Da quando, nella seconda metà dell’ottocento, il Giappone si affaccia sulla scena mondiale, le sue mire geopolitiche lo mettono in aperto contrasto con gli interessi regionali dell’Impero Russo.
Nel 1873 il Governo di Tokyo avvia la pianificazione per la penetrazione giapponese nell’Asia continentale, a cominciare dalla Cina. Tuttavia solo nel 1894 il governo Meiji si sente forte abbastanza, soprattutto dal punto di vista economico-militare, per dichiararle guerra.
L’Esercito Imperiale occupa la penisola coreana ed entra in Manciuria, mentre la Marina Imperiale blocca l’accesso del Mar Giallo.
Nell’aprile del 1895 un trattato di pace mette fine alla Prima Guerra Sino-Giapponese. All’inizio del XX secolo Tokyo stringe un’alleanza con la Gran Bretagna in funzione anti russa, e nel gennaio 1904 invia un ultimatum a Mosca, con la richiesta di ritirare le sue truppe dalla Manciuria. Il 10 febbraio l’ultimatum viene respinto e di conseguenza il Giappone dichiara guerra all’Impero russo.
In seguito alle vittorie navali riportate a Port Arthur e a Tsushima, Tokyo ottiene il riconoscimento delle sue rivendicazioni sulla Corea e sulla Manciuria meridionale.
Proprio quest’ultimo territorio ritorna ad essere motivo di scontro – confinante con la Cina, l’Unione Sovietica e il Protettorato giapponese della Corea – negli anni ’30, infatti 18 settembre 1931 si verifica l’incidente di Mukden (foto), con un falso sabotaggio della linea ferroviaria, che causa l’invasione giapponese della Manciuria e la costituzione dello stato fantoccio del Manciuquo.
Il 7 luglio 1937, in seguito all’incidente del Ponte Marco Polo, nella località di Loukouchiao a sud-ovest di Pechino, il Giappone invade la Cina settentrionale, dando inizio alla Seconda Guerra Sino-Giapponese. L’invio da parte di Mosca di quattro squadriglie di caccia e due di bombardieri (ufficialmente con personale volontario e sotto insegne cinesi), non riesce a ritardare l’invasione.
Viste le convergenze geopolitiche nella regione, appare inevitabile che, dopo la conclusione delle operazioni contro la Cina, si verifichi uno scontro tra i reparti militari del Giappone e quelli dell’Unione Sovietica.
L’11 maggio 1939 un gruppo di cavalieri mongoli (la Mongolia è alleata dell’URSS) attraversano il fiume Khalkhyn Gol che segna il confine, per i giapponesi, tra la Mongolia e il Manciuquo (mentre per i mongoli e i loro alleati sovietici la linea di demarcazione è a 15 km più a est), vengono attaccati dalla cavalleria del Manciuquo e sono costretti a ripiegare oltre il fiume.
Giudicandola come una provocazione, il 13 maggio, i mongoli tornano con forze maggiori ma, il giorno dopo, si scontrano con due reggimenti giapponesi della 23ᵃ Divisione e si ritirano. Pochi giorni dopo si ripresentano appoggiati dal 57° Corpo Speciale sovietico che circonda uno dei due reggimenti giapponesi e lo annienta. La riposta avviene sottoforma di un bombardamento aereo dell’aeroporto di Eamsak-Bulak in Mongolia, dove sono schierati velivoli sovietici. L’attacco ha luogo senza l’autorizzazione del Governo di Tokyo il quale ordina di cessare ulteriori attacchi in territorio mongolo.
In giugno il comando delle forze sovietiche in teatro viene assunto dal Tenente Generale Zhukov (nella foto, a dx), ma nel corso del mese si registrano solo alcune scaramucce al confine.
Il 2 luglio, due divisioni dell’Esercito Imperiale, approfittando della momentanea inattività dell’aviazione sovietica, riprendono l’offensiva e obbligano le forze mongolo-sovietiche a ripiegare. Mosca reagisce rinforzando ulteriormente la componente aerea, inviando un numero maggiore di bombardieri Tupolev SB-2 a supporto dei reparti terrestri.
L’offensiva giapponese si svolge su due direttrici: su una tre reggimenti devono attraversare il fiume per attaccare le forze nemiche schierate sulla collina Baintsagan per poi puntare verso sud, in direzione del ponte di Kawatama.
Sull’altra direttrice, due reggimenti carri, diversi battaglioni di fanteria e uno di artiglieria, devono attaccare le forze sovietiche al di là del fiume Khalkhyn. L’avanzata risulta assai difficoltosa anche a causa della pressione esercitata dai velivoli sovietici, ma soprattutto perché i giapponesi si trovano di fronte tre divisioni e 5 brigate corazzate sovietiche.
Il 23 luglio le forze giapponesi riprendono l’offensiva su larga scala ma, ancora una volta non riescono a sfondare il dispositivo nemico. I Comandi nipponici hanno serie difficoltà nel far giungere i rifornimenti necessari ad alimentare l’attacco in prima linea. Anche i sovietici hanno le stesse difficoltà, tuttavia Zhukov riesce a mettere insieme circa 2.500 autocarri che riescono a rifornire le truppe di carburante e munizioni. I giapponesi invece sono penalizzati da fatto che il grosso delle loro forze sono impegnate in Cina.
Nelle successive tre settimane si verificano soprattutto azioni aeree di bombardamento, particolarmente efficace risulta la comparsa dei I-16 con l’abitacolo corazzato e armati con due cannoni alari da 20 mm.
Negli ultimi giorni di agosto del 1939 Zhukov decide che è giunto il momento per un’offensiva finale, mettendo in campo tre divisioni di fanteria, due corazzate, più 5 brigate corazzate, due motorizzate equipaggiate di autoblindo, e due divisioni di cavalleria mongola, per un totale di 498 carri armati, con l’appoggio aereo di 250 tra bombardieri e caccia.
I giapponesi possono schierare solo due divisioni corazzate leggere e una divisione di fanteria ma, quello che più preoccupa i Comandi nipponici, è la totale mancanza di informazioni circa il piano d’attacco di Zhukov.
Il 20 agosto i sovietici, con tre divisioni di fanteria, una brigata corazzata e vari reparti di artiglieria, attraversano il fiume riuscendo ad accerchiare la 23ᵃ Divisione giapponese a Nomonhan. Nonostante vari tentativi, i soldati nipponici non riescono a rompere l’accerchiamento e, a causa la loro tradizione guerriera, rifiutano la resa. Vengono quindi sottoposti a massicci bombardamenti di artiglieria e da parte dell’aviazione. Le operazioni terminano il 27 agosto e le trattative per il cessate il fuoco si trascinano fino al 15 settembre.
Tokyo è costretta a riconoscere il confine con il Manciuquo tracciato dalla parte russo-mongola e, il 13 aprile 1941, firma un patto di neutralità con Mosca. Patto che permetterà a Stalin, otto mesi dopo, di spostare le divisioni siberiane per difendere la capitale sovietica dall’attacco tedesco, evitando così quasi sicuramente la capitolazione.
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