Della conferenza stampa tenuta dopo il consiglio dei ministri di ieri ci sono molti aspetti decisamente interessanti. Lo spettro dei temi è andato dalle massime riforme Costituzionali per finire agli scherzi telefonici (leggi “intrighi del Cremlino”).
Quello che tuttavia colpisce da parte dell’ultimo (o penultimo) primo ministro della seconda repubblica è l’utilizzo del termine “rivoluzione”. A questo si aggiunge che il prossimo a dare le dimissioni a Palazzo Chigi sarà il “consigliere per l’algebra”.
Ma andiamo con ordine.
Che la seconda repubblica sia ai suoi ultimi rantoli lo si deve al semplice fatto che la maggioranza assoluta degli elettori diserta oramai le urne.
Un Paese in cui è la maggioranza “relativa” – espressa da una minoranza votante – a governare, può esserci ancora democrazia? Formalmente sì. Concretamente no.
Esiste parallelamente un 30% – incazzato – della metà degli italiani che, negli ultimi lustri, è passato per tutto l’arco parlamentare; ha sperato in qualcosa evidentemente impossibile per il sistema politico/istituzionale attuale ed è oggi arrivato al capolinea.
Ricomincerà nuovamente il giro? Lo sperano i partiti, noi ne dubitiamo.
Nel momento in cui la soluzione alla precarietà dei governi, come annunciato, sarà far sì che un enorme premio di maggioranza vada alla coalizione vincitrice farà occupare un’ancor maggiore parte del Parlamento ad una minoranza eletta persino inferiore all’attuale.
Spieghiamoci meglio: quando un partito qualunque millanta un 30% di consenso, in un Paese in cui vota oramai circa il 40-45% degli aventi diritto, si deve dividere quel valore per 2,2 se non addirittura per 2,5. Ergo 13,6 o addirittura 12%!
E chi ha l’8% sulla carta? Il valore reale diventa 3,6 o addirittura 3,2%.
In un’assemblea di 100 cittadini, per quanto sarebbe tollerabile che siano meno di 20 a decidere?
“Chissenefrega!” Dirà qualcuno. “Meglio!” Dirà qualcun altro. “Se non si vota, non ci si può lamentare” Chioserà infine qualche saggio…
Tuttavia, in un momento di crisi profonda (economica, politica, sociale, militare,...), preludio a tutte le vere rivoluzioni che hanno caratterizzato la Storia, da quella inglese a qualla francese, da quella russa a quella americana, sentire tale termine in bocca al rappresentante del potere esecutivo fa comprendere che davvero siamo vicini ad un rinnovamento profondo.
Bene dunque che, con l’umiltà che caratterizza i nostri politici, si cerchi di porre rimedio all’irrimediabile. Una svolta da parte della maggioranza dei sudditi italiani potrebbe trasformarli da variopinto gregge belante in cittadini, perfino in una “nazione” (un giorno…).
Bene dunque che sia stato sdoganato un termine che, dal momento che fuoriesce dalla bocca del presidente del consiglio, non avrà da ora in poi più nulla di “sovversivo”.
Ultimo tra i Paesi sviluppati, potremmo dunque presto divenire realmente una Repubblica, perfino democratica. Per ora cominciamo dalle piccole cose: licenziamo il “consigliere per l’algebra”!
Nel suo discorso l’attuale primo ministro ha descritto gli ultimi 75 anni come cadenzati da ben 68 governi che si sono alternati in media ogni anno e mezzo.
Non volendo ricorrere all’intelligenza artificiale ho usato una calcolatrice e verificato persino alla vecchia maniera con foglio e matita: il risultato è 1,1 non 1,5...
Cari presidenti, l’instabilità è un problema ma non esiste per caso: in 162 anni di Storia in Italia si sono alternati 139 governi. La media non cambia (1,1). È sistema, non sfortuna.
La Rivoluzione, se non la fate voi ascoltando, la farà qualcun altro...
Foto: presidenza del consiglio dei ministri