Che fine hanno fatto i gerarchi nazisti scampati al processo di Norimberga? La si potrebbe annoverare tra le domande che suscitano, a distanza di ben 74 anni, ancora una enorme interesse. Sarà perché non ci si arrende all’idea che qualcuno degli artefici dell’Olocausto possa essere sfuggito al processo di Norimberga, o sarà perché in fondo confidiamo sempre sul fatto che la giustizia possa trovare spazio anche su questa terra, le notizie, più o meno fantasiose, riconducibili al destino dei criminali nazisti, riscuotono sempre una grande popolarità. Periodicamente spuntano articoli e trasmissioni radiotelevisive con testimonianze o documenti, più o meno verosimili, sui nazisti in fuga dalla Germania al termine del secondo conflitto mondiale. Si ipotizzano quasi sempre dimore in paesi lontani e politicamente ospitali, o contesti geografici in cui l’anonimato è reso più facile e sicuro.
In questo caso il personaggio in questione è il famigerato Martin Bormann, segretario personale di Hitler nonché capo indiscusso del partito nazista, ufficialmente ricercato “vivo o morto” dagli Alleati nell’immediato Dopoguerra. Secondo una recente dichiarazione1 rilasciata da Ian Bell, ex ufficiale dell’esercito britannico durante la guerra, Bormann sarebbe fuggito in Argentina nel 1947, imbarcandosi su una nave nel porto di Bari. A supporto di tale tesi, egli cita anche un libro scritto da due inglesi, Simon Dunstan e Gerrard Williams, dal titolo “Grey Wolf: The Escape of Adolf Hitler”, i cui si sostiene, peraltro, la tesi che il Führer non sia morto suicida nel bunker di Berlino.
Le tesi sull’epilogo di Martin Bromann sono molteplici. Una di queste è quella che sostiene che il braccio destro di Hitler sia morto durante i combattimenti a Berlino il 2 maggio 1945, con riferimento al ritrovamento dei suoi resti, nel 1972, avvenuta nel corso di alcuni scavi vicino alla stazione ferroviaria della città di Lehrter. A tal proposito è importante sottolineare che sulla reale ubicazione del corpo di Bormann sorsero notevoli dubbi, dato che la tipologia di terra che ricopriva le ossa risultò completamente diversa da quella in cui erano stati ritrovati i resti.
Anche sulla testimonianza di Bell aleggiano forti dubbi. Il primo è da collegare ad un presunto ordine che avrebbe ricevuto da suoi superiori che, consapevoli della sua presenza in Italia, gli avrebbero imposto di non bloccare il gerarca nazista quando stava per imbarcarsi. Il secondo risiede nel supposto coinvolgimento del Vaticano nell’operazione della fuga di Bormann, e il infine il terzo, forse il più emblematico, riconducibile alle incomprensibili motivazioni che avrebbero spinto gli Alleati a far scappare uno degli uomini più ricercati del Terzo Reich. Anche lo studioso e scrittore Pasquale Martino, in una disamina dell’operazione “Ratline”, ossia il sistema di percorsi di fuga dall’Europa dei criminali nazisti, considera la storia della fuga da Bari poco sensata.
La verità, a questo punto, sembrerebbe essere ben diversa. In un documento “declassificato” della Central Intelligence Agency (CIA), datato 12 settembre 1971, si fa riferimento ad un articolo pubblicato su un quotidiano dell’epoca in cui l’ex generale della Wehrmacht, Reinhard Gehlen (foto), uno dei più autorevoli esperti di intelligence a livello mondiale, nonché capo dei servizi segreti tedeschi sul fronte orientale durante la Seconda Guerra Mondiale, afferma, con assoluta sicurezza, che Bormann fuggì a Mosca all’inizio del maggio del ’45. Ma chi era Gehlen? E quanto può essere attendibile la sua testimonianza?
