È trascorso un mese da quando i vertici politici sarebbero stati spodestati da una nuova classe politica che, al grido di “rivoluzione”, avrebbe dovuto metter fine a lustri di decadenza e sudditanza per l'Italia.
Il cambio istituzionale è oramai quasi completo. Cosa manca? Siamo in attesa dei fatti, dicono in molti.
L'ostacolo maggiore? Le strutture “diligenti” della precedente classe politica rimaste intatte. Una “terra di mezzo” che sopravvive storicamente ad ogni cambiamento di facciata.
Un esempio? Il flop libico del ministro dell'interno della scorsa settimana. Poteva essere evitato? Certamente.
Chi “supporta” le decisioni dell'esecutivo? Una sintesi di intellighenzie (diplomatiche, cattedratiche e...) che ha clamorosamente fallito negli anni precedenti. Sarà il caso di intervenire?
Se lo scotto lo scontasse solo la politica alle elezioni potremmo anche rispondere “meglio, chissenefrega!”, ma lo paga l'Italia. Non si può stare a guardare in silenzio.
La Difesa italiana per anni è stata finalizzata alla propaganda politica. Questa non è un'opinione personale, è la realtà testimoniata da quasi tutti i militari.
Uno sfruttamento vergognoso assecondato da anni di “mutismo e rassegnazione” (di comodo, non di certo eredità della naja...).
Ha almeno pagato? Tutt'altro! I presunti “beneficiari” sono stati spazzati via. Perfino quelli che avevano i loro “feudi”, i cosiddetti “collegi blindati”...
Perché è accaduto? Da giornalista ingenuo ritengo semplicemente perché non si è rispettata la Verità. Si è millantata una volontà di diffondere una “cultura militare” e poi si è censurato tutto.
Il vertice attuale, il ministro della Difesa Trenta, potrebbe sbloccare il quasi azzeramento della libera informazione a partire dai teatri operativi?
I reporter sono necessari sia per informare il popolo, sia per mostrare come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Giornalisti specializzati possono rilevare dettagli, talvolta vitali, che sono sfuggiti, magari per assuefazione, ai militari che stanziano da mesi in loco e fornire analisi o comunque contributi importanti.
Lo sblocco sarebbe dunque auspicabile, ma a cosa servirebbe interrompere un trend che ha visto i giornalisti embedded passare dai 261 del 2006 ai 46 del 2016 se poi nemmeno un capo di stato maggiore di una forza armata è libero di rispondere ad una domanda senza il preventivo controllo e benestare – politico – del ministero.
Sulla Comunicazione in generale c'è da fare un enorme lavoro. Per cominciare smetterla di fare distinzione fra stampa “benevola” e “nemica” bensì, al limite, fra stampa specializzata e generalista. Non per cattiveria, ma per onestà nei confronti del pubblico. Questo per non parlare della comprensione della differenza fra “informazione” e “propaganda”.
Un giornalista è l'interfaccia con i cittadini, “i nostri datori di lavoro” per usare termini cari ai 5 Stelle.
Esiste poi un aspetto “particolare” del mondo militare nazionale: se ai tempi di Napoleone “ogni soldato francese portava nella sua giberna il bastone di maresciallo (grado superiore a quello di generale, non di sergente maggiore..., nda)” oggi la carriera, salvo sporadiche eccezioni, si fa evitando errori, rimanendo nel grigio, senza “cappelle”.
Siamo eredi di uomini che nella Storia hanno realizzato miracoli in imprese apparentemente impossibili. Oggi però un soldato, un carabiniere o un marinaio che cerca di trovare – IN BUONA FEDE – una soluzione con una decisione coraggiosa rischia solo di veder compromessa la propria carriera. Non parliamo di disciplina o di rispetto di direttive, parliamo di modalità di ricerca dei risultati. Non andrebbe incoraggiata l'iniziativa?
Difesa: fine della censura?
Se una testata chiede un'intervista ad un militare, che sia un soldato o un capo di stato maggiore, un dipendente civile o il ministro, passano anni senza nemmeno una risposta formale. E nel caso venga accordata? Di norma si vuole la lista delle domande, arrivando magari a vedersi concedere l'incontro a patto di “filtrare” argomenti.
