Primavera del 1918, le sorti della guerra italiana sono in bilico. Dopo due anni di attacchi frontali gli austriaci hanno chiamato in aiuto i tedeschi: sono seguiti, nell’ordine, la sconfitta di Caporetto e i successi difensivi italiani del Piave e del Monte Grappa. Ora la situazione è di stallo.
Il 1º marzo 1918 il giovane Ammiraglio Horthy ha assunto il comando della Imperial-Regia Marina austro-ungarica.
Il capo di stato maggiore della nostra Marina, ammiraglio Paolo Thaon di Revel, conoscendo la mentalità e i precedenti dell’avversario, segue tale nomina con grande interesse, giudicando come probabile e imminente un cambio di atteggiamento e prevedendo che alla usuale prudenza del nemico seguirà probabilmente un colpo di testa. Il motivo è chiaro: Vienna è alla fame, peggio ancora di Berlino. La Russia si è arresa, ma non c’è modo di portare il suo grano e il suo petrolio oltre il Danubio, a causa del controllo del Mediterraneo esercitato dall’Italia e dai suoi alleati. Quanto al morale dei marinai asburgici è sotto i tacchi.
Gli austriaci pianificano così una spettacolare incursione contro il dispositivo mobile di sbarramento del canale d’Otranto, messo in atto dalla Marina italiana con la collaborazione degli anglo-francesi sin dall’inizio della guerra. Gli asburgici prevedono di poter sorprendere gli italiani, ottenendo un successo da rivendere, nella propaganda, come una seconda Lissa. Siamo alla vigilia dell’offensiva sul Piave, e nell’intento del nemico una sconfitta navale italiana avrebbe avuto pesanti conseguenze morali sullo spirito di resistenza dell’intero Paese.
Nella prospettiva di un’azione nemica, l’ammiraglio Thaon di Revel emana un sintetico dispaccio, preavvisando i comandi della Marina che la linea di condotta degli austro-ungarici potrebbe essere tale da esporre “…a delle imprudenze delle quali dobbiamo essere pronti ad approfittare… si approfitterà di ogni mossa nemica per attaccare coi sommergibili, cacciatorpediniere, torpediniere e M.A.S.”
La sera del 9 giugno 1918, il capitano di corvetta Luigi Rizzo, già affondatore, a dicembre, della corazzata austriaca Wien, riceve l’ordine di uscire in mare con una sezione di MAS, il 15 e il 21. Si tratta del “solito incarico: esplorazione, agguato e ricerca mine”. Mentre le piccole unità italiane muovono verso la zona di pattugliamento, a loro insaputa la flotta imperiale è uscita in forze dal porto di Pola, dirigendo verso sud. Si tratta di ben 45 unità, tra le quali tutte le navi da battaglia disponibili.
Il 10 giugno 1918, i MAS 15 e 21 sono al largo della piccola isola dalmata di Premuda. Alle ore 3.15 del mattino gli italiani avvistano “…una grande nuvola di fumo nero all’orizzonte”. Non riuscendo ancora a distinguere il tipo di navi, ed escludendo che si possa trattare di unità italiane, il capitano di corvetta Rizzo suppone legittimamente che si tratti di cacciatorpediniere avversari in esplorazione. Senza esitazione, il comandante italiano ordina di prevenire la minaccia avvicinandosi di nascosto alle navi avversarie, per attaccarle di sorpresa e aprirsi la strada del ritorno combattendo.
Albeggia, la poca luce a favore dei MAS, quando Rizzo segnala al guardiamarina Aonzo, comandante dell’altra unità, diprepararsi per l’attacco. Le due piccole siluranti avanzano lentamente, muovendo contro quelle che ritengono un gruppo di torpediniere in esplorazione quando, accorciando le distanze, si avvedono di trovarsi al cospetto della squadra navale da battaglia austriaca.
Il mare è calmo - bonaccia perfetta - la visibilità limitata da una leggera foschia: una situazione irripetibile, una “preda” irrinunciabile per l’Asso dei MAS col gusto della caccia, che senza esitare e con lucida consapevolezza dell’evidente sproporzione delle forze in campo, sfida comunque le due corazzate scortate da dieci unità che le proteggono da tutti i lati. Poche parole a bassa voce (all’alba ogni suono corre lontano) tra le due unità, e i motori aumentano, lentamente, il numero dei giri. Niente “baffi” di prora. I motori a scoppio agguantano senza problemi. Gli italiani passano così tra due torpediniere di scorta senza essere visti, merito di una buona cinematica e di grande perizia marinaresca. Siamo nel cerchio di lancio. Fuori! I siluri scendono in acqua, l’angolo è perfetto, da manuale. La distanza stimata di circa 300 metri. Ore 03.31, “Siluri a segno, bersaglio colpito!”. Come riferirà il comandante della Tegetthoff: “Si osservò sulla dritta della Szent Istvan un lampo di luce accompagnato dal tuono di un’esplosione”. Il MAS 15 di Rizzo ha centrato la nave da battaglia Szent Istvan, mentre il MAS 21 lancia le sue torpedini verso la Tegetthoff, che si salverà solo per un difetto di funzionamento della spoletta di un siluro, che la colpisce senza esplodere.
Rapida accostata e rotta di allontanamento! Adesso però i due MAS sono inseguiti da un caccia che spara su di loro, sorprendentemente Rizzo usa l’unica arma ancora a disposizione sul suo MAS 15 per far desistere l’unità nemica dall’inseguimento, ossia una bomba antisommergibile che esplodendo a proravia del caccia fa sì che questi rinunci invertendo la rotta.
Mentre la Szent Istvan, agonizzante, affonda, i MAS 15 e 21 vittoriosi rientrano nel porto di Ancona. Il Semaforo di Monte Cappuccini, appena avvistati, viste le grandi bandiere issate sui MAS intuì la vittoria e ne diede notizia al Comando Marina di Ancona con il famoso telegramma, vibrante di entusiasmo: “Miglia 15 N–NE, due motoscafi scarichi di siluri ma carichi di onore e gloria dirigono in porto”.
L’azione di Premuda, per le sue conseguenze militari e politiche, equivale ad una grande battaglia vinta, che cambia definitivamente il corso della Prima Guerra Mondiale a favore dell’Italia e dà grande prestigio alla Marina che, dal 1939 in poi, in ricordo di quell’evento, celebra la sua Giornata il 10 giugno. A riconoscimento dell’eroismo dimostrato in azione, il comandante Luigi Rizzo “di Premuda” viene proposto per una seconda medaglia d’oro al valor militare, dopo quella già tributata per l’affondamento della corazzata Wien. È un fatto senza precedenti. Oltretutto, fanno notare a corte, quell’Ufficiale è di sentimenti repubblicani. “Lo è anche il compositore Mario, il quale ha scritto la canzone del Piave. Buoni patrioti”, replicherà Vittorio Emanuele III firmando, serenamente, il decreto.