Ebbene si, ormai siamo abituati ad assistere alla chiusura delle caserme e forse anche un po' a seppellire la lunga storia dei reparti, un fenomeno che però non cancella i ricordi. È toccato anche a un reparto addestrativo d’eccezione situato nel Lazio, l’80° reggimento fanteria Roma e al suo motto: “Nel nome di Roma”.
Non potevo non dedicare qualche riga alla caserma Lolli Ghetti sita in Cassino in via Vaglie, il primo reparto dell’Esercito che, a 17 anni, preoccupato e smarrito, mi ha visto oltrepassare la carraia per far parte dei volontari a ferma prolungata. I ricordi sono vivissimi così come i sogni e le aspettative di tutti noi volontari dell’88.
La sua storia
Il reparto originariamente si costituì nel 1884 a Roma come reggimento inquadrato nella brigata Roma decorandosi successivamente nel 1920 della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per essersi opposto con audacia al nemico sul Piave. Nel 1939 passò sotto la divisione di fanteria “Pasubio” che lo vide impiegato sul fronte russo fino al ‘43 subendo enormi perdite che gli valsero due Medaglie d’oro al Valor Militare.
Nel ‘58 l’80° fanteria Roma si trasformò da reparto operativo in formativo trasferendosi in Orvieto come reparto addestramento reclute e, dal 1976 si spostò in una delle strutture più moderne della forza armata, a Cassino. Originariamente l’80° battaglione fanteria Roma è stato un battaglione addestramento reclute, poi, negli anni ‘80 sono stati solo i volontari e gli ex agenti di custodia a essere formati nelle due strutture separate da un’enorme e lunga piazza d’Armi. Già dall’88 però, la formazione della caserma era riservata al solo esercito e successivamente, nel settembre ‘92 si ricostituirà passando da battaglione a 80° reggimento fanteria "Roma", una delle conosciute sedi dei RAV.
3° reggimento “Bondone”
Per chi è legato alle tradizioni la notizia della chiusura sarà accolta con una certa tristezza, ma la realtà è un’altra. Abbiamo sempre tenuto sotto osservazione, anche con occhio critico, lo sviluppo fisiologico delle F.A. verso le nuove sfide che abbiamo visto essere rapidissime nell’evolversi. Per questo motivo alla caserma Lolli Ghetti è approdato il 3° reggimento “Bondone”, un’unità specializzata dell’esercito nel settore degli Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR)”, i droni, un passo obbligatorio per implementare l’operatività della Forza Armata. Si è svolta il 15 dicembre scorso alla presenza delle massime autorità cittadine e del gen. c. a. Carlo Lamanna, comandante della formazione, specializzazione e dottrina dell’Esercito, e del gen. b. Roberto Vergori, comandante della Scuola Sottufficiali dell’Esercito a cui dipende l’80°, il passaggio di funzione del reparto di via Vaglie. Nonostante a settembre ci sia stato l’ultimo giuramento dei 420 volontari in ferma iniziale, per il tessuto sociale e commerciale di Cassino non ci saranno ripercussioni è stato assicurato.
Il sindaco Enzo Salera ha commentato al tg24.info: “Siamo davvero felici di questo rilancio da parte dell’Esercito Italiano rispetto al nostro territorio e, grazie a questo lavoro comune fatto in questi anni, ci sarà un ulteriore sviluppo per la nostra città di Cassino. Purtroppo, nei giorni scorsi si era sparsa la notizia che sarebbe stato chiuso l’80° reggimento addestramento volontari 'Roma'. Se fosse successo senza alcun altro tipo di investimento, sarebbe stato un impoverimento della nostra città. Ma sapevamo bene da tempo che non era così, ed oggi è arrivata finalmente l’ufficialità”.
L’esperimento dei VFP
Eravamo tanti giovani che ogni mese si avvicendavano all’80° per inseguire sogni e aspettative in virtù della legge del 24 dicembre 1986 n. 958. E c’ero anch’io nell’aprile dell’88. In quel periodo i “VFP” - volontari in ferma prolungata - erano diventati gli eredi dei “VTO” - i volontari tecnici operatori successori degli ACS– attirati da quello che si dimostrò essere un esperimento dell’esercito, mai confermato, sul volontariato da formare professionalmente al posto della leva. Nelle aule e sul piazzale continuavano a ripetere: siete voi che siete voluti venire oppure voi non sarete considerati come i soldati di leva, ma con più responsabilità. Il risultato per la stragrande maggioranza dei volontari è stato un doccia fredda fatta di proscioglimenti, delusioni e demotivazione. Infatti le strade per entrare nell’Esercito tra fine degli anni ‘80 e primi del ‘90 erano quelle più consone: l’Accademia Militare di Modena, la scuola AS o l’AUC. Dei VFP e del loro trattamento sapevano tutti poco anche ai reparti e convincersi di quello che ci dicevano durante le settimane a Cassino non era certo facile. In ogni caso in pochi reparti i VFP, come mi confermavano alcun colleghi incontrati successivamente, hanno avuto la giusta rilevanza.
