Nel 1987, dopo il primo anno di Scuola di Guerra (si chiamava così quando le parole avevano ancora un senso e non ci imbarazzava quello che siamo) venni impiegato allo Stato Maggiore dell’Esercito, in Sala Operativa. Niente di confrontabile con le Sale Operative di oggi, beninteso, dotate di sistemi di Comando e Controllo modernissimi che consentono di avere in tempo reale immagini satellitari e situazioni chiare su qualsiasi contingente nazionale nel mondo. A quei tempi, invece, c’erano solo telefoni, la posta pneumatica, un apparato di videoconferenza punto a punto che quando si accendeva a tradimento creava il panico perché collegava solo col capo di SME, nonchè una specie di fax tipo “Flintstone” (i cavernicoli di “Wilma, dammi la clava!” per intenderci). Niente di avveniristico anche per quei lontani tempi, quindi, ma da quella stanza vennero dirette operazioni “interforze” come quelle in Libano, in Nord Irak, in Bosnia e in Somalia, con Marina e Aeronautica destinate ad assicurare i trasporti; per non parlare delle operazioni di soccorso alla popolazione, dal Friuli, all’Irpinia, all’alluvione di Firenze, quando la Protezione Civile doveva ancora venire a lezione da noi per imparare ad esistere. Tempi andati!
Comunque sia, il giovane capitano che ero, reduce dal durissimo corso di Stato Maggiore a Civitavecchia dopo anni di vita da cinghiale al “Col Moschin”, venne messo a trattare i “concorsi militari” in un tavolino dal quale partivano appunti a raffica ogni qual volta una Amministrazione chiedeva un elicottero che trasportasse una Croce metallica sul monte di Gonnosfanadiga, una compagnia di soldati per circoscrivere un incendio boschivo nell’isola d’Elba, una cucina da campo per dar da mangiare a qualche centinaio di alluvionati o terremotati, una ruspa per ripristinare una strada interrotta da una frana. Niente di complicato, quindi, ma per partorire quegli appunti, superando i cazziatoni del capo sezione, le urla del capo ufficio e la meraviglia del capo reparto (i generali si meravigliavano anche allora!) sudavo sette camicie.
Gli appunti, per l’appunto! Croce e delizia degli ufficiali di Stato Maggiore, erano documenti finalizzati a sintetizzare per la catena di comando gli estremi di un problema, per consentire una decisione corretta e tempestiva. Quelli affidati alla mia cura erano semplici, scarni, non come quelli dell’addetto alla pianificazione operativa, ricchi di concetti dottrinali (come nella Chiesa di allora, esisteva ancora una Dottrina non ripudiata da applicare), richiami alle politiche Nato, speculazioni sui costi e sugli obblighi dell’Alleanza.
Per me, invece, poca roba; quanti uomini, quante macchine, dove, quando, a fare cosa!
Insomma, ancora non lo sapevo, ma alle mie scarse energie di ufficiale delle Forze Speciali prestato al lavoro d’ufficio era affidata una funzione che qualche decennio dopo sarebbe stata pomposamente definita “Dual Use”, in ossequio all’inglese, alla creativa fantasia di qualche addetto alla comunicazione e alla volontà di qualche ignaro politico di scoprire l’acqua calda.
A dire la verità, comunque, c’è una differenza notevole tra quello che mi veniva chiesto allora e quello che succede oggi: allora dovevo anche assicurare formalmente che ai nostri uomini non era richiesta nessuna attività di mera manovalanza o facchinaggio, nessun impiego in sostituzione di altre realtà ad esso destinate, nessun lavoro degradante.
Manovravamo un’umanità delicata e preziosa, infatti, rappresentata dai nostri giovani di leva, che “schiaffavamo dentro” senza troppe cerimonie se non si comportavano come dovevano - almeno nei paracadutisti usava ancora così - ma che non avremmo mai impiegato a Napoli per rimuovere i rifiuti durante l’operazione Strade Pulite nel 2008 (un nome da operatori ecologici per un’attività da spazzini), per stoccare decine di migliaia di ecoballe purulente in una nostra area addestrativa come Persano o per trasportare quella risorsa strategica ridicola rappresentata dai nuovi fantasmagorici banchi a rotelle per riaprire le scuole in tempi di coronavirus.
Per questo, le foto dei nostri “professionisti” militari che, correttamente dotati di mascherina chirurgica, scaricano da autocarri studiati, prodotti ed acquistati per altri compiti, banchi e sedie in formato mignon, sostituendosi ai bidelli (o “assistenti scolastici”, per chi preferisse), rappresentano un agghiacciante segno dei tempi che non può lasciare indifferenti.