Il risultato? Un Paese in cui esistono ancora verità che i militari non devono affrontare.
Caro ministro Trenta è a conoscenza delle disposizioni (interne) della precedente amministrazione? Perché se non è così bisogna fare chiarezza: o si condividono le limitazioni e ci si rassegna ad un mondo di persone pavide che non dico “dovrebbero affrontare un esercito” ma almeno una domanda non preannunciata... oppure si insegna a rispondere in buona fede e magari, come ogni essere umano, a “sbagliare”.
L'alternativa? Veder gridare allo scandalo o indignazioni se un lettore scrive a questo giornale credendo che un passaggio dell'intervento ad un convegno in cui ha partecipato il capo di stato maggiore dell'aeronautica è stato censurato (sarebbero state realizzate due trasmissioni video: una pubblica ed una riservata – più “informale” con le domande del personale – per la rete interna della forza armata, v.lettera). Certi commentatori hanno sottolineato che l'uscita incriminata non dovrebbe mai avvenire, nemmeno per scherzo, da un capo di forza armata. Li rispettiamo ma non condividiamo perché il dramma qui è, ripetiamo, che ai militari non è concesso sbagliare. Non parliamo di sganci di bombe su obiettivi, parliamo del nulla, dell'inevitabile, del terrore suscitato da una battuta infelice.
Per concludere?
Noi di Difesa Online restiamo da anni in attesa della disponibilità/libertà dei capi di stato maggiore per essere intervistati. Siamo certi che di fronte alla politica censoria del precedente esecutivo gli attuali vertici militari si saranno battuti ed avranno ripetutamente presentato le proprie dimissioni (come ha fatto il GENERALE Pierre de Villiers quando il presidente Macron ha annunciato tagli - prima negati - alla Difesa).
Fatto sta che, ancor oggi, in mancanza della sospensione della direttiva (interna) per cui per aprire bocca di fronte ad un giornalista anche il capo di 40.000 uomini deve avere il permesso (politico) del gabinetto del ministro della Difesa, l'atmosfera sembra immutata.
I nostri De Villiers, per “punizione”, sono stati prorogati di un anno (leggi), probabilmente certi che la “blindatura” (dove avevo già sentito questo termine...) del posto di capo di stato maggiore della Difesa sarà ineludibile per il nuovo ministro della Difesa fra qualche mese.
Bisogna ancora evitare battute?
Ricordo tre anni addietro quando visitammo l'IDEF, il salone della Difesa di Istanbul... Inaspettati e sorpresi della presenza di giornalisti italiani i dirigenti di Lockheed Martin ci invitarono alla conferenza stampa sull'F35 per i media turchi: l'Italia era portata in palmo di mano! Il collaboratore che era con me, tuttavia, al proprio turno delle domande li mise letteralmente in imbarazzo elencando l'infinito numero di problemi riscontrati dal programma fino ad allora. Il dirigente (dopo aver cambiato colore in volto) rispose che ogni giornalista, essendo una ventina, poteva fare una singola domanda, alle rimanenti avrebbe risposto in seguito.
“Certo, come da noi... Addioooo!!!” - pensai.
Finita la conferenza stampa l'addetta stampa del rappresentante Lockheed Martin venne da me e disse che da lì ad un'ora (era ora di pranzo) avremmo potuto rivolgere qualsiasi quesito al dirigente. Il vertice LM all'ora concordata era puntuale e sorridente ad aspettarci.
Speriamo che la scuola americana nelle relazioni con il pubblico prenda piede anche in Italia: sono, non 10, ma almeno 1000 anni avanti a noi. Almeno in questo ambito.
E le rogne del programma Joint Strike Fighter non sono state portate alla luce su iniziativa dalla stampa. Le hanno evidenziate puntualmente Pentagono ed uffici governativi! Ma in Italia così passeremmo da speranze rivoluzionarie ad oniriche...
(foto: Difesa / web)