"Venticinque anni dopo diamo il nostro tributo alle migliaia di vittime che furono brutalmente uccise e promettiamo di non dimenticarle mai. Condividiamo il dolore delle famiglie, anche di quelle cui neppure i resti dei loro cari sono stati ancora ritrovati e riaffermiamo la nostra solidarietà ai sopravvissuti”.
Voglio aprire questo pezzo citando uno stralcio del videomessaggio, per il venticinquesimo anniversario del massacro di Srebrenica, del segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres. Quest’anno, in piena pandemia che proprio in questi giorni sta avendo il suo massimo picco nei balcanici, ricorre il venticinquesimo anniversario dai fatti di Srebrenica. Anche in piena pandemia non dobbiamo e non possiamo non ricordare cosa accadde venticinque anni fa. Tra il 6 e il 22 luglio del 1995 ebbe inizi una delle più grandi operazioni di pulizia etnica dopo la seconda guerra mondiale.
Ripercorriamo i fatti. Alla morte di Tito la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia vede il proliferare al suo interno di movimenti indipendentisti. Nel 1991 le prime due repubbliche a dichiararsi indipendenti furono la Slovenia e la Croazia, che dovettero affrontare un conflitto armato con l’esercito Jugoslavo, al termine del quale venne sancita l’indipendenza. Ma la pace nella penisola durerà ben poco, il 3 marzo 1992 il presidente Alija Izetbegović dichiara l’indipendenza della Bosnia Erzegovina che viene riconosciuta da USA E UE. A questo punto iniziano le ostilità con i Serbi e i Croati che si alleano per fronteggiare il comune nemico mussulmano. Protagonista politico del conflitto sarà il presidente Slobodan Milošević. Per Milošević sarà una guerra di difesa dei confini della Jugoslavia ereditata da Tito, e della stessa etnia serba minacciata dalle altre etnie.
La comunità internazionale in risposta al conflitto emanò la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 743 del 21 febbraio 1992, che istituì una forza militare multinazionale di peacekeeping – UNPROFOR, con il mandato di creare le condizioni di pace e sicurezza necessarie per raggiungere una soluzione complessiva della crisi jugoslava. UNPROFOR è stata attiva dal febbraio 1992 fino a marzo 1995 quando venne mutata in altra tipologia di forza. Oltre al mandato principale ad UNPROFOR nel corso del conflitto vennero dati ulteriori mandati tra cui: la protezione dell'aeroporto di Sarajevo dal giugno 1992 (Risoluzione 758); da settembre 1992 protezione per gli aiuti umanitari nell'intera Bosnia Erzegovina; e protezione dei rifugiati civili quando richiesto dall'ICRC (Risoluzione 770); inoltre gli fu affidato il mandati di monitorare le "zone di sicurezza" designate dal Consiglio di Sicurezza ONU di Bihać, Sarajevo, Goražde, Žepa, Srebrenica e Tuzla. Per quest’ultimo mandato UNPROFOR era autorizzata anche a ricorrere all’uso della forza, per garantire la protezione delle pink zones coordinandosi con le forze aeree NATO.
La maggior parte dei conflitti balcanici sono stati caratterizzato da numerose operazioni di pulizia etnica, ma quello perpetrato con meticolosità e su larga scala è senza dubbio quello di Srebrenica e Žepa.
La mattanza di Srebrenica fu pianificata e perpetrata dall’esercito della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, con la colpa per omissione d’intervento da parte delle truppe ONU dei Paesi Bassi, di stanza in loco. L’operazione si svolse presso la cittadina di Srebrenica e nelle zone limitrofe, a danno di circa 8000 musulmani bosgnacchi tutti di sesso maschile. Questo accadde nonostante la zona era stata già posta sotto la tutela dell’ONU che vi istituì una pink zone, sotto tutela del contingente Danese della missione UNPROFOR.
A condurre le operazioni fu il generale Ratko Mladić, a capo di reparti dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, con l’appoggio dei gruppi paramilitare denominati le tigri di Arkan comandati da Željko Ražnatović e gli scorpioni.
Gli scorpioni furono una unità molto controversa, all’inizio del conflitto erano un gruppo paramilitare, in seguito confluirà come forza speciale di polizia serba. Il gruppo fu fondato nel 1991 da Jovica Stanišić gia capo dei servizi di sicurezza serbi, a capo dell’unita vi mise due fratelli, Slobodan e Aleksandar Medić che le diedero il nome ispirandosi alla loro arma preferita. Gli scorpioni furono attivi dal 1991 al 1999 e furono impiegati nella battaglia di Vukovar (Croazia), nell’assedio di Srebrenica (Bosnia) e nel massacro di Podujevo (Kosovo).
