Cosa sta succedendo in Mar Rosso? In realtà questa domanda non è corretta, ci dovremmo chiedere perché siamo arrivati a questa situazione. Come abbiamo segnalato più volte l’importanza geopolitica degli stretti, la cui libertà è fondamentale per le economie globali e come il traffico commerciale marittimo internazionale che attraversa il mar Rosso gode di un risparmio sostanziale sia in termini di tempi di navigazione che assicurativi.
La situazione nello Yemen è purtroppo ben nota. Da anni gli Houthi, ufficialmente conosciuti come “Sostenitori di Dio” o “Ansar Allah”, una fazione politico religiosa sciita, combatte una guerra fratricida nello Yemen occidentale. Nata negli anni ’90, come movimento per appoggiare i diritti degli Zaidi e della tribù Houthi (da cui il gruppo prende il nome), con la morte del suo fondatore, Hussein al Houthi per mano dell’esercito yemenita, scatenò una guerra civile che in pochi giorni li portò in breve al controllo di parte della capitale yemenita, inclusi gli edifici governativi ed una stazione radio. Di fatto, la rivolta dilagò e già nel gennaio del 2015 gli Houthi mantenevano il possesso della capitale e di altre città come l’importante città di Radāʿ, nel Governatorato di al-Bayḍāʾ, trovando solo un debole contrasto da parte delle forze legittime. In quel periodo turbolento, trapelarono notizie che gli Houthi avessero ricevuto aiuti sostanziali dall’Iran, interessato a frapporsi all’influenza sunnita dell’Arabia Saudita nella regione.
Di fatto la sanguinosa guerra civile portò alla morte di più di 110.000 persone, in quello che fu definito “il peggior disastro umanitario del mondo, con milioni di persone sull’orlo della carestia”. In questo contesto iniziarono delle azioni degli Houthi anche in Mar Rosso, intese a colpire inizialmente interessi sauditi e poi israeliani, sia con mine navali e poi con droni contro le navi in transito al fine di dimostrare il loro sostegno ad Hamas e Hezbollah (fazioni ambedue filo-iraniane) nel loro conflitto contro Israele.
Negli anni scorsi avevamo dato notizia della scoperta di mine navali posate dagli Houthi a nord di Bāb al-Mandab (ﺑﺎﺏ ﺍﻟﻤﻨﺪﺏ, Bāb al-Mandab), lo stretto marittimo che congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi con le rotte dell’oceano Indiano.
Ai due lati delle sue sponde si fronteggiano Gibuti, sulla costa africana, e lo Yemen, estremo Paese della penisola arabica, come premesso. teatro di una guerra sanguinosa i cui obiettivi vanno oltre le sabbie di quello sfortunato Paese ma diventano strumento coercitivo di Teheran per colpire il predominio saudita nella regione.
Una Arabia Saudita, tra le altre cose, colpevole di essersi avvicinata con gli accordi di Abramo ad una certa convivenza con lo stato di Israele. Da tempo le autorità saudite affermano che gli Houthi stiano usando i corridoi umanitari per ricevere missili e droni iraniani, creando “una minaccia per la sicurezza regionale e internazionale“; sistemi avanzati che le fonti ritengono non siano trasferiti solo agli Houthi (nello Yemen) ma anche agli Hezbollah (in Libano) e alla Russia per la guerra in Ucraina.
In estrema sintesi, gli attacchi in mare contro obiettivi sauditi si sono ora estesi pericolosamente al traffico internazionale e la situazione in questo ultimo periodo sta assumendo un tono non più accettabile assumendo i connotati di una chiara violazione del diritto internazionale marittimo. Recentemente il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin, dopo le intercettazioni da parte di unità navali americane in Mar Rosso di droni e missile diretti verso il territorio israeliano (ma di possibile pericolo anche per le unità in transito), ha fermamente condannato questi attacchi ritenendoli una violazione del diritto internazionale che prende di mira dei marinai innocenti e crea una minaccia al commercio internazionale. “Il Mar Rosso è una via d’acqua fondamentale che è stata essenziale per la libertà di navigazione e un importante corridoio commerciale che facilita il commercio internazionale. I paesi che cercano di sostenere il principio fondamentale della libertà di navigazione devono unirsi per affrontare la sfida posta da questo attore statale che lancia missili balistici e veicoli aerei senza equipaggio (UAV) contro navi mercantili di molte nazioni che transitano legalmente in acque internazionali“
Un pericolo percepito internazionalmente visto che il colosso marittimo Maersk, la svizzera MSC, il gruppo francese CMA CGM e la compagnia petrolifera BP hanno deciso di interrompere il transito attraverso il Mar Rosso delle loro navi commerciali, di fatto costringendole alla circumnavigazione dell’Africa. Non ultima la Evergreen, una grande compagnia di navigazione cinese, ha annunciato di aver temporaneamente sospeso i servizi di importazione ed esportazione in Israele fino a nuovo avviso, interrompendo i viaggi attraverso il Canale di Suez. Un danno enorme per tutte le compagnie marittime ma anche per l’Egitto che vede nel transito di queste navi un importante introito per la sua già debole economia. Non sarebbe la prima volta e tutti ricordiamo le mine di Gheddafi che misero per la prima volta l’Occidente di fronte ad una situazione fino allora considerata impossibile: un attacco terroristico in mare effettuato con mine navali primitive ma estremamente cost effective per gli scopi prefissati.