Fatto sta che pochi di noi sono passati sergenti e ancor meno sergenti maggiori in Spe, qualcuno è riuscito a transitare nei carabinieri e polizia di Stato, qualcun altro in GdF, ma il grosso dei plotoni ha ultimato la ferma con un profondo senso di ingiustizia. Addirittura le riserve dei posti previsti al congedo era un argomento poco conosciuto. Ricordo l’indignazione di un maresciallo aiutante, referente dei CoCeR che mi diceva: con il contratto di formazione hai la stabilità al termine di uno o due anni, qui ti congedano senza demerito. Insomma la verità era che fra noi e i soldati di leva c’era pochissima differenza.
L’88 all’80°
C’erano un sergente maggiore con i baffoni che urlava molto, ma era una brava persona, e diversi sottotenenti come comandanti di plotone. Il comandante di compagnia, il cap Palmieri era una persona tranquilla così come il comandante di battaglione, t. col Zappullo.
Eravamo formati dai fanti caporali e caporalmaggiori di leva. Solo loro dormivano nelle brande singole e ricordo ancora che sopra di me avevo un allievo di Gorizia e nella branda a fianco Franco - di nome e cognome -, un giovane che abitava a Formia.
Ricordo qualcun altro, ma non i nomi, tranne Salvatore B. un giovane siciliano ma trasferito a Cecina. Aveva un grande senso dell’umorismo e riusciva a strappare una risata anche al più sostenuto sottotenente. Una doccia a settimana era la regola, ma solo con il tempo ho capito che qualche scappatoia forse c’era, ma allora avevo un po' troppo timore di farmi beccare. Non ero ammanicato e… Quindi nei bagni ci lavavamo a pezzi e le porte delle turche erano rigorosamente senza chiave e tipo saloon.
Nell’aria le esclamazioni più diffuse e urlate erano: giovani e comandi!
Ricordo il fotografo che ci vendeva le centinaia di foto in divisa, spesso insieme a dei tenerissimi cuccioli di labrador, le interminabili file allo spaccio per telefonare a casa e il primo servizio armato. Avevamo le classiche 4 gabbie con i 32 proiettili cal 7,62 nelle giberne e il mitico M1 Garand con l’autorizzazione a far fuoco in aria e poi sull’obiettivo se la minaccia avanzava senza farsi riconoscere. Con queste regole d’ingaggio un po' a fatica riuscivamo a unire la realtà della vita militare con le consegne, c’era una certa preoccupazione nel caso avessimo dovuto scarrellare per armare.
Finire in mensa di corvée era quasi una punizione e volontariamente pochi ambivano a quel servizio. Una mattina, un ufficiale disse: “Giovani! C’è un elicottero da spostare nel terreno dietro la caserma, chi è disponibile?” Io come altri alzammo immediatamente la mano destra, per dimostrarci volonterosi ma anche perché la cosa prospettava una certa operatività. Ebbene, finimmo in mensa a pulire i tavoli e a lavare i pavimenti.
Ricordo un volontario della Sardegna che durante l’appello in inquadramento, dove ci si mette sugli attenti e si alza il braccio destro, rispondeva con forte cadenza dialettale: commmandiii. Lascio immaginare le risate trattenute da tutti noi.
Le prime settimane non si poteva uscire dall’80°, probabilmente serviva per toglierci le abitudini civili e farci conoscere tra noi.
Il contrappello di sera prevedeva la scbt (allora la verde oliva), ma a sorpresa qualche caporale ordinava di metterci in drop, poi in tuta e poi ancora in scbt in 5 minuti. A turno dovevamo presentare la forza, attività che prevedeva: presentarsi con nome cognome grado (vfp) ricordando i numeri dei presenti, effettivi e disponibili della propria squadra. Lascio immaginare le prove che facevamo per non impappinarci quando sapevamo che toccava a noi.
L’arte del basco era davvero un’arte. Le classiche “pizze italiane” in dotazione erano enormi e i più le calzavano dietro appoggiandole davanti. Invece era l’inverso; chiunque da questo particolare capiva che eri una recluta.
Poi c’era il cubo, ma devo dire che il mio era quasi sempre accettabile, chissà perché. Uno dei ricordi più suggestivi è stato il giuramento fatto nel maggio del ‘88 proprio nella città di Cassino, dopo tante e dure giornate di addestramento formale. Mi madre senza dirmelo era venuta a vedermi e dall’inquadramento – ero abbastanza in fondo – sono riuscito a vedere il suo inconfondibile sorriso.
Che dire, se siamo ciò che siamo oggi, forse è merito anche dell’80° fanteria Roma e dei suoi comandanti.