Al processo presso la Corte Penale per ex Jugoslavia, Medić chiamato a deporre su fatti che vedevano coinvolto uno dei suoi ex camerati, avrebbe detto che l'unità fu formata inizialmente per assicurare la sicurezza dei campi petroliferi della Slavonia orientale. Aveva aggiunto che nel 1996 essa era diventata una unità di riserva della SAJ, l'unità speciale antiterrorismo del Servizio di Pubblica Sicurezza serbo. Queste dichiarazioni rafforzano la tesi che in realtà i paramilitari erano comandati e coordinati dalla catena di comando di Milošević. In seguito al massacro di Srebrenica non vi furono particolari operazioni di risposta da parte delle forze ONU, che più tardi spinsero la NATO all'abbandono della doppia organizzazione.
Durante i fatti di Srebrenica i 600 caschi blu dell'ONU e le tre compagnie olandesi Dutchbat non intervennero. Dalle posizioni ufficiale emerge che le truppe ONU fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladić. All’avvicinarsi delle truppe serbe all'enclave di Srebrenica, il colonnello olandese Karremans diede l'allarme e chiese un intervento aereo di supporto il 6, l'8 e l’11 luglio 1995. Le prime due volte il generale olandese Nicolaï, rifiutò di inoltrare la domanda al generale francese Janvier nel quartier generale dell'ONU a Zagabria perché le richieste non erano conformi alle procedure di richiesta di intervento aereo, in quanto non si trattava ancora di veri e propri atti di guerra.
L'11 luglio i carri armati serbi penetrano nella città, a Nicolaï arriva la prima domanda di intervento aereo di Karremans che inoltra a Janvier, il quale rifiuta. La seconda richiesta dell'11 luglio fu accolta, ma gli F16 già in volo, da ore in attesa della luce verde per l’attacco, rientrarono per rifornirsi nelle basi in Italia. In questo lasso di tempo le milizie serbe prendono il controllo dell'enclave e minacciando armata mano i caschi blu ottengono l’annullamento dell'attacco aereo. Nel frattempo parte della popolazione e dei soldati olandesi fuggirono per rifugiarsi nella base militare dell'ONU di Potocari. Per la soverchiante superiorità militare di Mladić, i caschi blu sono costretti a collaborare nella separazione di uomini e donne per provare a tenere la situazione sotto controllo, ma questo non avverrà.
Al ritorno a casa i caschi blu olandesi saranno pesantemente criticati da parte dei media. A seguito dei fatti che coinvolse il contingente olandese, il governo nel 1996 ordinò un'inchiesta per stabilire se vi fossero responsabilità dei propri militari, la stessa si concluse nell’aprile 2002, provocando una valanga di dimissioni sia dei vertici governativi che militari.
Il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY), istituito presso le Nazioni Unite, per i fatti di Srebrenica ha incriminato per genicidio 21 persone, giudicando colpevole la gran parte. Per quanto riguarda il coinvolgimento e la complicità del governo Serbo nel genocidio non risulta dagli atti processuali, in quanto non vi sono prove né di ordini inviati esplicitamente da Belgrado, né dell'intenzione di commettere atto di genocidio che fosse stata sottoposta alle autorità di Belgrado, nonostante il riconoscimento che Karadžić e Mladić dipendessero da Belgrado. Ulteriore processo sui fatti di Srebrenica si aprì il 21 agosto 2006 presso la Corte Penale Internazionale all’Aja, ma il processo inizia senza gli imputati principali ovvero Radovan Karadzic e Ratko Mladic, i due leader politico e militare serbo bosniaci, considerati gli ideatori dell'eccidio di Srebrenica.
A guerra finita il processo di identificazione dei cadaveri sepolti in fosse comuni in tutta l’area si è rivelato un’operazione assai complessa. A Tuzla opera il Podrinje Identification Project, legato al Missing Persons Institute per la Bosnia Erzegovina, che dal 1996 ad oggi è impegnato nella difficile opera di individuazione delle fosse comuni, soprattutto di quelle secondarie. Gli antropologi foresi per effettuare l’identificazione hanno dovuto procedere e procedono ancora, alla profilazione del DNA.
La Commissione internazionale per le persone scomparse (ICMP) è riuscita a identificare dal 1995 in poi 6598 resti umani, comparando il DNA prelevato dai resti ossei con il DNA di campioni di sangue donati da parenti dei dispersi. Tali studi forensi portano l'ICMP a credere che una stima veritiera delle persone trucidate possa essere di circa 8.100.
Alla luce degli avvenimenti esposti si può solo rimanere atterriti del massacro perpetrato in epoca moderna nel cuore dell’Europa. Ulteriore doverosa riflessione è sulla gestione delle operazioni di caschi blu sotto l’egida ONU. Srebrenica ha fatto sicuramente scuola per quanto riguarda la gestione operativa delle forze sul campo, modificando le best practices dei peacekeeper. Sicuramente i comandanti a vario livello impiegati in questo tipo di operazione dovranno tener conto di quanto avvenuto nei Balcani.
Ogni scenario operativo nasconde criticità a sé stanti, e per questo la catena di comando ad ogni livello dovrà fare un’attenta valutazione dei rischi in essere, ma soprattutto del rischio evolutivo dello scenario ove i contingenti operano, in modo da non ripetere mai più gli errori del passato.
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