Potrebbe sembrare una barzelletta della serie: “ci sono due inglesi, un americano, uno spagnolo, tre russi, ecc...” ma gli eventi che accaddero il 12 giugno 1999 all'aeroporto “Slatina” di Pristina avrebbero potuto prendere una piega decisamente peggiore se non fosse stato per la granitica determinazione di un capitano e di un generale di non obbedire a un ordine che avrebbe potuto dare il via ad una spirale di azioni e reazioni che avrebbero potuto diventare, nel peggiore dei casi, assai difficilmente controllabili.
L'11 giugno 1999, dopo un anno e mezzo di combattimenti sul terreno ed ottanta giorni di bombardamenti da parte della NATO, la “Guerra del Kosovo” giunse finalmente alla fine, con gli accordi di pace di Kumanovo. In base a tali accordi, le forze armate e di polizia jugoslave avrebbero dovuto cedere il controllo del territorio della provincia del Kosovo ad una forza multinazionale (KFOR) che ne avrebbe dovuto gestire la sicurezza in loco nel periodo del “dopoguerra”. Esisteva però un nodo gordiano che non era stato ancora sciolto; l'entità e la modalità di partecipazione della Russia alla missione internazionale.
Gli eventi della “Guerra del Kosovo” avevano costituito per la Russia e la sua leadership politica una sorta di “spartiacque”. Se fino ad allora il presidente Boris Nikolayevich Eltsin, debole e malato, era riuscito a contenere in qualche modo le spinte nazionaliste che avevano nell'allora primo ministro Evgeny Maksimovich Primakov il loro campione principale, l'attacco vergognosamente punitivo dell'Alleanza Atlantica nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia ed il trattamento demonizzatore che era stato riservato ai serbi erano suonati come drammatici campanelli d'allarme alle orecchie dei russi: senza un rinnovata politica muscolare, la NATO non si sarebbe mai fermata fino ad investire la Russia stessa. Ecco perché, nel corso del complicato processo negoziale che portò ai tanto sospirati accordi di Kumanovo, la Russia si presentò come garante della Jugoslavia pretendendo di avere una propria “area di occupazione” ed un proprio “comando autonomo”. Tali pretese differivano notevolmente da quanto era capitato precedentemente in Bosnia, dove le truppe russe ivi presenti erano completamente subordinate alla catena di comando della IFOR/SFOR.
I diplomatici occidentali si opposero vigorosamente alle pretese russe, additando come scusa il fatto che un settore d'occupazione russa completamente autonomo avrebbe contribuito ad una de facto spartizione del Kosovo la cui unità si voleva invece conservare. In realtà, la verità più prosaica è che, dopo la fine della “Guerra Fredda”, i diplomatici ed i governi occidentali, in primis quel Francisco Javier Solana de Madariaga che proprio in quel periodo dell'Alleanza Atlantica ne era il segretario generale, erano diventati per certi versi prigionieri della propria “ὕβϱις” (hýbris, termine greco antico vagamente traducibile con “tracotanza/superbia”) e, pensando di aver veramente vinto la “battaglia finale della Storia”, ritenevano di potersi sempre permettere il lusso di rispondere picche ai desiderata di Mosca senza nemmeno degnarsi di prendere in considerazione gli interessi nazionali russi anche quando, come in questo caso, per una varietà di ragioni strategiche e di prestigio internazionale, Mosca non era assolutamente disposta a tirarsi indietro.
L'incapacità dei leader occidentali, sia civili che militari, di decifrare le reali intenzioni del Cremlino emersero in tutta la loro pienezza quando, nella notte tra l'11 e il 12 di giugno, sotto la piena copertura delle telecamere della CNN e della BBC, un'unità delle VDV (le forze paracadutiste russe) precedentemente facente parte del contingente russo della IFOR/SFOR, varcò il confine tra la Bosnia e la Serbia dirigendosi rapidamente verso il Kosovo tra il giubilo della popolazione serba testimone dell'evento.
