Quando il primo ministro britannico Neville Chamberlain ritornò in patria dalla Conferenza di Monaco, nel 1938, dove aveva fatto concessioni assai pericolose all’espansionismo territoriale hitleriano, dichiarò ai propri concittadini di aver ottenuto la pace per la nostra epoca e che ciascuno poteva tornarsene a casa a dormire sonni tranquilli.
Lo storico Paul Fussell, nei suoi studi sulla Prima Guerra Mondiale, sottolinea con ricchezza di particolari come la morte rimanga viva nell’immaginazione scritta. Gli scrittori di guerra non creano ma ricreano, quindi la lettura diventa ricreazione di ciò che è sfuggito alla presa del presente per nascondersi nei recessi dell’anima, di ciò che è rimosso, dimenticato.
Il nome di questa amnesia è "pace", la cui definizione principale è: assenza di guerra. Mentre il vocabolario definisce la pace: libertà da, cessazione di guerre o ostilità; la condizione di una nazione o di una comunità che non è in guerra con un’altra; libertà da conflitti o perturbazioni, specialmente come condizione individuale; tranquillità, serenità.
L’aspetto peggiore della guerra è che si conclude nella pace, ovvero si sottrae alla rimemorazione, una sindrome che il corrispondente di guerra Chris Hedges definisce amnesia collettiva e generalizzata.
Platone asseriva che ciò che la maggior parte degli uomini chiama pace lo è solo di nome.
Anche se gli stati dovessero cessare di combattersi, scriveva Hobbes, non si dovrebbe chiamarla pace, ma piuttosto una pausa di respiro.
Tregua; armistizio; stallo; vittoria: questi termini hanno un significato, un contenuto, mentre la pace è annichilimento.
Se, come asserisce il vocabolario, la pace è assenza di, libertà da, allora è contemporaneamente vuoto e rimozione. Quindi un essere umano si dovrebbe interrogare su come riempire questo vuoto, visto che la natura lo aborra, nonché su come avvenga il ritorno del rimosso, visto che ritorna sempre.
Il vuoto lasciato dalle definizioni della pace, con la rimozione della guerra, riempie la pace di idealizzazioni. Fantasie di riposo, di tranquilla sicurezza, di prospettiva di una vita normale, di pace eterna, pace in terra, la pace dell’amore che trascende l’intelligenza; la pace come stato di benessere.
Ma è la pace dell’ingenuità, dell’ignoranza, mascherata da innocenza. Gli aneliti di pace diventano semplicistici e utopistici, con i loro progetti di amore universale, di disarmo mondiale, di fratellanza tra le nazioni della terra.
Per dissipare tali illusioni, gli scrittori parlano di guerra. Le pagine grondano morte, perché gli scrittori non si danno pace, non tacciono, non fingono di non sapere. I libri di guerra danno voce ai morti, silenziati da quella grave sindrome della psiche collettiva che è la pace.
Non solo la parola pace si traduce troppo rapidamente come sicurezza, ma è una sicurezza acquisita al prezzo delle libertà civili. anche qualcosa di più sinistro viene giustificato con la pace, qualcosa che de Tocqueville definì un nuovo tipo di servitù, in cui, un potere immenso e tutelare copre la superficie (della società) con una rete di piccole regole complicate, minuziose e uniformi, attraverso le quali, anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza la volontà, ma la infiacchisce, la piega e le dirige; raramente costringe ad agire; ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore.
Come scriveva Machiavelli né il Principe: debbe adunque uno principe non avere altro obietto né altro pensiero, né prendere cosa alcuna per sua arte, fuora della guerra et ordini e disciplina di essa…Debbe per tanto mai levare el pensiero da questo esercizio della guerra, e nella pace vi si debbe più esercitare che nella guerra.
Altrimenti subentra l’ottundimento psichico, come lo psichiatra Lifton definisce la paralisi della mente e dei sentimenti nella vita quotidiana.
Nella società occidentale, la pace è caratterizzata per un verso dalla calma indotta da un soporifero coccolamento, per l’altro da un frenetico sovraccarico di stimoli.
Il Principe, inteso come nobile metafora del cittadino responsabile, membro impegnato di una comunità, manterrà invece la mente concentrata, non distratta dalle molteplici diversioni della pace, e la psiche libera sia dall’ottundimento sia dall’uso della negazione. Questa lucidità la manterrà meditando, non soltanto per migliorare la propria salute mentale, ma per il bene comune e la difesa della collettività. Quindi il Principe non dovrebbe mai levare el pensiero dalla guerra.
Foto: web / ministero della difesa / presidenza del coniglio dei ministri