Pianificare ed eseguire un'operazione di soppressione di siti di lancio missilistici e/o di droni, non è cosa che si può improvvisare. Identificare anche con buona approssimazione le zone di lancio non basta assolutamente, specie in un contesto "misto" come quello yemenita, fatto di deserti anche montuosi e città sostanzialmente ancora di tipo medievale, in terra, pietra e legno.
Gli Houthi hanno buone opzioni di camuffamento, e il rilevamento e la tracciatura avviene quasi solo dopo il lancio, che sarà senz'altro di tipo multiplo, con scampo pressoché immediato. Insomma, un affare abbastanza complicato. Una faccenda tutt'altro che semplice, soprattutto se non si dispone di più opzioni di tecnica di attacco.
Dobbiamo tornare alle dottrine elaborate dal gen. Warden della struttura "Checkmate" a cui abbiamo accennato nell'articolo "L'uomo giusto al comando". Elaborate attraverso le dure lezioni della guerra in Vietnam dove, per bombardare un ponte o un incrocio stradale lungo il sentiero di Ho Chi Minh, si distruggevano chilometri e chilometri quadrati di territorio (magari mancando anche il bersaglio).
Checkmate diede origine alla progettazione delle nuove armi guidate attraverso identificazione laser, antiradar, elettronica e infrarossa, che portarono alle moderne tattiche di bombardamento aereo.
In un contesto come quello yemenita non do per favorevole la possibilità di elaborazione di dati radar e/o infrarossi, mentre propendo per una rilevazione elettronica (frequenze radio-telefoniche, impulsi elettromagnetici di motori elettrici particolari) e molto per quella laser, da effettuare "sul campo" (tipo le difficoltose missioni di ricognizione e identificazione delle rampe degli Scud irachene durante la prima Guerra del Golfo, o la designazione di bersagli in aree urbane da parte di operatori dei servizi segreti, di cui si è parlato ampiamente, forse fin troppo. Questo anche in ragione di limitare i danni collaterali sui civili, per ragioni politiche.
Quindi, come si fa?
Qualcuno deve "illuminare" i bersagli direttamente.
Chi?
Le forze speciali.
Come?
Spotterando con marker laser.
Quali?
Il SAS. Anzi, i SAS: inglesi, canadesi, australiani.
Come ci sono arrivati fin lì?
Si sono infiltrati dall'Oman, dove il SAS ha da decenni basi avanzate, presidi, centri di addestramento alla guerriglia nel deserto (per chi volesse approfondire "geograficamente" l'argomento suggerisco di rileggere l'articolo di Difesa Online del 2017 sulla battaglia di Mirbat). Potrebbero aver partecipato anche asset dei Seal o dei Marines Recon di stanza a Gibuti (Camp Lemonier), e quindi sfruttando le coste.
I team hanno illuminato gli obiettivi per gli aerei USA e GB basati a Cipro e in Medio Oriente (e forse anche a Diego Garcia) e per la marina USA schierata nel Golfo Persico, e nei pressi (portaerei USS Dwight D. Eisenhower e USS Florida, armato di missili Tomahawk).
Certamente erano presenti in zona anche UCAV (unmanned combat aerial vehicle) da ricognizione ed attacco, il tutto coordinato da almeno una postazione volante, con capacità più LIDAR che RADAR.
Questa è una pianificazione ed esecuzione che, di solito, richiedono giorni, non certo ore. Tuttavia lo schema generale era sicuramente previsto da tempo.
Vanno poi elaborate anche altre due attività importanti: annullare temporaneamente le capacità dei radar iraniani (e forse non solo i loro) che sono situati dall'altra parte dello stretto di Hormuz e sulle navi in pattugliamento nel Golfo Persico e di Aden.
Accecare i radar nemici (presumibilmente di tipo russo e cinese) è cosa essenziale per vari motivi: non concedere alcun preavviso agli Houthi, in possesso molto probabilmente di SAM spalleggiabili e mitragliere mobili russe di grosso calibro, oltre a non permettere ai tecnici radar nemici di "vedere" le proprie tattiche di attacco, negando preziose informazioni elettroniche da usare eventualmente in futuro.
Va anche pianificata l'esfiltrazione dei team, in eventuale emergenza e/o a cose fatte.
Non ultimo dare un messaggio a più di un giocatore in campo: "Vi veniamo a prendere quando e come vogliamo, ovunque!".
Questo non significa che le forze navali e terrestri NATO schierate nel Golfo Persico siano onnipotenti e/o invulnerabili: "se la storia ci ha insegnato qualcosa è che si può colpire chiunque" disse un tale.
È stato mandato un segnale chiaro alla "concorrenza": Se volete giocare per noi va bene! E non sarete solo voi a dettare le regole, tempi e metodi.
Vogliamo poi parlare del ruolo dell'Italia nel contesto? Forse è meglio stendere il classico velo pietoso.
Foto: U.S. Navy / U.S. Air Force