Come non lascia indifferente la richiesta del sindaco di Reggio Calabria di impiegare l’Esercito per rimuovere i rifiuti cittadini. Non meraviglia, infatti, che il ministro Guerini desideri fornire una sponda in questo scorcio di campagna elettorale al proprio compagno di partito, ma non può non sorprendere per chi ha conosciuto un’altra Difesa la sua assicurazione che “non c’è nessun problema” in merito e che verrà usato il “dispositivo di Strade Sicure” (in quanto a nomi evocativi sarà necessario andare in prestito dai Vigili Urbani, prima o poi), mentre le Forze Armate si limiteranno a “mettere solo a disposizione le risorse”.
È agghiacciante, come dicevo, perché quelle “risorse” sono uomini selezionati e addestrati per altri compiti, dei quali si frustrano le aspettative, si umilia la professionalità e si ammorba l’amor proprio mentre, a poche bracciate dalle nostre coste, altri militari riempiono il vuoto da noi lasciato in Libia, paesi della nostra Alleanza minacciano di arrivare allo scontro armato per questioni territoriali e nostri pescherecci vengono sequestrati senza che si sappia fare altro che tirare la giacchetta a qualche amico degli amici per far rientrare la crisi.
A questi militari “professionisti”, impediti nel loro compito principale – l’addestramento – con quell’operazione di conforto psicologico all’opinione pubblica rappresentata appunto da Strade Sicure, vengono infatti imposti incarichi che un capitanino qualsiasi della Sala Operativa dello SME ai miei tempi avrebbe bocciato già al suo livello, con una semplice telefonata e senza scocciare la linea di comando.
Come siamo potuti cadere così in basso, quindi? Possibile che ai “professionisti” di oggi si diano compiti che ci si sarebbe vergognati di assegnare ai giovani di leva?
Possibile, possibile! Sarebbe facile ma insufficiente scaricare tutto sulle spalle del penultimo ministro della Difesa (Elisabetta Trenta, ndd) che del Dual Use si propose come autorevole madrina. Un Ministro ministra, imposto probabilmente per sancire ufficialmente con quello che è e non con quello che sa il passaggio delle Forze Armate dalla dimensione dell’esercizio della forza a quello della risposta alle emergenze, anzi alle esigenze, di qualunque tipo.
Insomma, meno spocchia, bando ai pennacchi e agli ottoni, un solo Grillo per la testa e via!, a lavorare per i veri bisogni della gente.
Ma la colpa è anche dei tanti addetti ai lavori che non avrebbero dovuto dimenticare e far dimenticare che le Forze Armate sono soprattutto uno strumento di politica estera. Infatti, a che ci può servire una politica estera vista l’arrendevolezza con la quale ci pieghiamo alle imposizioni dei prepotenti a partire dalle tante carolarakete che solcano ardimentosamente i flutti per imporci le loro civetterie, alla Libia che respinge al mittente i nostri militari inviati in suo aiuto perché privi di visto sul passaporto (v.articolo) o che ci sfratta dall’aeroporto di Misurata per fare spazio ad altri, alle navi turche che impediscono alle nostre di trivellare nel Mediterraneo? Cosa dovremmo farcene di Forze Armate se nessuno sente il dovere di difendere con esse il paese, nei suoi confini, nei suoi interessi, nella sua stessa dignità? Si rendano finalmente utili, insomma, e abbandonino il presidio della Fortezza Bastiani, come diceva un presidente del consiglio di una decina d’anni fa, a riprova che, quando si tratta di Difesa, le differenze tra schieramenti politici si ammorbidiscono e sfumano in una generale trascuratezza, per non dire di peggio.
Niente di strano, quindi, che si proceda alla “normalizzazione” delle Forze Armate, negandone la specificità e umiliandole con associazioni sindacali che ancor prima di esistere già si esercitano nell’esercizio spregiudicato del soffio sul fuoco dell’insubordinazione, ad opera di personaggi che con il mondo militare non hanno niente a che spartire.
Logicamente, anche se sfortunatamente per noi, però, il mondo continua a rotolare nella sua direzione di sempre, insensibile alle nostre ubbie e alle nostre fissazioni e ci darà prima o poi la sveglia, presentandoci il conto. Speriamo di trovarci ancora in grado, quando questo sarà, di pescare qualche spicciolo rimasto nel fondo delle nostre saccocce vuote, prima di ridurci a lavare i piatti.
Foto: autore / Esercito Italiano / ministero della difesa