La fulminea azione russa colse i vertici dell'Alleanza Atlantica completamente alla sprovvista ed incapaci di organizzare una tempestiva contromossa. In realtà a qual tempo vi erano già all'interno del Kosovo alcune unità militari della NATO; si trattava degli elementi delle forze speciali che erano stati infiltrati nel corso del conflitto per appoggiare la guerriglia albanese e per aiutare nell'identificazione dei bersagli degli attacchi aerei della NATO. In particolare gli uomini delle forze speciali norvegesi (Forsvarets Spesialkommando, FSK) e di quelle britanniche (Special Air Service, SAS) erano già attestati nei dintorni di Pristina ma non avevano certo le forze sufficienti per sperare di prendere il controllo dell'intera città, dovendo limitarsi a svolgere la funzione di “occhi ed orecchie” delle forze NATO che, proprio in quel momento, stavano entrando in Kosovo a partire dalla Macedonia e dall'Albania.
L'obiettivo strategico che assorbiva l'attenzione del quartier generale della NATO era l'aeroporto “Slatina” di Pristina, largamente risparmiato dai cacciabombardieri della NATO proprio per fungere da punto d'arrivo dei rinforzi della KFOR nell'immediato dopoguerra. Il comandante in capo delle forze NATO, generale Wesley Kanne Clark, diede ordine agli “Allied Rapid Reaction Corps” (ARRC) ed al loro comandante, il generale inglese Mike Jackson, di procedere speditamente all'occupazione dell'aeroporto.
Nato nel 1944 nello Yorkshire in una famiglia di antiche tradizioni militari, Sir Michael “Mike” David Jackson poteva vantare una carriera di soldato di professione iniziata nel 1963 che includeva, tra le altre, il comando del 1o battaglione, del reggimento paracadutisti di Sua Maestà Britannica e della 39a brigata di Fanteria in tre diversi tour operativi nell'Irlanda del Nord, il comando della “Berlin Infantry Brigade” (brigata di fanteria di Berlino), unità britannica ad hoc destinata alla difesa di Berlino Ovest in caso di attacco sovietico nel corso della “Guerra Fredda”, ed il comando della 3a divisione meccanizzata, unità dell'esercito britannico ampiamente coinvolta in missioni di “peacekeeping” nel corso delle guerre di disintegrazione della ex-Jugoslavia.
Ora, all'età di 55 anni e con 36 anni di carriera alle spalle, Mike Jackson si preparava per quello che, a posteriori, avrebbe definito “il momento decisivo della mia vita”, alla testa di una multiforme compagine militare composta da battaglioni di provenienza britannica, francese, tedesca ed italiana.
Nell'avanzata verso Pristina ed il suo aeroporto, l'avanguardia degli “Allied Rapid Reaction Corps” (ARRC) era costituita dallo squadrone “Blues and Royals”, “The Life Guards”, parte del “Household Cavalry Regiment” il cui “1st Troop” era all'epoca sotto il comando del venticinquenne capitano James Hillier Blount.
Come il generale Jackson, anche il capitano Blount veniva da una famiglia di antiche tradizioni militari, risalenti addirittura all'epoca del re Canuto il Grande (Knútr inn ríki), sovrano di Danimarca, Inghilterra, Norvegia e Scania tra il 1016 ed il 1035. Tuttavia, la tempistica operativa non era decisamente dalla loro parte, e quando i soldati britannici arrivarono, la mattina del 12 giugno, in vista dell'aeroporto, trovarono che esso era già stato occupato dai paracadutisti russi che si erano trincerati attorno alle piste. Il comandante in capo della forza d'assalto russa era il colonnello-generale Viktor Mikhailovich Zavarzin, veterano delle campagne in Afghanistan e Tagikistan degli anni '80 e '90, comandante delle forze congiunte della Russia e del Turkmenistan in Asia Centrale ed alto rappresentante della Russia presso la NATO.
