Questo articolo vi farà rabbrividire: fermatevi qui se siete persone sensibili. Con esso abbiamo cercato, come molti, di rispondere alla domanda sul perché la maggior parte delle vittime di COVID-19 siano morte in Lombardia e come mai nel Mezzogiorno la pandemia abbia fatto danni molto, ma molto minori. La risposta, indiretta ma autorevolissima, ci arriva dall’estero, come vedremo tra poco, e suona più o meno così: la Lombardia ha più di un quarto delle centinaia di migliaia di disabili assistiti dal sistema sanitario1 e probabilmente ben oltre la metà dei morti da COVID-19 sono avvenuti fra di loro, in un modo che presto vi descriveremo. E che vi lascerà indignati.
Jérôme Salomon, direttore generale del servizio sanitario francese, nella nostra nazione sorella, la Francia appunto, è una celebrità, forse più dei vari Galli, Burioni, Borrelli e Capua da noi. È toccato a lui ammettere, dieci giorni fa, che Parigi teneva conto dei morti di COVID-19 avvenuti all’interno dei soli ospedali, mentre in realtà “i due principali luoghi di morte sono l'ospedale e l’ospizio". Per dissipare questa zona grigia, Salomon ha annunciato l'istituzione di un "monitoraggio quotidiano della mortalità nelle istituzioni per anziani”2. In pochi giorni le statistiche hanno registrato più di duemila morti in questi istituti, quasi un terzo dei morti in Francia. La cifra è in rapidissima crescita.
"Quasi mai - sottolinea Gaël Durel, presidente dell'Associazione nazionale dei medici coordinatori delle case di riposo - c'è posto in ospedale per chi avrebbe bisogno di un ricovero. Chiamiamo, ma sempre più spesso ci viene detto: non ci sono abbastanza letti, trovate un modo per tenerli voi"3.
Il fatto è che questa pandemia ha numeri spaventosi in fatto di ricoveri in terapia intensiva4 e comporta rischi per molti. Per altri, è una condanna a morte, perché se sei vecchio e non autosufficiente non sei certamente fra i candidati alla ventilazione assistita. Non importa se da giovane sei stato un imprenditore, un partigiano o un sindacalista, se hai famiglia o se sei solo al mondo: sei spacciato. Sì, perché è l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) a riportarci le cifre di un olocausto vero e proprio5: lo fa in un rapporto di questi giorni a cui né le quotidiane conferenze stampa delle istituzioni della Repubblica Italiana né i grandi esperti citati dai media hanno dato l’importanza che merita.
Partiamo dalle cifre: in Italia abbiamo 2.554 Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) pubbliche o private in convenzione. Che cosa sono le RSA? Prima di tutto non sono né ospedali né case di riposo: sono strutture di impronta sanitaria, che ospitano per un periodo variabile da poche settimane al tempo indeterminato persone non autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche di più specialisti e di una articolata assistenza sanitaria6,7. In Italia, ospitano qualcosa come 300.000 persone8, tutte affette da gravi disabilità Su 2.554 strutture, 1.634 sono state contattate dall’ISS (il 64%): di queste, solo 236 si sono degnate di rispondere (il 14% di quelle contattate, ma appena il 9% del totale). Il quadro che emerge fa rabbrividire, soprattutto se ci permettiamo, in modo non scientifico ma molto logico ed etico, di criticarne certe conclusioni, come vedremo presto. Il silenzio del 90,8% dei dirigenti di detti istituti meriterà la massima attenzione nel proseguo e alla fine della crisi da coronavirus.
Premetto che parliamo di ambienti in cui normalmente la mortalità è piuttosto alta, anche se non paragonabili a centri oncologici o dipartimenti di terapia intensiva: gli ospiti sono spesso ultraottantenni e con importanti disabilità, anche se non sempre con patologie il cui esito è fatale. Insomma, il nonno classe 1930 ricoverato a data di oggi con sintomi di demenza senile potrebbe vivere fino a cent’anni, perché non ha malattie che lo possano portare a morte rapida, a parte la vecchiaia stessa.
Ciò premesso, le cifre sono comunque impietose: sono morti fra il primo febbraio e il 31 marzo 2020 il 19,2% degli ospiti in Lombardia, il 10,2% nelle Marche e il 6,2% in Veneto. Nel resto del Paese i morti sono stati all’incirca il 4,5%. È interessante notare che in Lombardia, una regione che da sola ospita il 26,4% di tutte le RSA d’Italia (pur con meno del 17% degli abitanti), sono accaduti quasi due terzi di tutti i decessi censiti nelle RSA italiane più trasparenti (1.130 su 1.845) e che di questi solo 35 sono stati registrati come casi di COVID-19. Viceversa, a detta del rapporto dell’ISS, 528 sono state le morti registrate come dovute all’influenza stagionale.
