Nel mondo antico la carriera militare aveva un’importanza maggiore di quella che ha nel nostro tempo, certamente dava luogo ad una maggiore agiatezza; ciò è logico se si pensa che la mancanza di armi potenti accentuava la funzione dell’elemento umano.
Un altro elemento da considerare è l’influenza degli Stati Imperialistici nel considerare la guerra come un ideale che venne degnamente rappresentato nelle figurazioni artistiche e nei racconti tramandati ai posteri.
Esempio lampante di questo concetto furono gli Assiri i cui palazzi brulicavano di rappresentazioni guerresche che celebravano le conquiste, il tutto accompagnato dagli immancabili “annali” che raccontavano a parole le scene ivi descritte; in una di queste il re Asarhad nel 671 A.C. descrisse la conquista dell’Egitto:
“Posi l’assalto a Menfi la residenza del re, e la conquistai con pozzi, gallerie, e scale d’assalto, la distrussi, ne abbattei le mura, la bruciai col fuoco. La moglie del re, le donne del suo palazzo, l’erede, gli altri figli, i possedimenti, i cavalli, il bestiame in quantità immensa portai via come bottino in Assiria. Tutti i nemici deportai dall’Egitto, non lasciandone neppure uno a rendere omaggio. Dovunque in Egitto nominai nuovi re, governatori, funzionari, ispettori marittimi, ufficiali e scribi. Imposi loro il tributo dovutomi come Signore Supremo, tributo annuo e senza interruzioni”.
La violenza di guerra si accompagna ad una crudeltà infinita con pene capitali, condanne ai lavori forzati e riduzione in schiavitù delle donne; i beni venivano solitamente confiscati e distribuiti tra i soldati vittoriosi.
Proprio l’aspetto economico è estremamente interessante, spiega il motivo per cui la carriera militare fosse ambita; dall’Antico Egitto ci arriva la testimonianza diretta di Ahmose, un soldato che partecipò più volte alla spartizione dei proventi di guerra e si arricchì collezionando schiavi, coppe e collane.
Il suo commilitone Nebamon ebbe in dono dal Faraone una casa a due piani con il cortile ombreggiato da palme, greggi, domestici ed un ampio terreno coltivato da schiavi.
I Faraoni evocavano queste benemerenze nelle loro iscrizioni, lo fece anche Ramses II quando abbandonato a Qadesh in tono di rimprovero così si rivolse ai propri uomini:
“Com’è vile il vostro animo o miei cavalieri! Non ho forse riempito il mio cuore di voi? Non c’è uno di voi a cui io non abbia fatto del bene nella mia terra? Non mi comportai forse come un sovrano quando eravate poveri? Vi ho fatto diventare grandi per mio merito, giorno per giorno. Ho immesso il figlio nei beni del padre allontanando il male dalla terra d’Egitto. Vi ho esentato dalle imposte e vi ho dato altro bottino. Ho accontentato chiunque chiedesse un desiderio. Non v’è sovrano che abbia fatto per il proprio esercito quello che la Mia Maestà ha fatto in vostro favore”.
Le condizioni di vita dei militari di queste epoche erano molto peggiori della vita che si svolgeva in città, i guadagni compensavano i sacrifici; è rimasta fino ai giorni nostri una satira di uno scriba egizio che descrive la vita degli uomini di guerra:
“Viene destato ad un’ora del mattino. Gli stanno alle costole come un asino e lo fanno lavorare fino al tramonto. È affamato, il suo corpo è straziato, è un morto mentre ancora vive. Affronta lunghe marce sulle colline, beve ogni tre giorni acqua fetida, con sapore di sale. Il suo corpo è annientato dalla dissenteria, se riesce a scampare è disfatto dalle marce. Che sia in quartiere o che sia in campagna sempre è scontento. Se fugge e va con i disertori, tutta la sua gente viene messa in prigione. Quando muore ai confini del deserto non c’è nessuno che tramandi il suo nome”.
Assistiamo ad una lenta evoluzione delle armi da guerra, i reperti fioccano di rappresentazioni guerresche con spade, lance, scudi ed archi; intorno alla metà del II millennio A.C. vengono introdotti i cavalli ed il carro veloce da guerra ideati dagli ittiti ed adottati da egiziani ed assiri; arieti e catapulte furono i precursori delle armi da fuoco che segnarono un cambiamento profondo nelle tecniche di guerra.