Per questa missione il generale Zavarzin poteva avvalersi della collaborazione del colonnello Nikolay Ivanovich Ignatov come responsabile dei paracadutisti, e del colonnello Yunus-Bek Bamatgireyevich Yevkurov (Yevkurnakan Bamatgiri Yunusbek, in lingua ingusceta) responsabile delle Spetsnaz GRU annesse alla missione.
Quando il capitano Blount ed i suoi uomini si avvicinarono all'aeroporto si resero immediatamente conto che i russi non erano disposti a sloggiare e che la risoluzione dell'intera vicenda si riduceva ad una chiara scelta binaria: o le truppe NATO erano disposte ad un'azione di forza per cacciare i paracadutisti russi dall'aeroporto, oppure era necessario intavolare una trattativa.
Mentre sul terreno gli ufficiali ed i loro subalterni si consultavano alacremente per decidere sul da farsi, nelle alte sfere qualcuno aveva già preso la sua decisione. Non appena le telecamere della CNN e della BBC avevano mostrato al mondo intero i movimenti della truppe russe dalla Bosnia attraverso la Serbia, il generale Wesley Clark aveva avuto una lunga conversazione telefonica con Javier Solana avente come oggetto proprio gli ultimi sviluppi.
A tutt'oggi non è ancora chiaro che cosa i due si siano detti, anche perché Solana ha sempre dimostrato un'innata abilità a schivare qualsiasi tipo di responsabilità per quanto avvenne successivamente. Fatto sta che, bypassando l'intera linea di comando, Clark contattò Blount e gli elementi di punta delle “Life Guards” posizionate di fronte all'aeroporto di Pristina e gli ordinò di "sopraffare i russi e prendere il controllo dell'aeroporto".
L'ordine ricevuto gettò il capitano Blount in una situazione scomoda. Disobbedire avrebbe significato la traduzione immediata alla corte marziale, ma seguire ciecamente le direttive ricevute avrebbe condotto ad uno scontro diretto con i paracadutisti trincerati con conseguenti perdite da entrambe le parti e la possibilità che tale “incidente” portasse a qualcosa di ben più serio!
A distanza di anni, e in numerose interviste, l'ormai ex-capitano ha più volte reiterato che, anche sotto minaccia di corte marziale, non avrebbe mai portato a compimento tale ordine. Fortunatamente per Blount e per i suoi uomini, la responsabilità delle azioni successive venne rapidamente presa dal generale Jackson il quale, dal suo quartier generale di Skopje, in Macedonia, e disattendendo completamente gli ordini, si trasferì in elicottero direttamente a Pristina e, dopo aver ricevuto rapporti dettagliati sulla situazione sia da Blount che dagli uomini delle forze speciali norvegesi e britanniche (che continuavano a monitorare gli spostamenti delle forze jugoslave), chiese ed ottenne di parlamentare con gli ufficiali russi.
Il primo incontro avvenne all'interno dell'aeroporto, con Jackson da un lato e Zavarzin, Yevkurov e Ignatov dall'altro. Nessun accordo fu raggiunto in quell'occasione, però almeno i militari delle due parti si erano parlati e l'unica “vittima” era stata un fisco di whisky che i quattro ufficiali si erano spartiti.
Non così bene andò invece l'incontro che Jackson ebbe, la mattina del 13 giugno, una volta tornato al suo comando a Skopje, con il generale Clark. Egli era ancora fermamente determinato a sloggiare i russi dalla loro posizione ignorando le obiezioni di Jackson che tale evenienza avrebbe potuto avere conseguenze incalcolabili. Alla lunga, la discussione degenerò in una vera e propria lite che culminò con la frase topica con la quale Jackson liquidò Clark una volta per tutte: “Io non inizierò la Terza Guerra Mondiale per te!”.