Ci domandiamo: non sarà il caso di rivedere detta diagnosi?! Parliamo della morte di migliaia di persone: quindi, non si può rispondere in burocratese. Dato che sia i due ceppi influenzali sia il coronavirus non uccidono quasi mai direttamente ma attraverso le complicanze e considerando che queste sono molto simili, magari l’ISS farebbe bene ad approfondire questi casi, magari provvedendo anche a riesumare i corpi, nella speranza che non siano stati cremati tutti.
Ma quanti sono gli infetti e soprattutto i morti di COVID-19 fra gli anziani non autosufficienti in Italia? Le cifre dicono che il 50,2% dei morti positivi al coronavirus ha più di 80 anni9: quasi 8.000, fino al 5 aprile. Le cronache non lasciano adito a dubbi:
Nel Bergamasco 600 morti in RSA (Ansa)
Lodi, 52 gli anziani morti a Santa Chiara in marzo (Il Cittadino)
Ci fermiamo qui. Appare fin troppo evidente che - al di là delle centinaia di decessi comunicati tempestivamente da poche RSA lombarde all’ISS - siamo di fronte al più vasto massacro in Alta Italia - e non solo - dai tempi della Seconda guerra mondiale. I numeri, alla fine, forse descriveranno lo sterminio di un decimo dei pazienti.
Le cifre non raccontano di quanti ospiti diurni (cioè non residenti), parenti in visita, medici e paramedici, amministratori e addetti alle pulizie siano stati contagiati e siano morti. Le cronache riportano molte testimonianze che spesso sui giornali finiscono in sesta o settima pagina.
Giustamente, i disabili ospiti delle RSA sono stati interdetti dalle visite dei loro cari dal secondo weekend di marzo: qualora in una struttura si fosse manifestato un caso di positività al COVID-19, detta misura è diventata un vero e proprio cordone sanitario fra l’esterno e l’interno. In pratica, quando un ospite è risultato infetto, i parenti/visitatori sono stati a loro volta messi in quarantena.
L’alienazione di questi derelitti deve essere stata totale: “la strage degli anziani – secondo Agnese Pini de La Nazione – raggiunge il suo apice in quello scandalo sociale e sanitario che si sta consumando nelle RSA, nelle case di cura, nei centri riabilitativi per disabili o per anziani. Da Nord a Sud… quelle strutture che si trasformano giocoforza in carceri – i parenti che non possono entrare, i degenti che non possono uscire, la difficoltà di sapere, di raccontare, di curare – ...mentre gli stessi direttori delle residenze e il personale, vengono lasciati impotenti e soli”10.
Una testimonianza su tutte: “Pochi giorni prima del decesso (di mia madre), avvenuto in struttura il 25 marzo, mi hanno contattato per chiedermi se volevo ricoverarla, e in quel caso di metterlo per iscritto. Una scelta disumana, perché non riuscivo a capire cosa fosse veramente meglio fare, chi potesse assicurarle l’assistenza migliore. Una sofferenza indicibile”. Consiglio di leggere tutte le testimonianze sul caso di Mediglia, riportate in questo articolo. Maledetta burocrazia: chiede la forma scritta di una condanna a morte per mancata assunzione di responsabilità verso pazienti che non si sono ammalati andando a un concerto ma mentre erano ospiti presso le tue stesse strutture.
Quando, poi, l’anziano infetto è stato lasciato sulle spalle della famiglia, la situazione è diventata, se possibile, ancora peggiore. Una famiglia pratese ha testimoniato di recente11 come siano “stati lasciati soli” e di aver ottenuto solo “l'assistenza per le cure palliative ma solo l'ultima settimana” prima del decesso dell’anziana. Altro che macchine per la ventilazione e assistenza a casa: la famiglia ha dovuto far tutto “senza protezioni adeguate, solo uno spolverino addosso, guanti e mascherina”, vivendo allo stesso tempo da “reclusi in casa” che “è molto peggio del carcere perché almeno lì ti danno da mangiare”. La conclusione, disarmante, in un certo senso non si accanisce sulle istituzioni ma ne mostra la nuda realtà: “Credo che siano tutti in piena confusione. Non sanno più come muoversi". Per dirla con i sindaci locali, sono mancati “cura e supporto adeguati”12 per migliaia di pazienti.
