro interessato, di concerto col ministro dell’Interno (art. 8).
La domanda di passaggio ai ruoli civili può ben essere rigettata. In questo caso, tuttavia, il provvedimento di diniego – da emettersi con decreto del ministro dell’Interno in caso di trasferimento ad altri ruoli della Polizia di Stato o con decreto del ministro interessato, in caso di trasferimento ad altre amministrazioni (art. 12) – dovrà essere adeguatamente motivato. Ai sensi dell’art. 9, in tal caso l’interessato è dispensato dal servizio ai sensi degli articoli 129 e 130 del testo unico approvato con decreto del presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. In base all’art. 10, quanto all’inquadramento e al trattamento economico, il personale trasferito è inquadrato in soprannumero, riassorbibile con la cessazione dal servizio per qualsiasi causa, del personale stesso nella qualifica corrispondente a quella rivestita al momento del trasferimento, conservando la anzianità nella qualifica ricoperta, l’anzianità complessivamente maturata e la posizione economica acquisita.
Il caso particolare della sopravvenuta inidoneità attitudinale
Ciò detto quanto al regime giuridico applicabile, un caso particolare si è delineato sul tema in oggetto con riguardo all’ipotesi della sopravvenuta inidoneità attitudinale del personale interessato. Si è posto in giurisprudenza, nello specifico, il quesito relativo a se la sopravvenuta inidoneità attitudinale fosse da equipararsi alla sopraggiunta inidoneità psico-fisica, con la conseguente applicabilità anche a tale ipotesi della disciplina sopra ricordata, di cui al D.P.R. 24 aprile 1982, n. 339, che si riferisce di per sé solo all’inidoneità psico-fisica.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è espressa in proposito in senso assolutamente negativo, escludendo la praticabilità una simile interpretazione analogica. Nella recentissima sentenza 29 marzo 2023, n. 12, il massimo Giudice amministrativo ha affermato infatti che “L’inidoneità attitudinale sopravvenuta non rientra nelle previsioni di cui all’art. 1 D.P.R. n. 339 del 1982 e di conseguenza non dà luogo al passaggio del dipendente della Forza di Polizia ad altrui ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, ma è causa di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 129 T.u. impiegati civili dello Stato”. E ha aggiunto che “è manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità di tale disciplina come pure di eventuale contrarietà al diritto euro-unitario”.
Tale presa di posizione del resto conferma l’orientamento maggioritario già invalso in seno alla giurisprudenza amministrativa e da ultimo, in precedenza in Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3622, per la quale il riferimento al concetto di “invalidità” […] richiama con tutta evidenza profili d’ordine fisico (o, al più, psico-fisico), ma non certo attitudinale: “invalido”, infatti, è concetto riferibile (e conseguente) al riscontro di una patologia che incide sulla capacità materiale di fare qualcosa, mentre l’attitudine attiene all’idoneità personale e soggettiva a svolgere bene, con profitto ed in sicurezza una certa attività o funzione, a prescindere dalla sussistenza di profili patologici (v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 18 gennaio 2021, n. 519; Cons. Stato, Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2401).
Gli uni e gli altri profili – dell’inidoneità psico-fisica, da una parte, e di quella attitudinale, dall’altra – devono ritenersi nettamente distinti, così come le conseguenze che gli stessi comportano sul piano giuridico.
Conclusioni
Tanto considerato, non può che concludersi con la constatazione del fatto che la materia della disciplina giuridica del passaggio ai ruoli civili del personale appartenente alla Polizia di Stato risulta estremamente complessa e delicata.
Per tutte le suddette ragioni, è evidente che l’interessato farà bene ad affidarsi alla consulenza di un esperto (medico legale, avvocato) e quanto meno a mantenere un costante confronto con la linea gerarchica di riferimento e con gli uffici preposti.
Foto: Polizia di Stato