Dopo gli egizi anche i greci illustrarono con dovizia di particolari le storie belliche del proprio popolo, l’Iliade tramanda a noi vicende, usi e costumi dei guerrieri greci; ciò che li contraddistingue è lo schieramento tipico a falange, già in uso tra i sumeri, supportato dai cavalieri e dagli arcieri.
I greci crearono la più imponente flotta marina mai vista fino ad allora ed i difensori di Atene erano mossi da ideali saldissimi che pronunciavano a squarciagola nel tempio di Aglaura:
“Io non disonorerò le armi sacre che porto. Non abbandonerò il mio compagno di combattimento. Lotterò per la difesa dei santuari dello Stato e trasmetterò ai posteri una patria non diminuita, ma più grande e più possente, nella misura delle mie forze e con l’aiuto di tutti. Obbedirò ai magistrati, alle leggi costituite e a quelle che si costituiranno. Se qualcuno volesse rovesciarle, glielo impedirò con ogni mia forza e con l’aiuto di tutti”.
Sono parole molto significative anche se viene generalmente attribuito alla Grecia l’istituzione di truppe mercenarie. Il fenomeno già abbondantemente presente in Israele con Saul e David che fondano piccoli eserciti di ventura, si esplica in Grecia sottoforma di guardie deputate alla protezione personale dei notabili e degli ufficiali.
Soltanto secoli dopo i mercenari si diffonderanno su vasta scala affermando i corpi militari specializzati dove il guadagno sostituisce come stimolo il valore e l’ideale di patria.
Il più grande tributo alle arti antiche della guerra viene dall’Italia; già le civiltà preromane hanno lasciato testimonianze della propria arte bellica che si evince dal ritrovamento di elmi, corazze, scudi, schinieri ma è con Roma che l’organizzazione bellica tocca il suo apice.
Innanzitutto servire l’Impero era considerato un vantaggio ed un privilegio dato che l’arruolamento dava diritto ad uno stipendio base che salì dai 225 denari dei Giulio-Caludi ai 750 di Caracalla; in aggiunta vi erano le distribuzioni straordinarie di denaro per le elezioni degli imperatori, le feste ed ovviamente le vittorie.
Il sistema romano aveva una peculiarità, le somme venivano erogate all’avente diritto al momento del congedo, salvo le piccole spese comuni, in una sorta di antesignano fondo-pensione dei giorni nostri.
Al soldato andava anche un premio speciale di 3.000 denari o l’equivalente in terreni, ma la durezza della vita quotidiana giustificava abbondantemente questi privilegi; rimane a noi lo scritto di Tacito sul comandante Corpulone:
“Tenne tutto l’esercito sotto le tende, sebbene per piantarle occorresse un lavoro di scavo nel terreno che a causa dell’inverno rigido era coperto di ghiaccio. Molti ebbero le membra congelate, alcune sentinelle morirono intirizzite. Un soldato nel portare un fascio di legna ebbe le mani assiderate al punto che rimasero attaccate al carico, lasciando monche le braccia. Il generale, vestito alla leggera e a capo scoperto era sempre presente nelle marce e nei lavori; dava lode ai valorosi, conforto agli infermi, esempio a tutti. Quindi poiché rifiutavano di sopportare il rigore del clima e del servizio, si cercò rimedio nella severità, non condonando la colpa per la prima e la seconda volta, come in altri eserciti, ma punendo subito con la morte chi abbandonava le insegne. Questo rimedio si rivelò efficace”.
Tuttavia la condizione dei soldati romani fu migliore nei periodi di anarchia militare, in corrispondenza delle elezioni dell’imperatore o il riconoscimento della loro illegittimità; in questi periodi i soldati compivano ogni sorta di angheria a coloro i quali veniva imposto di ospitarli.
I mercenari, sconosciuti nel più antico ordinamento romano, fanno la loro comparsa nell’ultima fase contribuendo alla crisi irreversibile dell’Impero minandone le capacità operative in ambito militare; passeranno secoli prima che qualcuno eguagli quelle pagine di storia.
(immagine apertura: Michele Marsan - altre: web)