E non pensate che le RSA siano solo posti per vecchi. Una testimonianza dal Piemonte fa venire i brividi: Daniele, 33 anni, ospite di una RSA, è autistico grave e dal 22 marzo ha il Coronavirus acclarato. Sua mamma Deborah non può andarlo a trovare, perché è in isolamento dopo essere entrata in contatto col figlio, positivo. Sentiamo la madre13, che potrebbe essere chiunque di noi: “Ormai da solo dal 7 marzo, Daniele ha iniziato ad avere la febbre alta che curano solo con antibiotici. Ho fatto telefonate e cercato chiunque… Il problema è che dal 22 marzo nessuno si è fatto sentire per un controllo, il tampone o la terapia (a Daniele)… Sono disperata”.
Nemmeno sono stati eseguiti tamponi su larga scala per circoscrivere il pericolo. Sì, ha ragione Jérôme Salomon (foto) quando afferma che “si muore negli ospedali e negli ospizi”. Purtroppo, in questi ultimi si muore senza la speranza di un trattamento più serio e non solo palliativo. Senza che si siano spostati gli anziani in strutture anche lontane, perché impiegare per loro la logistica delle Regioni e dello Stato non era un investimento sensato. Se guardate le statistiche della vicina Svizzera, il numero dei casi è proporzionalmente lo stesso della Lombardia, ma i risultati in termini di decessi sono inferiori di 100 volte: questo perché oltre a fare un numero enorme di tamponi si è impiegata tutta la forza pubblica (e privata) per spostare i malati con problemi respiratori e gli anziani in gravi condizioni dai cantoni dove il sistema era più sotto pressione (Ticino, Ginevra, Zurigo) agli altri e alla Germania. Da noi, abbiamo lasciato “passare la giornata”. Solo che morti non ce l’hanno fatta. Sarà stato il destino? O il nostro solito menefreghismo, stavolta con risultati da selezione eugenetica?
Dicevamo, all’inizio, del Mezzogiorno. Nel Sud questo genere di strutture, purtroppo o per sfortuna, sono molto più rare: i disabili e gli anziani non autosufficienti spesso restano nelle famiglie, per cui sono un onere importante ma al cui budget contribuiscono con la pensione. Ebbene, la mattanza è stata evitata proprio così: non concentrando i nonni e i più fragili in strutture prive di piani di sicurezza anti-epidemia, ma tenendoli fra le mura amiche.
Diciamolo: tolti i morti delle RSA (e in parte di case di riposo e centri di riabilitazione), i numeri italiani fanno molta, ma molta meno paura. E se fossero stati predisposti piani di sicurezza, forse il mondo oggi non sarebbe inorridito dagli effetti della pandemia in Italia (ma anche in Spagna e in Francia). Vuoi vedere che questo è il “segreto” di quei Paesi con molti contagi e proporzionalmente pochi decessi?
Suona tragicamente beffarda, anche se scientificamente inappuntabile e da seguire, la conclusione dell’ISS che consiglia di “adottare una speciale attenzione nella prevenzione e controllo”. Non è dato di sapere quante RSA avessero predisposto piani di gestione del rischio: dalla sintesi del rapporto, pare di capire non molte…
Il consiglio, pur serio, ricorda la storia della stalla che viene chiusa quando i buoi sono già scappati. Molte delle migliaia di casi critici sono altri anziani e disabili, che alla fine porteranno il contributo di questi poveri cristi alla guerra contro il COVID-19 nell’ordine delle decine di migliaia. Carne da cannone, avrebbero detto un tempo, in una guerra vera. Peccato che, se ormai irrimediabilmente disabili, questi anziani avevano “fatto l’Italia” fra il dopo guerra e gli anni della Milano da bere, quasi tutti gli uomini avevano servito nelle Forze armate, almeno durante il periodo di leva: non meritavano di morire così, magari portati dai camion delle stesse Forze armate nei crematori in fretta e furia e senza nemmeno la bandiera dell’Italia sul fianco del mezzo a rendere loro omaggio. L’Italia, questa volta, è stata davvero matrigna.
Lettori in divisa che avete partecipato a queste meste processioni verso i crematori, potete farci sapere se almeno le casse sono state coperte con i simboli dell’Italia? Se no, per favore, fatelo voi stessi.
1 Direttamente o in convenzione.
4 1.317 persone nella sola Lombardia, a far riferimento al 5 aprile.
Foto: Salvatore Cuda (immagine apertura), Dipartimento Protezione Civile, Twitter, Ministère des Solidarités et de la Santé, web