Clark se ne andò furibondo ma il tempo delle sue bravate da “macho” stava rapidamente giungendo al termine. Dopo una serie di trattative durate diversi giorni, i russi acconsentirono finalmente a sgombrare l'aeroporto ed il capitano Blount e i suoi uomini poterono occuparlo senza incidenti. Il generale Clark se ne tornò al comando NATO in Belgio con la coda tra le gambe, mentre la sua nemesi Jackson potè assumere indisturbato il ruolo di comandante della KFOR nonostante il parere negativo di praticamente tutto l'establishment politico e militare americano, profondamente scosso dall'essere stato così sonoramente umiliato da un “fottuto inglese”.
Le forze jugoslave continuarono la loro ritirata dal Kosovo ed il contingente russo, seppure non ottenne una propria area di occupazione, poté comunque schierare le proprie forze in tutta la regione e disporre di una propria catena di comando autonoma. Il compromesso era infine riuscito a partorire una soluzione ragionevole!
Vent'anni sono passati dagli eventi dell'aeroporto di Pristina del 1999 e quanto avvenne in quelle frenetiche giornate è stato in gran parte dimenticato dalla maggior parte del pubblico, tuttavia è bene ricordare a noi stessi che, senza la capacità di giudizio e la moderazione esercitata da un pugno di uomini dotati di raziocinio, gli eventi avrebbero potuto prendere una piega ben diversa.
È interessante poi analizzare come, gli eventi del giugno 1999 abbiano inciso in maniera così diversa e profonda nelle vite e carriere successive di tutti i protagonisti coinvolti. Il 1 ottobre 2002, dopo sei anni passati sotto le armi, il capitano James Hillier Blount si congedò dall'esercito britannico ed intraprese la carriera musicale con il nome d'arte di “James Blunt” diventando presto una star internazionale grazie a canzoni quali “You're beautiful” e “Goodbye My Lover” e vendendo sino ad oggi oltre 20 milioni di copie.
Sebbene moltissimi lo conoscano come cantante ed autore di testi di canzoni, sono pochi coloro che ricordano il suo coinvolgimento negli eventi di Pristina del 1999.
Dopo quei fatidici giorni nei quali dimostrò tutta la sua statura di comandante e leader nel senso più completo della parola, il generale Sir Michael “Mike” David Jackson continuò a comandare la KFOR fino agli inizi dell'anno 2000, quando tornò nel Regno Unito per assumere il comando delle forze di terra del British Army ed iniziare un lungo processo di ristrutturazione di questa componente critica dello strumento militare britannico e venendo infine promosso, il 1 febbraio 2003, all'incarico di capo di stato maggiore delle forze armate di Sua Maestà Britannica; ruolo che ha ricoperto fino al 2006 prima di andare in pensione, dopo 43 anni di carriera, e dedicarsi alla scrittura ed alle conferenze, senza mai rinunciare alla sua schiettezza e spirito mordace.
Da parte russa, il colonnello-generale Viktor Mikhailovich Zavarzin continuò a servire presso la delegazione russa alla NATO e in vari incarichi presso l'alto comando delle forze armate russe fino al 2003 quando, dopo 37 anni di onorato servizio, si ritirò per dedicarsi alla politica, venendo eletto alla Duma presso il blocco del partito “Russia Unita”, ruolo che ricopre anche oggi.
Il colonnello Nikolay Ivanovich Ignatov invece, non ha mai smesso di servire presso le VDV, le forze paracadutiste della Russia, venendo promosso al grado di tenente generale e venendo assegnato prima al comando della “7a divisione da Assalto Aereo della Guardia” e poi a comandante delle intere VDV. Oggi, a 63 anni d'età e 45 di servizio, Ignatov continua a rimanere attivo nella catena di comando delle forze armate della Federazione Russa.
