La vicenda dei 18 marittimi di Mazara del Vallo, sequestrati dalla guardia costiera di Haftar lo scorso 1° settembre mentre pescavano a circa 35 miglia da Bengasi, non sembra ancora vicina ad una felice conclusione.
Come scritto in un precedente articolo, già nel 1973 il regime del colonnello Gheddafi aveva dichiarato (arbitrariamente) il Golfo di Sirte come facente parte delle acque interne libiche e che quindi il limite delle acque territoriali dovevano partire dalla fine di golfo e non dalla costa, (dichiarando successivamente la presenza di una "linea della morte"), dalle quali dovevano rimanere fuori le flotte straniere.
Tale decisione, ovviamente, non venne condivisa dalla Comunità Internazionale, anche se la nazione più direttamente interessata, l’Italia, per via di favorevoli accordi energetici instaurati con con Tripoli preferì far finta di nulla, assecondando (entro certi limiti) le unilaterali delimitazioni territoriali del Colonnello.
Tuttavia nel 1986 l’Amministrazione Reagan era decisa a sferrare un duro colpo ai finanziatori del terrorismo internazionale: la scelta del Pentagono ricadde sul regime del colonnello Gheddafi.
La Libia non era certamente il paese arabo che forniva maggior sostegno al terrorismo, infatti le responsabilità di Iraq e Siria erano ben più gravi. Ma i regimi di Saddam Hussein e al-Assad, allora, erano fortemente appoggiati dall’Unione Sovietica ed intervenire nei loro confronti, quindi, avrebbe innescato una grave crisi internazionale che sarebbe potuta sfociare anche in uno scontro diretto con Mosca.
La Libia di Gheddafi, invece, era relativamente isolata, guardata con sospetto dagli altri paesi arabi nonché priva della protezione sovietica (anche se veniva regolarmente rifornita di armamenti dal Cremlino).
Nel mese di gennaio del 1986 il colonnello Gheddafi fornì un ottimo pretesto agli americani, proclamando una linea della morte attraverso il Golfo di Sirte, fra Tripoli e Bengasi.
Il 23 marzo - dopo che nei mesi precedenti la flotta americana aveva più volte provocato le forze libiche - tre gruppi di portaerei della U.S. Navy, formati dalle portaerei America, Coral Sea e Saratoga (ogni gruppo è costituito da una portaerei multi compito e da una scorta di sei unità), attraversarono la zona proibita per effettuare delle esercitazioni aero-navali. Un gruppo di volo composto da F-14 venne fatto oggetto di lancio di missili superficie-aria ex sovietici SA-5, senza produrre danni in quanto progettati per colpire velivoli ad alta quota mentre i Tomcat mantennero quote relativamente basse.
Per gli americani era più che sufficiente, misero quindi in atto, il 24 marzo, il piano Prairie Fire, già pianificato in precedenza, che autorizzava l’attacco preventivo a qualunque unità libica, in navigazione nelle acque internazionali, che avesse avuto atteggiamenti minacciosi nei confronti della flotta americana.
Il Colonnello non poteva perdere la faccia di fronte alla provocazione americana, ma sapeva benissimo che le forze che aveva di fronte erano al di fuori delle possibilità della Marina libica. Fece comunque uscire alcune navi, perlopiù unità missilistiche sovietiche Classe Osa, Osa II, armate con missili antinave SS-N-2A/B Styx (con una testata bellica da 500 kg erano in grado di danneggiare gravemente una portaerei da 80.000 tonnellate), corvette sovietiche classe Nanuchka e motovedette lanciamissili francesi classe Combattente II, armate con missili antinave italo-francesi Otomat.
Questa esigua forza navale andò incontro ai gruppi di volo di tre portaerei che nel frattempo erano decollati (formati da F-14, F/A-18, A-6 e A-7).
La prima unità libica ad essere colpita fu una motovedetta Combattente II, centrata da un missile antinave AGM-84 Harpoon (all’esordio operativo) lanciato da un A-6. Stessa sorte toccò a una motovedetta classe Nanuchka, gravemente danneggiata da un Harpoon riuscì comunque a far ritorno in porto. Contemporaneamente gli impianti radar a terra (nei pressi della città di Sirte) vennero messi a tacere da due A-7 che gli lanciarono contro otto missili antiradiazioni AGM-88 Harm, anch’essi utilizzati per la prima volta in azione.
Stessa sorte toccò a una motovedetta classe Nanuchka (foto), gravemente danneggiata da un Harpoon riuscì comunque a far ritorno in porto, mentre un’altra della stessa classe venne affondata il mattino dopo del 25 marzo sempre da missili antinave AGM-84. Per tutta la durata della battaglia le batterie di missili superficie-aria sovietiche SA-2 e SA-5 dimostrarono la loro inefficacia nei confronti dei velivoli statunitensi che, letteralmente, volavano a poche decine di metri dalla superficie del mare.
Gli americani dimostrarono che non basta dichiarare, unilateralmente, uno spazio di mare come acque territoriali ma occorre anche essere in grado di difenderlo.
Foto: U.S. Navy / web