Al termine del conflitto egli fu reclutato dall’esercito USA, il quale ben consapevole del livello di esperienza accumulata dall’alto ufficiale tedesco nel campo dello spionaggio e del controspionaggio e soprattutto della mole di informazioni accumulate dalla sua organizzazione nel corso degli anni, pensò di utilizzarlo per fronteggiare il crescente “pericolo rosso” proveniente dai paesi dell’Est. Gehlen riuscì a costruire una delle più efficienti reti di spionaggio e controspionaggio dell’epoca, meglio conosciuta a livello mondiale con il nome di “Organizzazione Gehlen”, con il compito primario di organizzare e gestire le attività di spionaggio e controspionaggio dirette contro l’Unione Sovietica. Fu a capo dei servizi di informazione della Germania Ovest fino alla fine degli anni sessanta, dando vita, come suo ultimo contributo al termine di oltre 26 anni di attività nello spionaggio, alla nascita del Bundesnachrichtendienst (BND), l’attuale servizio informazioni federale della Repubblica Federale Tedesca.
Il capo dell’Organizzazione Gehlen nel suo libro di memorie asserisce: “Fu solo nel 1946, quando mi ritrovai a capo della mia organizzazione di servizio segreto, che ebbi la possibilità di indagare sulla misteriosa fuga di Bormann dal bunker di Hitler a Berlino, e sulla sua successiva scomparsa. Qualche tempo dopo ricevetti prove inconfutabili sui suoi movimenti dopo la fine della guerra. Negli anni ’50 agenti che operavano al di là della Cortina di ferro mi fecero pervenire due rapporti diversi dai quali risultava che Bormann era stato un agente sovietico, che dopo la guerra aveva vissuto nell’Unione Sovietica perfettamente mimetizzato da consigliere del governo di Mosca e che nel frattempo era morto. La posizione di questi informatori, che sono tuttora vivi, mi impedisce di diffondermi in altri particolari.”
Anche il giornalista e scrittore Louis Kilzer, sostiene la stessa tesi. Vincitore di ben due premi Pulitzer, Kilzer, nel suo libro “Hitler’s Traitor” (2000), asserisce che in base ad approfondite analisi condotte su una fitta corrispondenza intercorsa tra una spia all’interno dell’establishment nazista e Mosca, sia arrivato ad una inequivocabile conclusione: solo Martin Bormann poteva avere accesso ai documenti cui facevano riferimento i messaggi trasmessi ai sovietici, pertanto era lui la spia, meglio conosciuta con il nome di “Werther”, che si annidava all’interno dello strettissimo entourage di Adolf Hitler. Kilzer, in un passaggio del suo libro, asserisce che “Bormann era stato utile alla Russia come cinquanta divisioni dell’Armata Rossa”. La spia Werther fornì ai sovietici informazioni preziosissime e quasi immediate sui piani militari tedeschi, alle volte ancor prima che gli stessi comandanti delle armate ne fossero entrati in possesso. Un elemento che conferma il fatto che la spia apparteneva alla cerchia ristretta di Hitler.
Altrettanto singolare fu l’affermazione di Albert Speer (foto), architetto personale di Hitler e Ministro per gli Armamenti del Reich, dalla cella in cui era rinchiuso: Bormann avrebbe dovuto essere dichiarato “eroe dell’Unione Sovietica”2.
Kilzer, inoltre, sostiene che Bormann avrebbe avuto un ruolo rilevante all’interno dell’organizzazione “Red Orchestra”, una rete di spionaggio composta da tre gruppi distinti di tedeschi cui facevano parte militari, politici ed esponenti della cultura che operavano contro il regime nazista. Il termine fu coniato dal Reichssicherheitshauptamt (RSHA), il reparto delle SS dedicato al controspionaggio, che definì “pianisti” i radio-operatori che, da molteplici stazioni radio, trasmettevano agli Alleati tutte le informazioni cui venivano in possesso. Lo Schulze-Boysen/Harnack di Berlino era uno dei gruppi e faceva capo ad un ufficiale che apparteneva ai vertici della Luftwaffe, Harro Schulze-Boysen. Altri componenti del gruppo erano la moglie di Harro, Libertas, un avvocato di nome Arvid Harnack e la moglie Mildred e alcuni altri collaboratori fidati. Shulze-Boysen, da sempre ostile al regime nazista, si arruolo nell’aviazione tedesca soprattutto per crearsi una “copertura” che gli potesse consentire di agire in funzione anti-nazista in maniera indisturbata. Nel 1937 si iscrive anche al Nationalsozialistische Deautsche Arbeiterpartei (NSDAP), il partito nazionalsocialista tedesco, per rafforzare la sua immagine di fedele servitore della Patria. All’interno del partito già dominava incontrastato colui che sarebbe diventato il futuro segretario: Martin Bormann. È molto probabile che proprio all’interno del partito sia nato un rapporto tra Schulze-Boysen e Bormann, sviluppandosi successivamente in una collaborazione finalizzata alla conduzione di attività spionistiche per conto di Mosca.
