C’è stato un tempo in cui gli uomini morivano come mosche per malattie oggi curabili. Questo tempo ha cominciato a declinare nemmeno settant’anni fa con l’affermarsi degli antibiotici, poi con gli antivirali e i farmaci antitumorali. Tuttavia, non troppo tempo fa i nostri nonni sono nati e hanno vissuto in un mondo in cui il morbillo aveva una letalità del 30%, la poliomielite poteva uccidere 3.000 persone in un anno negli Stati Uniti e il figlio del presidente americano moriva per una vescica mal curata a un piede.
Insomma, senza farmaci e vaccini in grado di assestare colpi decisivi a batteri e virus, potenti e umili erano tutti in balia di forze ancestrali e imbattibili.
Se andiamo indietro nel tempo, troviamo altre evidenze di questa impotenza dell’uomo in alcune grandi pandemie, delle quali una ci interessa particolarmente perché colpì al cuore l’Impero Romano in uno dei periodi di massimo splendore. Ci riferiamo alla peste che esplose nel 165 durante il regno di Marco Aurelio Antonino e nota come “antonina” o “di Galeno”.
Ne parliamo con Roberto Trizio, padrone del canale Youtube “Il Bar di Roma Antica” e esperto del mondo romano.
Molti conoscono Marco Aurelio. L’imperatore filosofo aveva aggiunto il nome “Antonino” dopo l’adozione da parte di Antonino Pio. Chi era costui?
Fu un imperatore che dovrebbe essere ricordato più spesso. Figlio adottivo di Adriano, fu un grandissimo statista, eccellente amministratore delle finanze e della politica interna all'impero, ottimo nelle relazioni con i popoli oltre i confini e capace di creare una armonia con le élite senatoriali e militari. Con lui Roma conobbe un periodo di prosperità, di pace, di buona amministrazione. Certamente un imperatore illuminato, nonché eccellente tutore di due fratelli, Marco Aurelio e Lucio Vero, che avrebbero regnato insieme dopo di lui.
In che condizioni arrivò a questo passaggio epocale l’Impero Romano? E i regni circostanti?
Siamo ampiamente sotto il periodo dei cosiddetti "Imperatori adottivi". L'imperatore sceglieva e adottava formalmente il suo successore, selezionandolo per meritocrazia. Un periodo di grande stabilità e di una politica piuttosto omogenea.
L'impero arriva all'appuntamento con questa epidemia in ottimo stato, in realtà. I regni circostanti facevano però pensare: le tribù germaniche iniziavano a premere sui confini, soprattutto perché avevano appreso molto dai romani, si erano civilizzate "per contatto" e cominciavano a creare delle coalizioni. Così come il regno dei Parti, che continuava ad essere una spina nel fianco dell'Impero tanto che si arrivò alle campagne partiche di Lucio Vero, che daranno poi il via all'epidemia.
Dal punto di vista microbiologico, che cosa sappiamo del morbo?
Sappiamo che provocava una tosse persistente e cattivo odore, accompagnata da febbre e da diarrea con sanguinamento. Le cronache (prevalentemente di Galeno) parlano della comparsa dopo circa 9 giorni di bubboni, alcuni rosso vivo altri più scuri La mortalità era alta, circa un quarto dei contagiati non ce la faceva, anche se chi sopravviveva, per fortuna, diventava immune.
La comunità scientifica moderna identifica il morbo (in realtà erroneamente chiamato peste) con il vaiolo, che al tempo fu devastante, visto che trovò una popolazione senza alcun tipo di anticorpo e dunque fortemente esposta.
Come avvenne la diffusione in Italia e nel resto dell'impero?
Il punto di contatto con l'impero furono le campagne partiche di Lucio Vero, come concordano praticamente tutte le fonti antiche. Impegnato ad espugnare la città di Seleucia, l'imperatore e i suoi soldati contraggono la malattia che si diffonde con notevole rapidità. L'epidemia infesta l'Oriente e raggiunge l'Italia attraverso i legionari romani che tornano alle loro case.
Un focolaio importante fu quello di Aquileia (oggi in Friuli-Venezia Giulia) che propagò rapidamente il male a Roma e a tutta la penisola. Da lì fu un attimo arrivare nelle Gallie e persino sul confine Germanico settentrionale.
Anche questo, come la Peste Nera e il COVID-19, aveva origini cinesi?
Sì, anche la Peste Antonina partì con molta probabilità sempre dalla Cina. Abbiamo infatti fonti cinesi che ci parlano di una epidemia che si diffuse pochi anni prima del punto di contatto con i romani a Seleucia.
Quali misure furono adottate per ridurre il contagio?
Da un punto di vista tecnico, i romani avevano una medicina avanzata per il loro tempo, ma tendenzialmente ancora molto rudimentale. Usavano un misto di erbe di cui conoscevano le proprietà antisettiche e disinfettanti, anche se poi la gran parte del risultato dipendeva dalla risposta del sistema immunitario del singolo. E la grande fortuna fu che chi si ammalava ma riusciva a guarire rimaneva immune.
C'è da dire che si diffuse una paura tremenda del contagio: si moltiplicarono le più disparate teorie, abbondavano i medici improvvisati e i maghi cui la gente si riferiva, e i cittadini iniziarono a collezionare amuleti e oggetti per cercare di scongiurare il male. Va considerata anche una importante isteria collettiva che sicuramente colpì la popolazione romana.
La soluzione, anche se dolorosissima, fu nel progressivo aumento di sopravvissuti dotati di anticorpi che limitarono automaticamente il contagio. Anche se a costo di milioni di morti.
Quale fu l'impatto sull'esercito romano?
Devastante. I soldati romani vennero letteralmente decimati. La situazione era grave sul confine orientale, da dove tutto partì, ma ancora peggio sul versante settentrionale, dove si stagliava il limes a difesa delle popolazioni germaniche. Lì ci fu una ecatombe tale da minare la capacità di controllo e di resistenza in maniera molto significativa.
Per capirne la gravità, basti pensare che Marco Aurelio dovette accorrere con eserciti di rinforzo che furono realizzati mettendo letteralmente la spada in mano a chiunque fosse minimamente in grado di reggerla. Giovani, appena più che ragazzi, uomini maturi, gladiatori, schiavi. Fu una situazione al limite della disperazione.
Quali conseguenze comportò questa crisi? Quali autori ce l'hanno tramandata?
La conseguenza principale fu demografica, con tutti i possibili effetti negativi. Anzitutto una contrazione della capacità produttiva di cibo, che iniziò a scarseggiare e quello che rimaneva a costare parecchio. Stesso discorso per la produzione di oggetti, utensili e beni di prima necessità. La popolazione ne fu stremata.
Per l'impero non andava meglio. Avere meno cittadini significa meno contribuenti per le tasse, e dunque un poderoso ammanco fiscale, a fronte di spese militari che invece rimanevano invariate, anzi, aumentavano per via della necessità di sostituire i soldati.
L'impero si riprese, certo, con due metodi: importare, a volte con la forza, nuove tribù germaniche per rimpiazzare i morti, e il riutilizzo di schiavi in posizioni produttive e di lavoro. Ma la traccia di quella pestilenza rimase per sempre nella società, a livello psicologico sicuramente, ma soprattutto a livello produttivo.
L'autore principale è il medico Galeno, che visse proprio in contemporanea dell'epidemia e ne osservò direttamente i sintomi, mentre dal punto di vista storiografico ce ne parla Dione Cassio, oltre ad accenni dello stesso Marco Aurelio, nei suoi "Pensieri".
Immagine: Michele Marsan