I cittadini italiani finanziano ancor oggi – ignari – un'inutile missione “di pace” in un teatro “di guerra” che si traduce in 300 "scudi umani" esposti nell'enclave turcofila di Misurata.
Possibile?!!! Facciamo un passo indietro e analizziamo la “Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia” (MIASIT)...
Come riportato dal sito del ministero della Difesa (v.link):
La missione è intesa a fornire assistenza e supporto al Governo di Accordo nazionale libico ed è frutto della riconfigurazione, in un unico dispositivo, delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dall’Operazione Ippocrate e di alcuni compiti di supporto tecnico-manutentivo a favore della Guardia costiera libica rientranti nell’operazione Mare Sicuro.
Il contingente comprende: personale sanitario; unità per assistenza e supporto sanitario; unità con compiti di formazione, addestramento consulenza, assistenza, supporto e mentoring (compresi i Mobile Training Team); unità per il supporto logistico generale; unità per lavori infrastrutturali; unità di tecnici/specialisti, squadra rilevazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN), team per ricognizione e per comando e controllo; personale di collegamento presso dicasteri/stati maggiori libici; unità con compiti di force protection del personale nelle aree in cui esso opera.
Nell’ambito della nuova missione confluiscono: le attività di supporto sanitario e umanitario ricomprese nell’Operazione Ippocrate, di cui è stato disposto il termine, come missione autonoma, il 31 dicembre 2017; alcuni compiti previsti dalla missione in supporto alla Guardia costiera libica, tra i quali quelli di ripristino dei mezzi aerei e degli aeroporti libici, fino ad ora inseriti tra quelli svolti dal dispositivo aeronavale nazionale “Mare Sicuro”.
La MIASIT, pertanto, eccezion fatta per la parte relativa al supporto alla Guardia Costiera libica è una missione che ha e “vorrebbe” avere come scopo una forma di supporto sanitario al Governo di Accordo Nazionale, quello riconosciuto dall'ONU e dalla sedicente “Comunità internazionale”. In pratica è la prosecuzione dell'Operazione Ippocrate (foto, “schieramento di una struttura ospedaliera campale nell’area di Misurata a partire dal 2017”, v.link) e come riporta sempre il ministero della Difesa:
L’operazione, dal 1° gennaio 2018, è stata riconfigurata nell’ambito delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dalla “Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia”.
Il contributo nazionale fissato dalla Legge 225/2016, autorizzava per tutto l'anno 2017, un volume massimo di 300 militari e 103 mezzi terrestri.
L’operazione era così articolata: una componente sanitaria (ospedale da campo), una componente di comando/ controllo e funzionamento logistica ed una unità per la protezione di tutte le componenti della struttura ospedaliera.
Il personale, interforze, era costituito da assetti sanitari specializzati nel trattamento dei feriti di guerra, in particolare nella chirurgia d’urgenza, vascolare, maxillo facciale, ortopedica e neurochirurgia, oltre che dagli addetti in comunicazioni, comando e controllo, logistica e da quelli destinati alla protezione della forza. Il personale sanitario, le strutture e gli equipaggiamenti provenivano da enti e reparti dell’Esercito e Aeronautica tra cui il Policlinico del Celio, enti sanitari territoriali e dell’area operativa.
Un team medico militare italiano, inoltre, forniva coordinamento, consulenza e addestramento ai colleghi medici libici.
L’ospedale da campo, definito tecnicamente "ROLE 2", aveva capacità di 50 posti letto circa e reparti di pronto soccorso, terapia intensiva, radiologia, laboratorio di analisi ecc. Il tutto con relative equipe mediche specializzate.
Il dispositivo posto in atto aveva anche una capacità di trasporto medico di urgenza (Strategical Aeromedical Evacuation – STRATEVAC) dall’area di operazioni al territorio nazionale, con l'eventuale rischieramento sull’aeroporto di Misurata di un velivolo C-27J dell’Aeronautica Militare.
La realtà che NON si racconta?
I contribuenti italiani finanziano da anni un piccolo ospedale militare campale e sostengono una missione che si può considerare fallita da anni.
È un problema per il Governo? No di certo! Occhio che non vede, cuore che non duole...
Il supporto sanitario italiano in Libia
I medici militari impiegati oggi e da impiegare fino al 2022 nella MIASIT sono appena... 7!!!
Ogni due mesi si alternano team composti da ufficiali medici provenienti da tutti i reparti delle Forze Armate che fanno 1 settimana di amalgama presso la Scuola di Sanità (Caserma “Artale” di Roma Cecchignola) prima di partire per il Teatro Operativo.
Ricordate i compiti riportati dal sito della Difesa? Ebbene i team comprendono 1 chirurgo generale e 1 ortopedico, 1 anenstesista, 1 medico laboratorista, 3 medici per accettazione e degenza... per lo più non specializzati – tenenti o capitani – ed 1 farmacista. Il più alto in grado è il direttore del team.
Il radiologo manca. C'è la “teleradiologia”. Se dovesse servire ci si collega al Celio di Roma.