Naturalmente non è dato sapere quanto abbia potuto influire l’aspetto ideologico/politico sui due personaggi, ma resta il fatto che entrambi erano fermamente convinti che l’attivazione di un canale di comunicazione/informazione con i sovietici si sarebbe rivelato molto proficuo in futuro. A rafforzare la tesi dell’intesa Shulze-Boysen/Bormann, è un documento declassificato dalla CIA nel 20013, ove sono stati evidenziati alcuni passaggi di una pubblicazione dello studioso, Charles Wighton, noto per la meticolosità delle sue ricerche condotte sul nazismo. Nel documento dal titolo “The World’s Greatest Spies”, è possibile desumere, in maniera chiara, l’esistenza di collegamenti tra Shulze-Boysen, Bormann e il GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe, attivo in attivo in Germania sin dal 1939.
Tornando alle affermazioni di Gehlen, l’ipotesi del tradimento di Bormann appare quindi verosimile, soprattutto se consideriamo che il generale tedesco rilascia questa dichiarazione il 15 dicembre 1971 e nell’ottobre del 1972 vengono rinvenuti i resti di uno scheletro che, in funzione dell’analisi del DNA con un suo stretto parente, risulterà poi appartenere effettivamente al segretario del partito nazista. In funzione di ciò, non risulta così inverosimile l’ipotesi che i resti del gerarca nazista siano stati spostati da un luogo diverso (Russia?) e riportati successivamente in Germania onde poter consolidare la versione che voleva Bormann ucciso a Berlino nel ‘45. Significativa risulta essere anche la considerazione che avevano del segretario del partito nazista diversi generali tedeschi, indicandolo come il migliore alleato di Stalin in funzione delle scelte tattiche e strategiche, completamente errate, che suggeriva ad Hitler.
Dal canto loro, i sovietici sarebbero stati ben contenti di accogliere uno dei massimi esponenti della ristretta cerchia di Hitler, soprattutto per la mole di informazioni che deteneva e dei carteggi segreti che Bormann avrebbe portato in dono. Il temibile segretario di Hitler nutriva una particolare passione per il gioco degli scacchi, un interesse che certamente avrà contribuito a sviluppare la sua scaltrezza, audacia e furbizia e imparagonabile opportunismo, peculiarità che lo aiutarono a scalare i vertici del Terzo Reich, diventando il più fidato consigliere di Hitler. Egli aveva certamente ben compreso, da tempo, la follia dei progetti del Führer e l’impossibilità di vincere un conflitto bellico di così ampia portata. Di conseguenza, in virtù della sua spiccata avvedutezza, è molto probabile che abbia gestito, per anni, relazioni con chi sentiva, peraltro, più vicino alle sue idee di fervente antisemita e convito ateo.
Anche a distanza di decenni, il caso Bormann può riservare ancora molte sorprese, magari con l’aiuto di qualcuno che sia intenzionato a rendere pubblico qualche logoro e polveroso faldone di documenti abbandonato in qualche vecchio archivio….
I latini asserivano: ”Aliquam elit tempus dicendarum reservat”. Rimaniamo in attesa…
1 https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1049951/ex-spia-ingles...
2 John Hughes-Wilson, On Intelligence: The History of Espionage and the Secret World, 2016, Hachette UK
3 https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/BORMANN%2C%20MARTIN%20%20%2...
(foto: web)