Voglio ricordare che annualmente oltre 17.000 navi transitano da Suez, rappresentando circa il 7,5% del traffico mercantile mondiale. Il punto di debolezza del canale di Suez, come della maggior parte delle vie d’acqua ristrette, è la possibilità di un blocco accidentale o voluto del traffico che può causare importanti pesanti danni commerciali. Nel caso di un blocco del mar Rosso sarebbe necessaria una riprogrammazione delle rotte del traffico mercantile, obbligando le navi alla circumnavigazione dell’Africa con un aggravio di 15/20 giorni sul transito normale (dovuti a 7/8 giorni di maggiore navigazione e ad altri 8/10 giorni di attesa e scarico nei porti di destinazione).
La criticità del blocco di questa via d’acqua fu percepita anche recentemente a seguito dell’incaglio della Ever Given che di fatto impedì il transito per sei giorni a decine di navi portacontainer che trasportavano prodotti che andavano dai telefoni cellulari agli articoli di marca. Un’ipotesi quella di un blocco del mar Rosso da tempo paventata che sembra concretizzarsi nuovamente.
Tornando alla delicata situazione, nelle ultime settimane gli Houthi hanno attaccato diverse navi con droni, razzi e in alcuni casi hanno utilizzato elicotteri per far sbarcare i loro militanti sulle navi commerciali, rivendicando nell’ultimo periodo la responsabilità di aver lanciato un attacco contro due navi, la Swan Atlantic di proprietà norvegese e la MSC Clara battente bandiera di Panama, utilizzando dei droni. Entrambe le navi, secondo i loro portavoce, erano considerate di interesse israeliano e quindi dovevano essere fermate.
La situazione sta degenerando e l’UKMTO (Operazioni di commercio marittimo del Regno Unito) ha riferito l’effettuazione di un attacco ad almeno una nave britannica al largo del porto di Mokha, nello Yemen.
Il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin, in visita in Israele, ha riferito che Washington sta costruendo una coalizione per affrontare la minaccia marittima generata dagli Houthi e che i ministri della difesa della regione (ma non solo) hanno iniziato dei colloqui per poter concordare possibili azioni comuni. Oltre agli Stati Uniti sembrerebbe che altri paesi della NATO, tra cui Canada, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi si sono detti pronti a prendere in considerazione un sostegno congiunto in mare (unendosi alla task force 153) con il concorso di altre marine della regione tra cui il Bahrein e le Seychelles. È stata quindi costituita una missione navale congiunta denominata “Prosperity Garden Operation”, al fine di garantire “la libertà di navigazione per tutti i paesi e rafforzare la sicurezza e la prosperità regionale”. Una necessità urgente e necessaria in quanto, come ribadito dal ministro della Difesa olandese Kajsa Ollongren in un twitter su X, “Gli attacchi alle navi nel Mar Rosso minano la libertà di navigazione e rappresentano una seria minaccia per le navi e gli equipaggi… ”.
Un’operazione di sicurezza marittima non facile in cui i rischi maggiori provengono dall’ambiente subacqueo a causa della presenza di mine ma anche di ordigni insidiosi facilmente adattabili a droni subacquei.
Gli effetti economici si sono già sentiti e il mercato delle assicurazioni marittime di Londra ha ampliato l’area del Mar Rosso che ritiene ad alto rischio in un contesto di aumento degli attacchi alle navi commerciali. Maggiori costi assicurativi comportano maggiori costi per gli armatori e a caduta sui prodotti di consumo.
Una situazione che sottolinea ennesimamente come il futuro e la prosperità di tutti continua a giocarsi sul mare.
Foto: web / الاعلام الحربي / vesselfinder.com
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)