Interessante fu poi la parabola del colonnello Yunus-Bek Bamatgireyevich Yevkurov, il responsabile delle operazioni delle Spetsnaz GRU. Yevkurov continuò a servire in diversi ruoli sia tra le fila delle Spetsnaz che tra quelle delle VDV incluso durante la sanguinosa “Seconda Guerra in Cecenia”, guadagnandosi numerose medaglie ed onorificenze, tra cui quella di “Eroe della Federazione Russa” per aver salvato 12 prigionieri russi dalle mani dei guerriglieri ceceni nonostante fosse stato ferito in azione. Nel 2008, dopo 23 anni di servizio, Yevkurov venne posto a riposo e nominato dall'allora presidente Dmitry Anatolyevich Medvedev al ruolo di presidente della Repubblica di Inguscezia, una delle repubbliche autonome del Caucaso russo. In tale carica, ricoperta per i successivi 11 anni, fino al giugno 2019, Yevkurov ha gestito non solo la ricostruzione economica della sua terra d'origine ma anche le operazioni di contro-insurrezione dirette a sradicare l'insorgenza islamista dal Caucaso russo. Sotto la pressione delle manifestazioni popolari causate dalla firma di un controverso accordo di modifica dei confini tra la Repubblica di Inguscezia e la Repubblica di Cecenia, Yevkurov ha presentato le sue dimissioni ma è stato prontamente reintegrato nelle forze armate russe con l'incarico di vice-ministro della Difesa.
Dalla parte dell'Alleanza Atlantica invece, Francisco Javier Solana de Madariaga è riuscito con un'abilità fuori dal comune ad evitare qualsiasi ricaduta negativa sia rispetto alla dubbia prestazione fornita dalle forze della NATO nel corso della “Guerra del Kosovo” sia alla figuraccia causata dagli eventi dell'aeroporto di Pristina. Subito dopo la fine del suo mandato come segretario generale della NATO egli è riuscito a cumulare in sé le cariche di: segretario generale dell'Unione Europea Occidentale, segretario generale del Consiglio dell'Unione Europea ed alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea, posizioni che ha mantenuto per 10 anni, fino al 2009. È ferma opinione dell'autore del presente articolo che l'appartenenza di Solana alla celeberrima “Commissione Trilaterale” lo abbiano aiutato non poco ad evitare macchie alla sua “limpida carriera”.
Lo stesso non si può dire che sia avvenuto per il generale Wesley Kanne Clark. Già pesantemente sotto il fuoco degli alti papaveri del Pentagono per aver fallito nella valutazione delle intenzioni di Milosevic e per la sua disordinata gestione della “Guerra del Kosovo”, oltre che per la sua tendenza a riferire direttamente al presidente Bill Clinton ed alla segretario di stato Medeleine Albright bypassando completamente la normale catena gerarchica, lo smacco subito a Pristina e la pubblica umiliazione causata dal suo fallimento di imporsi al generale britannico Jackson causarono a Clark una rapida eclissi dalla sua posizione di comandante in capo delle forze della NATO.
Ritiratosi a vita privata, Clark decise di dedicarsi prima al mondo del business con risultati pessimi (guadagnò solamente 3,1 milioni di dollari nei primi tre anni, contro i 40 che sia era prefissato) e poi alla carriera politica nelle fila del Partito Democratico dove però non brillò certo per acume (la sua campagna presidenziale del 2008 venne letteralmente eclissata dalla stella di Obama e lui per ripicca finì pure per dare appoggio a quella Hillary Clinton che proprio da Obama venne battuta).
Alla luce di questa ed altre cose, si può comodamente affermare che la “figuraccia di Pristina” contribuì a segnare la fine della carriera di un uomo sostanzialmente mediocre che, desideroso di fare il “macho” per un giorno, nel giugno del 1999, ha rischiato di far vivere a noi tutti un'estate “torrida”, non fosse stato per la provvidenziale presenza di un capitano-cantautore e di un generale britannici dotati di encomiabile e britannicissimo “self-control”.
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