Il dato grave è che i chirurghi sono solo 2 per ogni turno di due mesi, provengono dal Celio ma, talvolta, dai più disparati reparti e “non sempre” hanno conservato la manualità chirurgica.
La Forza Armata ha previsto che vengano stipulati accordi bilaterali per il “retraining” di questi chirurghi che hanno perso la manualità prima del loro impiego in Teatro Operativo, ma solo in pochi casi questo è stato possibile.
I chirurghi militari vanno dunque in Libia (ed in Afghanistan) non solo in sottonumero, ma anche senza “retraining”?
Lo staff medico assicurato in Libia dall'Esercito Italiano è del tutto insufficiente ed inadeguato (con 2 soli chirurghi, talvolta con una manualità non più allenata!) non solo al fine di aiutare la popolazione libica ma anche gli stessi 300 militari italiani dispiegati a Misurata!
Nel caso si dovesse operare un “addome acuto”, anche una semplice appendicite, un ortopedico dovrebbe fare da 2° operatore ed assistere il chirurgo. Al contrario, in caso di una frattura un po' più impegnativa di una semplice frattura alla caviglia – che in tutti gli ospedali viene operata da 2 ortopedici! – il chirurgo dovrebbe fare da secondo operatore ed assistere l'ortopedico... Chi si farebbe operare per un problema alla pancia da un ortopedico?
E cosa avverrebbe se fossero 2 i militari italiani (che a differenza dell'Afghanistan non potrebbero contare su ospedali militari di altre nazioni) a “ferirsi” contemporaneamente?
Ma soprattutto come può un team di solo 2 chirurghi (assolutamente insufficienti per qualsiasi obiettivo medico serio e che non possono fisicamente operare in maniera continuativa) assicurare tutto quello previsto dai compiti della MIASIT???
Per assicurare la cosiddetta “cornice di sicurezza” ed il supporto logistico al “team chirurgico” (funzionamento sala operatoria, mensa, vigilanza delle strutture, etc...) la Difesa paga e METTE A RISCHIO la vita di oltre 300 persone.
A che pro tutto questo? Il timore, vista l'oramai "leggendaria lungimiranza ed impavidità" dei nostri governi, è che per non aver avuto il coraggio di assecondare richieste per un supporto alla sicurezza da parte del Governo "riconosciuto dalla Comunità internazionale" (si parlava di una esigenza complessiva di 25.000 uomini e donne) – ovvero di una forza “militare” (termine impronunciabile per certi soggetti politici) –, qualcuno abbia voluto mantenere una bandierina sulla carta libica: uno “show the flag”, trasfigurando i nostri assetti per il solito uso “politically correct”.
Il risultato? Centinaia di militari italiani sembrano servire solo alla funzione di SCUDI UMANI in una città in cui per la popolazione NON c'è necessità del nostro Role 2: strutture ospedaliere importanti - come il Misurata Central Hospital (foto), con DECINE di medici, chirurghi ed ortopedici - sorgono in città a pochi chilometri dall'Aeroporto.
La pochezza dei risultati degli ultimi 2 anni di attività è evidente da quanto comunica lo stesso ministero della Difesa (v.link).
Visti i delicati equilibri internazionali, il nostro “ospedale” rappresenta in effetti (v.link) un ostacolo per il generale Haftar: gli impedisce di bombardare con decisione l'aeroporto di Misurata e riprendere la città.
A questo punto è doveroso il coraggio da parte del governo di dire la verità ed inevitabili delle domande:
- Perché i corsi “sanitari” non sono stati fatti – A RISCHIO ZERO (ed un costo ovviamente inferiore...) – nella vicinissima Sicilia?
- A quanti “retraining” sono stati sottoposti i chirurghi inviati in missione (parliamo di quelli non impegnati abitualmente in sala operatoria)?
- Perché dobbiamo inutilmente rischiare la vita dei nostri soldati utilizzandoli come “bersagli” a difesa della città turcofona e turcofila di Misurata, oggi base del contingente militare turco e di migliaia di tagliagole “siriani”?
- Dal momento che la nostra ennesima missione “di pace” si svolge in un ennesimo teatro “di guerra”, QUANTI bunker sono stati costruiti per i 300 militari presenti a Misurata?
- Quanti interventi chirurgici REALI sono stati effettuati negli ultimi 2 anni presso il nostro Role 2? (Beninteso: escludendo le attività di “consulenza, assistenza, supporto e mentoring”...)
- Qual è il costo reale di questa missione? Solo di costo netto per il personale dovremmo avvicinarci ai 2 milioni di euro netti mensili. Se poi consideriamo il lordo degli stipendi e tutte le spese vive per muovere, nutrire, far funzionare e difendere il contingente...
In sintesi: COSA CI STIAMO ANCORA A FARE CON UN ASSETTO SANITARIO INUTILE E RISCHIOSO PER I NOSTRI MILITARI A MISURATA?
Dobbiamo attendere che ci sia la prima vittima “ufficiale” perché si prenda qualche provvedimento, si guardi in faccia la realtà e la si smetta con uscite che neanche un figlio dei fiori sotto LSD si sarebbe permesso mezzo secolo fa?!
Foto: google maps / ministero della Difesa